Secondo un sondaggio commissionato dalla Munich security conference, nel maggio 2022 il 60 per cento degli italiani riteneva l’invasione russa dell’Ucraina un vero “punto di svolta” per la politica estera nazionale. In Germania, la decisione di incrementare le spese militari è stata interpretata come un possibile Zeitenwende, una trasformazione epocale per la politica di sicurezza tedesca. Le relazioni internazionali ci insegnano che uno shock esterno può alterare il corso della politica estera di un paese, modificando approcci e strumenti, fino a promuovere un radicale cambio di paradigma nella modalità di conduzione della politica estera. In che modo allora, la scelta di Putin di attaccare Kiev può influenzare il futuro della politica estera e di difesa italiana?

Non è facile rispondere a questa domanda, e la questione richiede tempo per valutare in modo adeguato gli effetti di un eventuale cambiamento. Sono poi molteplici gli aspetti – politici, economici, militari e culturali – che possono mutare come conseguenza della guerra in Ucraina. Pertanto, anche alla luce della pubblicazione dei recenti documenti strategici elaborati dalla Nato (Strategic concept) e dall’Unione europea (Strategic compass for security and defense), appare forse più opportuno focalizzarsi su un ambito specifico: l’area geografica prioritaria per la difesa e la promozione degli interessi nazionali.

In altre parole, dopo l’invasione russa, il cosiddetto “Mediterraneo allargato” rappresenta ancora il “centro di gravità” per la politica estera e di difesa italiana? La presenza di truppe russe che combattono a pochi chilometri dai confini dell’Ue può portare anche l’Italia a considerare “il fianco est” del proprio sistema di alleanze come l’ambito strategico principale?

Tre cerchi e mezzo

Per affrontare il quesito occorre esaminare tre aspetti. Il primo riguarda l’effettiva centralità del Mediterraneo nella politica estera di Roma; il secondo attiene alle recenti difficoltà incontrate in nord Africa e Sahel; mentre il terzo concerne il ruolo svolto dall’Italia nei contesti multilaterali in relazione al peso del cosiddetto “fianco sud” rispetto all’Europa orientale. L’analisi dei dilemmi che attanagliano la politica estera italiana in uno scenario di rinnovata competizione strategica, a livello regionale e globale, consentirà in conclusione di illustrare le sfide vitali per la nostra proiezione internazionale.

Tradizionalmente, l’immagine dei “tre cerchi” della politica estera italiana (atlantismo, europeismo e appunto Mediterraneo) ha ben illustrato il quadro nel quale si è sviluppata per anni la politica estera italiana. Recentemente, data la proiezione nazionale in Sahel e la crescente rilevanza strategica dell’area – connessa alla necessità di garantire la sicurezza energetica, alla lotta al terrorismo e all’immigrazione irregolare – si è arrivati a parlare di “terzo cerchio e mezzo”.

Come affermato all’inizio del suo mandato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, «gli indirizzi prioritari della sicurezza nazionale italiana si collocano nel Mediterraneo allargato». Il “Mediterraneo allargato” è stato spesso definito come un triangolo che va dalla Libia fino al golfo di Guinea e al Corno d’Africa, con il Sahel al centro (comprendendo talvolta, in una definizione più ampia, anche Balcani e medio oriente).

Dal Libro Bianco del 2015 in poi i documenti ufficiali e le dichiarazioni pubbliche hanno fatto spesso riferimento a un vero e proprio «ri-orientamento strategico» verso il Mediterraneo. Nuove missioni militari (dal Niger alla più recente Takuba) e un significativo impegno diplomatico (con l’apertura di nuove ambasciate) e nella cooperazione allo sviluppo, hanno confermato la centralità della regione per Roma, ribadita in senso bipartisan da tutti i governi che si sono succeduti dal 2015 in poi. In poche parole, il «Mediterraneo allargato» – utilizzando le parole del Documento programmatico pluriennale della difesa del 2021 – è «l’area di interesse strategico nazionale».

Tuttavia, nonostante questi sforzi – che si collegano a quelli di alleati e Ue – i problemi di sicurezza nella regione (nonché quelli relativi allo sviluppo socio-economico) rimangono considerevoli. Colpi di stato e tensione crescente tra attori locali e internazionali (si pensi al rapporto tra il Mali e la Francia) hanno messo in discussione anche il possibile impegno italiano sul territorio. In aggiunta, se lo scopo principale degli interventi nazionali è stato quello di rafforzare le capacità dei soggetti statuali locali, possiamo affermare che gli ostacoli hanno finora prevalso, al di là del considerevole impegno profuso.

La rilevanza del “fianco sud”

Sebbene sia presto per trarre delle valutazioni complessive sui risultati raggiunti, emerge come un supporto “tecnico” volto a rafforzare governi fragili privi di legittimità sia destinato a fallire. Gli attori politici italiani ed europei hanno dimostrato parziale consapevolezza, ma il processo di revisione dell’approccio adottato, nonché di riflessione sulle lezioni apprese dopo anni di interventi di addestramento di forze locali, appare ancora lento.

Possiamo allora affermare che la presenza di queste difficoltà, unite alla crescente salienza del “fianco orientale” dopo l’attacco di Mosca all’Ucraina, implichi un “degradamento” del “Mediterraneo allargato” come area prioritaria per l’Italia? Al momento sembra di no.

Certamente, l’attenzione di Roma per l’Europa orientale è notevolmente aumentata, come testimoniano anche il rafforzamento del contributo militare italiano al dispositivo dell’Alleanza atlantica nella regione, dalla Romania ai paesi baltici. Inoltre, la “battaglia” condotta da anni da parte dell’Italia all’interno di consessi multilaterali quali Nato e Ue per bilanciare il peso del fianco “orientale” con le esigenze del Mediterraneo, sarà oggi più complessa che in passato. Dall’annessione russa della Crimea nel 2014 in poi, l’Italia aveva cercato di mantenere alto il livello di rilevanza del Mediterraneo, ottenendo anche alcuni successi (dal vertice di Varsavia del 2016 alle operazioni navali fino alla creazione nel 2017 del Nato strategic direction south hub, in seno allo Allied joint force command di Napoli).

Tale sforzo però, così come la centralità strategica del “Mediterraneo allargato” per gli interessi italiani, non sembra venire meno. Viaggi di stato nell’area (anche come fonte alternativa alla Russia per le fonti di approvvigionamento energetico) e dichiarazioni ufficiali volte a ribadire la rilevanza del “Mediterraneo allargato” lo confermano.

Il ministero della Difesa ha da poco pubblicato la Strategia di sicurezza e difesa per il Mediterraneo, nella quale la regione viene definita come «il principale teatro in cui le nostre forze armate sono chiamate, a tutela degli interessi nazionali, a proiettarsi». Nel documento si evidenzia quanto sia fondamentale «riuscire efficacemente a ottenere che il Mediterraneo allargato trovi la desiderata giusta attenzione» nel Concetto strategico della Nato e nella Bussola strategica dell’Unione.  

Vedremo se la politica estera italiana riuscirà a “equilibrare” il peso dedicato al fianco orientale, dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Tale evento, giunto peraltro dopo la fine – non particolarmente gloriosa – degli anni della “guerra al terrore”, ha sicuramente posto la difesa collettiva al centro della riflessione strategica in Europa. Ma, come dimostra drammaticamente la crisi alimentare e climatica, nonché il perdurare di minacce quali il terrorismo, la rilevanza del “fianco sud” (così come del crisis management, l’altro compito della Nato) non viene improvvisamente meno.

Quesiti in sospeso

Se la Nato dovrà dirimere alcuni dilemmi rispetto a compiti e aree prioritarie di intervento (con l’Indo-Pacifico che per la prima volta acquisisce centralità in un Concetto strategico della Nato), anche l’Italia deve affrontare diverse questioni in sospeso per svolgere in modo efficace nel Mediterraneo allargato quel ruolo da tempo auspicato dai suoi decisori politici.

Come promuovere davvero la sicurezza nella regione rafforzando meccanismi di governance locale piuttosto che governi percepiti come illegittimi da una larga fetta di popolazione? Come abbinare strumenti politici, diplomatici, economici e militari? Come conciliare esigenze di sicurezza e stabilità con il rispetto di valori – spesso bistrattati o ignorati – quali democrazia e diritti umani? Come ristrutturare efficientemente la difesa alla luce della apparente volontà di investire ulteriori risorse in campo militare?

Tra i molti dilemmi, un aspetto appare particolarmente dirimente. Per difendere efficacemente gli interessi nazionali nella regione sarebbe opportuno intanto definire tali interessi, cominciando dall’elaborazione di una vera national security strategy. Se può essere comprensibile lamentarsi della qualità del dibattito mediatico relativo ai temi della difesa (come abbiamo visto durante la guerra in Ucraina), appare certamente più urgente promuovere una discussione pubblica nella quale i decisori siano debitamente informati attraverso una strutturata riflessione nelle appropriate sedi istituzionali, e non da tuttologi improvvisati con mappe colorate.

© Riproduzione riservata