Finora la storica intenzione di Svezia e Finlandia di aderire alla Nato è stata inibita dal veto della Turchia. L’ingresso nell’Alleanza atlantica di un nuovo soggetto necessita di unanime approvazione da parte degli altri membri e Ankara intende sfruttare tale requisito per perseguire obiettivi tattici e strategici, interni ed esterni, in un negoziato condotto con i diretti interessati e con gli Stati Uniti.

Nello specifico, Erdogan esige l’interruzione di ogni aderenza di Stoccolma e Helsinki alla causa del Kurdistan anatolico e siriano, l’espulsione della rete gulenista attiva nei due paesi, ovvero dello stato profondo turco in competizione con Erdogan. Chiede a Washington di partecipare nuovamente alla produzione e all’utilizzo dei caccia F35 – perlomeno l’accesso ai meno tecnologici F16. Mentre pretende un maggiore appoggio americano in Siria, dove Mosca minaccia di colpire gli interessi turchi, e una minore ingerenza della Cia e del dipartimento di Stato nell’Asia Centrale turcofona, regione che la superpotenza d’oltreoceano vorrebbe tirare verso sé.

Posizione eterodossa

Intenzionata a sfruttare tale trattativa (anche) per dimostrare a Mosca la propria fittizia distanza dalla guerra in corso, in realtà così Ankara segnala d’essere dentro la Nato in modo apertamente eterodosso, ovvero soltanto per rincorrere i propri propositi strategici. Senza alcun timore per l’ulteriore espansionismo della Russia sul continente europeo, giudicato improbabile o questione altrui.

Rompendo una lunga tradizione, agli inizi di maggio Svezia e Finlandia hanno deciso di entrare nell’Alleanza atlantica. A determinare la svolta tanto l’aggressività quanto l’inferiore efficacia palesata dall’armata russa nel teatro ucraino.

Ai tempi della Guerra fredda l’Unione sovietica era più spaventosa della Russia attuale, ma allora vi era la certezza che Mosca avrebbe reagito militarmente in modo irresistibile a qualsiasi alterazione giudicata lesiva dei suoi interessi. Tale inscalfibile superiorità sconsigliava di affrontare l’inevitabile finestra temporale esistente tra la domanda di adesione e l’ingresso nella Nato, quando il Cremlino poteva attaccare i paesi candidati senza incappare nella obbligatoria difesa tra membri garantita dall’articolo cinque del trattato del Nord Atlantico.

Le notevoli deficienze tradite da Mosca nella guerra d’Ucraina hanno persuaso Helsinki e Stoccolma di poter sopportare un’eventuale aggressione, cui si è aggiunto il sostegno militare promesso dal Regno Unito, reso in patto scritto durante una recente visita di Boris Johnson nelle due capitali nordiche.

Sul piano strategico, con la metamorfosi di svedesi e finlandesi presto si affacceranno sul mar Baltico soltanto paesi aderenti alla Nato, tranne la Russia. Medesima composizione del Consiglio artico, forum degli stati presenti al polo Nord, dove Mosca diventerà l’unico soggetto estraneo all’Alleanza atlantica.

Consapevole della rilevanza del momento, la Turchia minaccia di rovinare i piani nordici, e degli Stati Uniti. Non certo per affezione nei confronti del Cremlino – non esiste alcuna solidarietà di gilda tra imperi, tantomeno per comunanza istituzionale – quanto per estorcere il massimo possibile. Sfruttando la regola che prevede il sì di tutti i membri nell’accettazione di un nuovo paese nella Nato, sovente dopo ratifica dei parlamenti nazionali. Con straordinaria spudoratezza.

Gülen e i caccia

TT NEWS AGENCY

Pubblicamente Ankara intima ai governi finlandese e svedese di rinnegare il sotterraneo sostegno alla causa irredentista curda, tanto in Anatolia quanto nel Rojava siriano, attraverso i presunti legami con il Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan, identificato come terroristico dall’Unione europea e dalla stessa Turchia. Tanto da postulare l’estradizione di 33 soggetti presenti nei due paesi.

E di recidere ogni ipotetico collegamento con Hizmet, una fazione turca di matrice politico-religiosa capeggiata dall’imam Fethullah Gülen, rifugiato negli Stati Uniti da oltre vent’anni, profondamente ostile a Erdogan, presente nella magistratura e nell’intelligence anatoliche. Per questo accusata dal presidente turco del fallito golpe del 2016, ultimo tentativo di rovesciare il governo in carica.

Così dietro le proverbiali quinte la Turchia tratta anche con gli Stati Uniti. Espulsa nel 2017 dal programma degli F35 dopo aver acquistato il sistema missilistico di difesa anti area S400 di produzione russa – affinché gli antagonisti degli Stati Uniti non accedano alla massima tecnologia militare – ora Erdogan vorrebbe ricevere i caccia di ultimissima generazione, i più letali del pianeta. Ma si accontenterebbe anche degli F16, in mancanza di meglio.

E guarda con attenzione agli sviluppi della guerra di Siria, dove recentemente sono aumentati i soldati americani. Ankara teme la capacità russa di danneggiare i suoi interessi in loco, perseguiti in funzione anti-curda e anti iraniana, per questo chiede l’ausilio del Pentagono.

Mentre scruta con sospetto la rinnovata presenza americana in Asia Centrale, territorio ampiamente turcofono, sostanza dello schema panturanico sognato dal governo turco, dominato dai russi fino all’alba di questo millennio e negli ultimi decenni penetrato dai cinesi. Con l’obiettivo di ampliare i fronti del Cremlino, nelle ultime settimane inviati statunitensi hanno raggiunto le principali capitali della regione, troppo per Erdogan, che preferirebbe un impegno inferiore.

Sfrontatezza anti americana

Un approccio assai disinvolto che sembra trovare adepti. Colpita dall’azione di Ankara, adesso la Croazia chiede a Washington di battersi concretamente per una revisione della legge elettorale bosniaca, considerata penalizzante per i croati etnici. Altrimenti minaccia di porre il veto alle ambizioni di finlandesi e svedesi.

Salvo clamorosi colpi di scena, Stoccolma e Helsinki aderiranno alla Nato, specie considerando la posizione americana sul tema e il peso specifico di Washington all’interno dell’organizzazione.

Eppure il negoziato in corso tradisce la noncuranza della Turchia per le mire espansionistiche di Mosca, considerate irrealizzabili nella loro integrità oppure esclusiva preoccupazione dei paesi confinanti con l’Orso.

E dimostra la volontà per Ankara di sfidare eventuali rappresaglie americane, soprattutto di matrice finanziaria. Con un atteggiamento intriso di inclinazione imperiale e ostentata sfrontatezza.

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