Il capo di stato maggiore Usa, Mark Milley, telefonò due volte in segreto al suo omologo cinese, Li Zuocheng (il 30 ottobre 2020, quattro giorni prima delle presidenziali Usa, e l’8 gennaio 2021, due giorni dopo l’assalto al Campidoglio da parte dei sostenitori di Trump), per rassicurarlo che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato la Cina nelle giornate caotiche che precedettero e seguirono la sconfitta di Donald Trump e che, se l’avessero fatto, lo stesso Milley avrebbe avvertito preventivamente Pechino.

La rivelazione è contenuta in Peril, scritto dal giornalista investigativo Bob Woodward assieme a Robert Costa, in uscita la prossima settimana.

In base alle anticipazioni del libro pubblicate dal Washington Post, il secondo contatto di Milley con Li sarebbe stato suscitato dalle preoccupazioni della speaker della Camera, Nancy Pelosi, che aveva chiesto al generale Usa quali protezioni fossero in atto per evitare che «un presidente instabile» scatenasse un attacco nucleare.

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  • Perché è importante

I contatti ufficiali tra i due governi sono ridotti al minimo dalla seconda metà del mandato di Trump, quando il presidente Usa lanciò un’offensiva commerciale-tecnologica contro la Cina. La rivalità strategica tra Cina e Stati Uniti – entrambe potenze atomiche – si è espressa negli ultimi mesi in una serie di contrasti sulle origini del Covid-19, su Taiwan, Hong Kong, il Mar cinese meridionale e il Xinjiang, sui quali Pechino e Washington stentano a trovare un punto d’incontro.

  • Il contesto

Secondo quanto rivelato dal Financial Times, durante la telefonata (su richiesta della Casa Bianca) tra Joe Biden e Xi Jinping del 9 settembre scorso, il presidente cinese avrebbe declinato l’invito del suo omologo statunitense per un incontro faccia a faccia. Martedì 14 settembre Yang Jiechi – responsabile della politica estera nell’Ufficio politico del Partito comunista cinese – nel corso di una videochiamata con politici democratici e repubblicani, ha dichiarato: «Speriamo che il governo statunitense possa correggere le sue politiche sbagliate nei confronti della Cina e lavorare assieme alla Cina» per «rimettere sui binari le relazioni Cina-Stati Uniti».

La nuova via della Seta sotto attacco nel Sahel

La rimozione con un colpo di stato (domenica 5 settembre) del presidente della Guinea, Alpha Conde, ha fatto scattare l’allarme a Pechino, che teme la destabilizzazione dell’intero Sahel, la regione dell’Africa subsahariana che si estende dal Senegal all’Eritrea, passando per Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Chad e Sudan.

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  • Perché è importante

La Guinea – dove i ribelli hanno assicurato che rispetteranno gli accordi in essere con le compagnie straniere – è il primo fornitore di materie prime per l’industria dell’alluminio cinese: Pechino acquista la maggior parte della bauxite guineana, e le aziende cinesi partecipano ai principali progetti estrattivi del paese africano, tra i quali il più ricco giacimento di minerale di ferro del mondo, la miniera di Simandou

L’instabilità nell’area mette in pericolo la rete di approvvigionamento di materie prime che Pechino sta creando lungo le rotte della nuova via della Seta che passano per il Sahel, e complica i piani di espansione degli investimenti cinesi nella regione.

Le compagnie di stato cinesi stanno costruendo una ferrovia per collegare il Mali – che non ha sbocco al mare e che nel 2019 ha siglato un protocollo d’intesa sulla nuova via della Seta – a Conakry (Guinea) e Dakar (Senegal).

  • Il contesto

Nel marzo scorso i militari avevano provato a prendere il potere in Niger, dove la Cina ha ingenti interessi nel settore minerario – in particolare dell’uranio – e dove, all’inizio di giugno, due dipendenti di una compagnia mineraria cinese erano stati rapiti da uomini armati in un’area (al confine con il Mali e il Burkina Faso) infestata da miliziani di Al Qaeda e dello Stato islamico. Ad aprile in Chad – il principale produttore di greggio dell’Africa centrale, dove la China national petroleum corporation (Cnpc) ha una presenza importante – i militari avevano imposto alla guida del paese Mahamat Idriss Déby Itno dopo la morte del padre, il presidente Idriss Déby. E a maggio in Mali – dove Pechino ha impegnati 413 caschi blu nell’ambito della missione di pace dell’Onu “Minusma” – l’esercito aveva spodestato presidente e primo ministro e annunciato nuove elezioni per l’anno prossimo.


Yuan di Lorenzo Riccardi

Crescita rivista e benessere condiviso

L’economia cinese lancia segnali contraddittori, con la revisione delle stime di crescita per il 2021, la flessione del mercato azionario a seguito delle nuove linee guida nei settori tech e dell’educazione privata, e le ripercussioni negative della variante Delta.

Il Purchasing Manager Index di agosto ha segnato un trend diverso dai mesi pregressi: l’indice per le attività d’impresa non manifatturiere è stato infatti inferiore alla soglia dei 50 punti, evidenziando una riduzione degli ordini nel mercato interno.

Anche la nuova strategia di sviluppo di Pechino del “benessere condiviso” contribuisce a preoccupare mercati e investitori. In realtà le dichiarazioni riguardo al bilanciamento della ricchezza sono in linea con gli obiettivi di medio-lungo termine del paese dichiarati nel piano quinquennale 2021-2025, che prevedono la riduzione delle disuguaglianze sociali e del gap tra aree urbane e rurali, oltre che il miglioramento degli standard di vita.

Nel luglio scorso, il Partito comunista ha dichiarato centrato il primo degli «obiettivi dei centenari», ossia la creazione di una «società moderatamente prospera in ogni aspetto» (economico, sociale, demografico) e la cancellazione della «povertà assoluta», che affliggeva quella fetta di popolazione che era costretta a sopravvivere con meno di due dollari al giorno.

La Cina di Xi si trova in una fase sviluppo differente rispetto alla Cina di Deng Xiaoping, secondo cui a innescare la crescita dell’intero paese sarebbe stata una minoranza che avrebbe potuto arricchirsi prima degli altri, e incrementando a sua volta la ricchezza anche per gli strati della popolazione più povera. Attualmente però una crescita ponderata, e il controllo di settori economici strategici si affiancano agli effetti sul mercato interno causati dalla pandemia. Le principali banche internazionali hanno infatti rivisto le previsioni per il Pil 2021 con una lieve riduzione degli indicatori, ma ogni stima conferma la Cina come unica tra le grandi economie a progredire nel biennio 2020-2021 con una crescita tra l’8 e il 9 per cento.

Auto elettriche, Volkswagen scommette sulla partnership con JAC motors

Volkswagen sta puntando sulla sua joint-venture di maggioranza con la cinese JAC Motors per il suo piano di espansione nel mercato cinese delle auto elettriche. Dopo aver acquisito un impianto di produzione JAC di Hefei, Volkswagen sarebbe pronta a rilevarne un secondo, nello stesso capoluogo della provincia dello Anhui. Secondo quanto anticipato dall’agenzia Reuters, si tratta di una mossa audace, dal momento che «il gruppo tedesco non può permettersi un passo falso, perché ormai il 40 per cento delle sue vendite e metà dei suoi profitti sono concentrati proprio in Cina», dove il colosso di Wolfsburg ha stretto joint-venture con altri due produttori locali, SAIC (al 50 per cento) e FAW (al 40 per cento).

  • Perché è importante

L’anno scorso Volkswagen è stata la prima compagnia straniera ad aver avuto la possibilità di sottoscrivere joint-venture di maggioranza con aziende locali, con un accordo (75-25 per cento) con l’azienda di stato JAC Motors. Nel 2020, nonostante la pandemia, Volkswagen ha venduto in Cina 3,85 milioni di veicoli. Secondo quanto dichiarato dal presidente di JAC, Xiang Xingchu, l’alleanza con Volkswagen dovrebbe far produrre 200-250mila veicoli nel 2025, per arrivare a 350-400mila nel 2029.

  • Il contesto

Con 1,3 milioni di veicoli elettrici venduti, nel 2020 quello cinese è stato il secondo mercato globale per gli Ev, subito dopo quello europeo. Per quest’anno è prevista una crescita del 51 per cento e 1,9 milioni di Ev venduti. La vicenda Volkwagen-JAC segnala le difficoltà dei produttori tradizionali cinesi: se JAC (compagnia di stato fondata nel 1964) passerà ai tedeschi il suo secondo impianto, le resterà solo quello di Anqing, dove produce le auto del marchio Sihao.

Sotto la cancelliera Merkel le relazioni sino-tedesche sono state elevate a “partnership strategica onnicomprensiva”. In vista delle elezioni del 26 settembre in Germania, che segneranno la fine dell’era Merkel, vi proponiamo tre approfondimenti sull’evoluzione dei rapporti Pechino-Berlino:

- The China factor in the German election;

Berlin and Beijing: German China Policy After Merkel;

As Angela Merkel’s exit approaches, Germany’s ‘China City’ nervously eyes the future.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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