Gli oltre 305 miliardi di dollari di debito accumulati da Evergrande rappresentano il 2 per cento del prodotto interno lordo della Cina. Negli ultimi giorni le perdite in borsa delle azioni del colosso immobiliare fondato nel 1996 a Guangzhou da Xu Jiayin (di cui Chang Che ha tracciato un bel profilo) e l’attendismo di Pechino hanno fatto temere che un eventuale crollo di Evergrande possa innescare una crisi globale simile a quella scatenata nel 2008 dal crack della banca statunitense Lehman Brothers.

  • Perché è importante

I guai di Evergrande (il cui debito è in mano a banche, risparmiatori e appaltatori cinesi) si ripercuoteranno sull’economia nazionale, a tal punto che le previsioni di crescita per il 2021 (+8,5 per cento secondo la Banca mondiale) saranno riviste a ribasso.

Secondo l’analista Zhou Xin, la soluzione favorita dal governo sarà «un cocktail di trucchi collaudati: cessione di debito, ridimensionamento delle attività societarie e pagamenti di emergenza ai più vulnerabili, mentre i responsabili della situazione saranno puniti».

Il sinologo ed ex corrispondente del Financial Times da Pechino, James Kynge, sostiene che Xi Jinping utilizzerà Evergrande come monito, per impartire una lezione ai developer.

  • Il contesto

Il 29 per cento del Pil della Repubblica cinese arriva dalle costruzioni, che alimentano un giro d’affari che coinvolge i governi locali, che vendono i terreni ai developer, il sistema finanziario, che ne sostiene i progetti, e i risparmiatori, che hanno poche alternative al mattone per investire. Quest’anno il governo centrale ha indicato ai costruttori tre “linee rosse” per ridurre l’indebitamento del settore immobiliare.

Da un punto di vista politico, la gestione di questa crisi assume un significato particolare, alla vigilia di un importante plenum del Comitato centrale (a novembre) e a circa un anno dal XX Congresso nazionale, durante il quale Xi Jinping chiederà al Partito un terzo mandato come segretario generale senza precedenti nella Cina post-maoista. La linea del “benessere condiviso” lanciata da Xi con ogni probabilità nel caso Evergrande si tradurrà in un intervento governativo per sostenere i cittadini e le imprese più esposte. Alla compagnia invece sarà imposta una ristrutturazione dolorosa, ma non al punto da danneggiare l’intero sistema.

La Cina chiede di entrare nel Comprehensive and progressive agreement for trans-Pacific partnership

Il 16 settembre scorso il ministro del Commercio, Wang Wentao, ha presentato la richiesta di adesione della Cina al Comprehensive and progressive agreement for trans-Pacific partnership (Cptpp), l’accordo di libero scambio (Fta), entrato in vigore nel 2018, tra undici paesi che si affacciano sul Pacifico, che rappresentano il 13 per cento del Pil globale. Il Cptpp prevede la rimozione dei dazi sul 95 per cento delle merci scambiate tra gli stati membri.

  • Perché è importante

Nel 2017, il presidente Usa Trump ritirò gli Stati Uniti dalla Trans-Pacific partnership (Tpp), voluta dal suo predecessore Obama nell’ambito del “Pivot to Asia”. Ma l’anno successivo gli altri membri dell’ex Tpp diedero vita a un nuovo Fta senza Washington, il Cptpp. Dal canto suo Pechino spinge per accedere ai nuovi Fta, per facilitare gli investimenti, le esportazioni e le importazioni cinesi, e per contribuire a dettare le regole del commercio globale. Pechino è già entrata nella Regional comprehensive economic partnership (Rcep), rispetto alla quale il Cptpp è più avanzato, prevedendo anche standard di protezione ambientale e dei diritti dei lavoratori, e non è composto esclusivamente da paesi asiatici.

  • Il contesto

Pechino punta a isolare nel commercio globale gli Stati Uniti dove – nonostante le autorevoli sollecitazioni su Biden per un ritorno al multilateralismo – l’idea che gli accordi commerciali internazionali abbiano danneggiato il lavoro in patria resta diffusa e radicata nell’opinione pubblica.

Per Pechino si apre il negoziato di adesione al Cptpp, che si annuncia lungo, e difficile per la diffidenza di Tokyo, i rapporti problematici con Ottawa (per il mese prossimo è attesa la decisione della giustizia canadese sulla richiesta di estradizione negli Usa della chief financial officer di Huawei, Meng Wanzhou) e quelli tesissimi con l’Australia. A quest’ultimo riguardo, interessanti e “controcorrente” le considerazioni di East Asia Forum, mentre i policymaker cinesi sono convinti che, alla fine, i mercati cinesi risulteranno «irresistibili».

YUAN, di Lorenzo Riccardi

Hubei, pandemia e ripartenza

La provincia dello Hubei e il suo capoluogo, Wuhan, sono diventati tristemente noti come l’epicentro della pandemia di SARS-CoV-2. La pandemia sembra aver colpito particolarmente le aree economico-finanziarie più avanzate: lo Hubei in Cina, la Lombardia in Italia, New York negli Stati Uniti. Territori che si caratterizzano per un’enorme quantità di scambi commerciali, ramificati collegamenti nella logistica ferroviaria e aeroportuale e continue interazioni con regioni e paesi esteri.

La provincia che si trova nella Cina centromeridionale ha subito il lockdown più rigido nel paese ed è stata l’unica area con Pil negativo nel 2020 (-5 per cento), a fronte della crescita che ha contraddistinto ogni area del paese nel biennio che si chiude con il 2021.

Wuhan ospita un grande polo universitario ed è uno hub per i collegamenti ferroviari tra le province della Cina, per questo gli scambi di persone e di merci sono continui. I settori economici più rilevanti sono l’elettronica, i prodotti agricoli e il settore dell’automotive, particolarmente colpito durante il 2020 a causa del lockdown prolungato che ha interrotto la produzione per circa sei mesi.

Tuttavia oggi lo Hubei e Wuhan tornano al loro ruolo di motore economico con ottime previsioni di crescita nel commercio, negli investimenti e in ogni indicatore economico. Durante la fase più critica il ruolo di capo del Partito provinciale è stato affidato a Ying Yong, ex-sindaco di Shanghai e politico molto vicino al presidente Xi, che ha saputo rilanciare lo sviluppo dell’area. Le stime per il 2021 vedono il prodotto interno lordo dello Hubei crescere al 15 per cento, la migliore performance di ogni provincia cinese. Wuhan è destinata a diventare il simbolo della ripartenza della Cina.

Un super comitato elettorale per cancellare la partecipazione popolare

Domenica 19 settembre a Hong Kong si è votato per il comitato che – con la riforma varata l’11 marzo scorso dall’Assemblea nazionale del popolo (Anp, il parlamento di Pechino) – ha assunto i poteri di: eleggere il chief executive (il capo del governo locale); selezionare tutti i candidati per il consiglio legislativo; nominare tra i suoi membri fino a quaranta deputati del LegCo (90 seggi, di cui 20 eletti a suffragio universale).

Per scegliere, tra 412 candidati, i 364 posti in palio per il comitato, sono state chiamate alle urne 4.800 persone (lo 0,06 dei 7,5 milioni di residenti) in rappresentanza di tredici categorie della società hongkonghese.

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  • Perché è importante

Il quotidiano hongkonghese South China Morning Post (di proprietà di Alibaba) in un prudente editoriale non ha mancato di sottolineare le criticità della prima consultazione che ha dovuto rispettare la norma secondo cui solo i “patrioti” possono ricoprire uffici pubblici. Per China Daily invece è stata fatta piazza pulita di «sovversivi» collusi con «alcune potenze straniere che volevano utilizzare Hong Kong per la loro strategia di contenere la Cina».

Anche grazie al boicottaggio dell’opposizione, i candidati pro establishment si sono aggiudicati tutti i posti tranne uno. Come sostiene Hong Kong free press, l’ex colonia britannica è entrata in una nuova era politica. Il dissenso non avrà rappresentanza politica, e Hong Kong sarà guidata indirettamente da Pechino (attraverso il suo Ufficio degli affari di Hong Kong e Macao) e amministrata da una élite di “patrioti” (cioè funzionari fedeli alla linea del Partito comunista).

  • Il contesto

Il 19 dicembre prossimo si svolgeranno le elezioni del consiglio legislativo e, il 27 marzo 2022, del chief executive. Grazie al nuovo sistema elettorale e alla Legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong (approvata anch’essa dall’Anp), il Partito comunista ha marginalizzato i politici del campo pro-democrazia e criminalizzato l’attivismo e il dissenso che pure rientrano nelle ampie autonomie garantite dalla sua costituzione in base al principio “Un paese due sistemi”.

Hkctu, il principale sindacato indipendente di Hong Kong, bollato dai media pro-Pechino come un «agente straniero», ha annunciato il suo scioglimento a causa del clima politico e di ripetute minacce ai suoi militanti.

La società cinese è in continuo cambiamento, come raccontano i tre approfondimenti che vi proniamo questa settimana:

Students Around the World Desperate to Finish Studies in China;

Rooftop solar to roll up on China’s public buildings;

As Universal Beijing Opens, Local Theme Parks Feel the Heat.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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