Secondo molti osservatori il generale Abdourahmane Tchiani, protagonista del golpe in Niger, è alla guida di un gruppo di ufficiali eterogenei, tenuti assieme per ora più dalle circostanze che da una fedeltà a tutta prova. Il collante principale pare essere quello etnico, con una gran parte di militari di ceppo haussa-songhai, contrari alle minoranze (come le etnie seminomadi peul, tebu, tuareg, arabi ecc.) spinte avanti dal presidente deposto Mohammed Bazoum.

La nota rivista Jeune Afrique si interroga se tale alleanza sia sostenibile nel tempo, sostenendo che la ripetizione degli scenari del Mali e del Burkina Faso non basta ad assicurare il potere a Tchiani. A ben vedere c’è una reale differenza tra i colpi di Stato della Guinea, del Mali e del Burkina Faso con quello del Niger.

Nel caso di Conakry esisteva una profonda frattura dovuta alla forzatura della costituzione da parte dell’ex presidente Alpha Condé che aveva cambiato il testo allo scopo di correre per un terzo mandato. La cosa era molto impopolare nel paese e i militari ebbero da subito un vasto sostegno. In Mali l’esercito si è giovato della generale delusione per le azioni del presidente Ibrahim Boubakar Keita in merito alla guerra anti-jihadista.

L’incertezza sulla strategia da seguire, i tentennamenti e la pesantezza francese, avevano creato un forte malcontento anche nei partiti e nella società civile organizzata, che infatti hanno sostenuto il putsch. Il golpe in Burkina non è stato che la ripetizione del precedente di otto mesi prima, quello che aveva fatto cadere Marc Roch Christian Kaboré, considerato anche lui troppo debole con i jihadisti e per questo poco popolare.

In Niger la situazione era diversa: i terroristi erano militarmente contenuti; non c’era una presenza invasiva francese (anche se una parte delle operazioni in Mali era stata spostata temporaneamente a Niamey); lo Stato pareva forte; il presidente Bazoum era stato eletto senza sbavature; la democrazia nigerina pareva solida. Per queste regioni si è parlato di “golpe opportunista”, mirato al saccheggio delle risorse nazionali. Successivamente è emersa la matrice etnica anche se non si tratta dell’unica spiegazione.

La scelta del primo ministro tecnico, Ali Mahamane Lamine Zeine, è stata dettata da un complesso di ragioni. Ministro delle finanze sotto il presidente Mamadou Tandja, Zeine è un civile e tecnocrate di spessore che ha lavorato a lungo presso la Banca africana di sviluppo. Si tratta anche di un testimone diretto del putsch del 2010, quando i militari di Salou Djibo rovesciarono il suo governo. Zeine finì in prigione e oggi si chiede perché all’epoca nessuno dell’Ecowas venne in suo aiuto, un atteggiamento molto diverso da quello attuale.

Un’Ecowas alternativa

Il suo compito è di guidare la transizione ma le relazioni con l’Ecowas sono tese. Il governo golpista è alle prese con durissime sanzioni economiche (tra le quali anche il taglio dell’energia dalla Nigeria), che non sono state comminate nemmeno al Mali o al Burkina. Come dice il presidente Alassane Ouattara della Costa d’Avorio: “quello del Niger è il golpe di troppo”. L’atteggiamento dei vicini è quindi molto più severo.

Il ministro degli affari esteri, il diplomatico Bakary Yaou Sangaré, ha il difficile compito di rappresentare un governo che non ha ottenuto il riconoscimento da nessuna organizzazione regionale o internazionale e non potrà prendere la parola alla prossima assemblea generale delle Nazioni Unite. Per ora come partner non restano che Iran, Venezuela, Russia ecc., oltre ai “militari fratelli” maliani e burkinabé.

Assieme a questi ultimi è stata creata una sorta di Ecowas alternativa: l’alleanza degli Stati del Sahel, per ora solo un progetto. Chi si è già messo in contatto con Mosca è il generale Salifou Mody, ex capo di stato maggiore e de facto numero 2 della giunta nigerina, con la delega della difesa. Bazoum lo aveva rimosso, nominandolo ambasciatore negli Emirati Arabi Uniti. Mody non è nuovo a ribellioni (aveva già partecipato al golpe del 2010) e oggi funge da connessione (e garanzia) tra gli alti gradi dell’esercito e quelli della guardia presidenziale di Tchiani, che ha dato il via al colpo.

Mody ha anche negoziato il sostegno del Mali, recandosi a Bamako ad incontrare il colonnello Assimi Goïta, capo della giunta maliana. Altre figure importanti dell’attuale potere nigerino sono i generali Mohamed Toumba (noto per le operazioni anti Boko Haram) e Moussa Salaou Barmou. Quest’ultimo era l’ex capo delle forze speciali, formatosi negli Stati Uniti e in contatto permanente con Washington.

È lui ad aver accolto all’aeroporto di Niamey la vice segretaria di stato americana Victoria Nuland, e a garantire gli interessi Usa nel paese, tra i quali la base dei droni anti-jihadisti saheliani, già tornata operativa, mentre quella francese dovrà chiudere. Questi uomini si sono dati il compito di tener unite tutte le forze armate e di sicurezza attorno a Tchiani, anche se è noto che le opinioni sul leader sono diversificate.

Si parla molto sui media internazionali di un eventuale coinvolgimento dell’ex presidente Mahmadou Issoufou nel golpe: la sua vicinanza con Tchiani sarebbe un indizio. Tuttavia pare che si tratti piuttosto di un modo per screditare il capo della giunta, mentre i presidenti dell’area non credono che Issoufou sia implicato e lo usano per trasmettere i loro messaggi agli ufficiali golpisti. Gendarmeria, polizia nazionale, guardia presidenziale e nazionale: oltre l’esercito anche tutti gli altri corpi hanno cambiato comandanti per assicurare una più alta fedeltà a Tchiani e ai suoi.

Consapevoli della fragilità interna della giunta, i membri dell’Ecowas mantengono alta la pressione sperando che dall’interno scatti qualcosa o si rompa l’attuale apparente solidarietà. Tuttavia l’annunciato ritiro francese toglie molta forza agli anti giunta e un’azione esterna, come la prevista operazione militare dell’Ecowas, sembra sempre più improbabile. In Nigeria domina l’incertezza anche a causa delle solidarietà etniche trasversali tra i due paesi. Se la Francia se ne va e se Abuja non si muove, i militari nigerini ce l’avranno fatta.

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