«Si fa molto presto a distruggere la nostra reputazione come paese. Riportarla a quello che era prima sarà molto più difficile», mastica amaro Yigal Palmor, ex portavoce del ministero degli Esteri israeliano. È al telefono da Israele a poche ore dal vertice Onu sulla soluzione a due Stati promosso da Francia ed Arabia Saudita, mentre a New York inizia la settimana dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Palmor è esponente di spicco della vecchia guardia della diplomazia di Tel Aviv, oggi disorientata dalla deriva oltranzista del governo.

Dopo Regno Unito, Canada, Portogallo e Australia, ieri anche Francia, Belgio, Lussemburgo, San Marino e Malta, e poi Finlandia e Nuova Zelanda si sono detti pronti ad annunciare la decisione di riconoscere la Palestina come Stato, malgrado l’assenza di presupposti minimi di sovranità sul terreno e la determinazione di Israele a ostacolare qualsiasi prospettiva di indipendenza nei territori occupati. In tutto, undici nuovi paesi.

L’effetto domino dei riconoscimenti «è come una valanga», dice Palmor mentre prepara il miele per il Capodanno ebraico di Rosh Hashana, che cade in concomitanza con il vertice di Palazzo di vetro, «una volta che la palla di neve inizia a rotolare giù dal pendio, cresce e cresce e cresce, e poi sarà difficile tornare indietro».

Trionfo parigino

Il summit di New York viene vissuto come un trionfo a Parigi, visto che il presidente francese Emmanuel Macron era stato il primo a lanciare l’idea del riconoscimento come rappresaglia diplomatica contro i crimini di guerra di Israele a Gaza. Per ora la levata di scudi a livello internazionale però non sortisce effetti desiderabili: il governo di Tel Aviv, forte della copertura diplomatica dell’amministrazione americana, minaccia ritorsioni immediate contro i palestinesi, compresa, per voce dei ministri oltranzisti del governo Netanyahu, una possibile annessione di parti della Cisgiordania.

Il premier israeliano, secondo cui «non ci sarà nessuno Stato palestinese», avrà un colloquio con Trump a margine dell’Assemblea generale. E il presidente Usa vedrà anche Erdogan e diversi capi di Stato arabi per discutere la guerra di Gaza (61 i morti annunciati lunedì dal ministero della salute della striscia), mentre Bibi promette di «andare avanti con determinazione».

La linea del governo israeliano è che i riconoscimenti sarebbero un «premio al terrorismo» dal momento che sarebbero frutto di un effetto domino provocato dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, e non dalla guerra senza limiti di Bibi a Gaza. L’ambasciatore di Tel Aviv presso le Nazioni Unite, Danny Danon, ha definito il summit «un circo» e affermato che «le dichiarazioni sono vuote e ignorano la realtà e le forze sinistre della nostra regione».

Nel frattempo, secondo una fonte diplomatica israeliana, la situazione sta già creando «un’atmosfera negativa riguardo la partecipazione di Israele a progetti nel campo del commercio, della scienza, della tecnologia o della cultura nell’ambito dei nostri rapporti bilaterali», e in futuro «potrebbe anche portare a sanzioni».

Il piano franco-saudita

Lo scorso 12 settembre una maggioranza schiacciante di Stati aveva già votato a favore di una risoluzione dell’Assemblea generale basata sulla “Dichiarazione di New York”, il testo promosso da Francia ed Arabia Saudita. Un totale di 142 stati hanno sostenuto la mozione, non vincolante come tutte le risoluzioni dell’Assemblea Generale, mentre 10 Stati, capeggiati da Usa e Israele, si sono opposti.

L’Italia aveva votato a favore, ma continua a tergiversare sul riconoscimento della Palestina: secondo il ministro degli Esteri Antonio Tajani il momento non sarebbe opportuno. Anche a detta del ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, il riconoscimento della Palestina deve attendere, almeno fin quando il processo di pace non faccia qualche passo avanti. «Per la Germania, il riconoscimento di uno Stato palestinese è più probabile che avvenga alla fine del processo», ha detto prima di partire per New York.

L’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti Yechiel Leiter, da parte sua, ha rispolverato il paragone storico più frequentemente abusato da Netanyahu e da i suoi: quello dell’ex premier inglese Neville Chamberlain e della conferenza di Monaco del 1938, divenuta emblematica del fallimentare tentativo di “appeasement” della Germania di Hitler.

«Quando Neville Chamberlain si vendette ai nazisti, credeva (stupidamente) di evitare il conflitto», ha scritto Leiter su X, attaccando Londra. «L’unica cosa che Starmer sta cercando di evitare è la conquista islamista della Gran Bretagna. Ha premiato i nuovi nazisti e otterrà solo vergogna».

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