Con 142 voti a favore, le Nazioni Unite approvano la soluzione dei due Stati. Il tycoon furioso con Bibi: «Ogni volta che c’è un progresso, lui bombarda»
Il progetto politico a cui hanno lavorato Francia e Arabia Saudita negli ultimi mesi è stato portato a compimento. Venerdì dopo due anni e oltre 64mila morti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la Dichiarazione di New York con l’obiettivo di arginare l’avanzata di Washington e Tel Aviv che vogliono far tramontare la nascita di uno Stato palestinese. Nero su bianco la risoluzione promuove la nascita della Palestina a condizione che Hamas non abbia più alcun ruolo. Il documento è stato approvato con 142 voti favorevoli (tra cui l’Italia), dieci contrari e dodici astenuti.
La risoluzione «condanna gli attacchi perpetrati il 7 ottobre da Hamas contro i civili» e afferma che l’organizzazione «deve cessare di esercitare la propria autorità sulla Striscia di Gaza e consegnare le armi all'Autorità palestinese, con il sostegno e la collaborazione della comunità internazionale, conformemente all'obiettivo di uno Stato di Palestina sovrano e indipendente».
La reazione di Tel Aviv
A stretto giro di posta è arrivata la furibonda reazione israeliana: il ministero degli Esteri di Tel Aviv definisce la risoluzione «vergognosa» e «sciagurata» poiché «incoraggia» Hamas ad andare in guerra.
Ma la base giuridica della risoluzione è pronta, ora si attende il prossimo 22 settembre quando il presidente francese Emmanuel Macron annuncerà il riconoscimento della Palestina da parte di Parigi.
«Insieme, stiamo tracciando un cammino irreversibile verso la pace in Medio Oriente. La Francia, l'Arabia Saudita e tutti i loro partner saranno a New York per concretizzare questo piano di pace in occasione della Conferenza sulla Soluzione a due Stati», ha scritto Macron. «Un altro avvenire è possibile. Due popoli, due Stati: Israele e la Palestina, che vivono fianco a fianco in pace e in sicurezza. Attuarlo spetta a noi».
Quello di venerdì è stato un giorno intenso al Palazzo di Vetro, dove si è tenuta anche una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza per discutere dell’attacco israeliano a Doha. L’intervento più atteso era quello del ministro qatariota Mohammed bin Abdulrahman Al-Thani. «Avete mai visto uno Stato attaccare i negoziatori in questo modo?», ha chiesto ai suoi interlocutori. Il premier ha definito l'attacco del 9 settembre come un «assalto criminale» e una «chiara violazione della sovranità del Qatar». «Si è trattato di un tentativo mirato di sabotare la diplomazia, perpetuare la sofferenza e mettere a tacere coloro che cercavano una via d’uscita dallo spargimento di sangue».
Relazioni e tensioni
Negli Stati Uniti al-Thani ha incontrato il segretario di Stato americano Marco Rubio e altri membri di spicco dell’amministrazione Trump. Un vertice che serve a mantenere salda l’alleanza tra i due paesi, che rischia di vacillare sotto i colpi dell’esercito israeliano. Secondo il portale Politico, infatti, la diplomazia statunitense ha avuto un importante ruolo nel calmare i qatarioti che per il momento hanno annunciato di voler agire contro Israele solo attraverso vie legali. Troppo importante per Washington preservare gli accordi commerciali miliardari siglati con Doha.
Il clima è teso e anche per questo Rubio inizierà oggi la sua visita in Israele. L’emissario di Trump andrà a riferire ai leader israeliani le preoccupazioni del presidente Usa. Sempre secondo Politico, infatti, il tycoon sarebbe frustrato dall’atteggiamento di Benjamin Netanyahu. Il capo della Casa Bianca teme che il premier israeliano voglia «sabotare i colloqui», ha rivelato un alto funzionario statunitense. «Ogni volta che si fa un passo avanti, sembra che lui bombardi qualcuno», ha aggiunto.
Oltre a ricucire i rapporti diplomatici Rubio discuterà delle misure da prendere per quelle che il suo portavoce ha definito «azioni anti-israeliane», tra queste il «riconoscimento unilaterale di uno stato palestinese che premia il terrorismo di Hamas» e le inchieste aperte per crimini di guerra presso la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia. Per ora Washington sta esercitando pressioni sul Giappone, affinché non riconosca uno Stato palestinese. Sul tema è tornato a parlare anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, a detta del quale «non ci sono i requisiti fondamentali per l'esistenza di uno Stato palestinese».
Il sangue di Gaza
L’attuale scenario diplomatico, però, preoccupa i familiari degli ostaggi. Con Netanyahu che ancora non apre alla possibilità di un accordo la vita dei venti prigionieri ancora presenti nella Striscia è a rischio. Parlando a Fox News, Trump ha infatti detto che un paio di ostaggi «potrebbero essere morti negli ultimi giorni».
Intanto a Gaza scorre senza sosta la scia di sangue. Nella giornata di venerdì l’esercito israeliano ha ucciso oltre 50 palestinesi, di cui 37 solo a Gaza City dove è in corso l’offensiva militare dell’Idf che punta a conquistare la città.
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