La scarsità di vaccini anti Covid-19 ha colpito anche l’Europa. Pfizer ha annunciato che ridurrà le consegne dei suoi vaccini 20 per cento, una scelta che al momento appare entro i limiti del suo contratto, anche se rimane politicamente controversa. Ancora peggio, AstraZeneca ridurrà del 60 per cento le sue consegne a partire da febbraio. Se queste riduzioni saranno confermate, sarà complicato per l’Europa mantenere il suo obiettivo: proteggere almeno il 70 per cento della popolazione entro l’estate. 

Come gli esperti temevano sin dalle prime settimane della pandemia, la produzione si è rivelata il vero collo di bottiglia nel grande piano vaccinale coordinato dalla Commissione europea. La reazione ai problemi di queste settimane è stata dura.

I governi europei minacciano Pfizer e AstraZeneca di cause legali (che appaiono più fondate nel caso della seconda), mentre la Commissione si prepara ad approvare un nuovo regolamento per rendere più complicata l’esportazione di vaccini anti Covid-19 fuori dall’Unione Europea. È chiaro contro chi è diretta questa mostra: Israele, Regno Unito e Stati Uniti, a cui Pfizer e AstraZeneca hanno fornito molte più dosi e molto più in fretta di quanto abbiano fatto con l’Unione Europea. Come ha riassunto efficacemente il primo ministro croato: «La diplomazia vaccinale è diventata dirottamento vaccinale».

Il fatto che i paesi più ricchi del mondo siano arrivati a contendersi i vaccini gli uni con gli altri, lascia intuire quante poche dosi rimangano per il resto del mondo. Americani ed europei sono poco più del 10 per cento della popolazione mondiale, ma insieme hanno ricevuto quasi il 50 per cento di tutti i vaccini prodotti fino a questo momento. I paesi membri dell’OCSE, i più industrializzati al mondo, hanno ricevuto un totale di circa 40 milioni di dosi di vaccino. La Cina altre 15 e tutto il resto del mondo si è dovuto dividere i dieci milioni che sono avanzati.

Questa scarsità non è soltanto il risultato della difficoltà di produrre vaccini, ma è il prodotto dei meccanismi del mercato e di un maldestro tentativo di difendere l’interesse nazionale da parte dei governi. 

Paradossalmente, infatti, già oggi potremmo già produrre molti più vaccini di quanto non stiamo facendo. Soltanto in Europa ci sono almeno due grandi aziende con linee di produzione non impegnate nel produrre vaccini anti Covid-19: la francese Sanofi e la tedesca Bayern. Da qualche settimana, Sanofi sta discutendo la possibilità di produrre il vaccino Pfizer, ma per il momento le trattative non hanno avuto esito.

La capacità produttiva non impegnata nel resto del mondo è almeno altrettanto grande. India e Sudafrica, due paesi con un’avanzata industria farmaceutica, hanno chiesto più volte all’Organizzazione mondiale del commercio di sospendere i brevetti che proteggono i vaccini anti Covid-19. In questo modo, anche i loro impianti potrebbero essere utilizzati per sfornare nuovi vaccini, mentre le aziende detentrici dei brevetti riceverebbero un compenso stabilito a tavolino.

Dietro la richiesta di India e Sudafrica ci sono anche ragioni commerciali. Produrre in licenza il vaccino di Pfizer o quello di Moderna, significherebbe avere l’opportunità di studiare una tecnologia (quella dei vaccini a mRna) sperimentale e con promettenti implicazioni per il futuro. Acconsentire alle loro richieste, quindi, significherebbe cedere know how tecnologico in cambio di una maggiore produzione di vaccini di cui solo una parte probabilmente tornerebbe in Europa e Stati Uniti.

Non sorprende che fino ad oggi i paesi ricchi si siano tutti schierati al fianco delle aziende farmaceutiche e contro quei paesi in via di sviluppo che chiedono di attenuare la tutela dei brevetti. Ma i recenti problemi con Pfizer e AstraZeneca potrebbero portare a uno storico cambio di posizione. Anche senza arrivare alla sospensione dei brevetti, i trattati internazionali prevedono clausole che consentirebbero, ad esempio, al governo francese di imporre a Pfizer una cessione temporaneamente della sua licenza a Sanofi, per consentire a quest’utima di produrre il vaccino.

È comprensibile che i governi cerchino di proteggere i loro campioni nazionali dell’industria farmaceutica. E che, allo stesso tempo, utilizzino il loro potere economico e diplomatico per accaparrarsi quante più dosi di vaccino possibile, anche a scapito dei paesi più poveri e spesso sotto la pressione di un’opinione pubblica e di un’industria mediatica che sembrano considerare il numero di vaccini distribuiti una questione di prestigio nazionale.

Medici e scienziati, però, avvertono che non è questo il modo più sicuro per proteggersi dal coronavirus. Fino a che ci saranno sacche di popolazione non vaccinata, il virus continuerà a circolare, a diffondersi e a mutare, eventualmente producendo una variante contro cui i vaccini non sono altrettanto efficaci. In parte sta già accadendo, con le nuove varianti scoperte in Brasile e in Sudafrica.

Come ha detto il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus: «Il mondo si trova sul ciglio di un catastrofico fallimento morale». È interesse di ogni nazione fare sì che più vaccini siano disponibili per più persone e il più in fretta possibile, indipendentemente dal paese in cui abitano. Quel che resta da vedere è se i governi dei paesi ricchi saranno in grado di capirlo e di superare gli enormi ostacoli che ci saranno nel tradurlo in pratica.

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