«Siamo state molto sorprese dal comunicato della Santa Sede nella quale il Santo Padre chiede di esaminare il caso Rupnik al Dicastero per la Dottrina della fede e deroga alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo che possa rendere giustizia alle vittime. Speriamo che questo sia un passo idoneo per vedere riconosciuta la verità. Siamo in attesa di ulteriori sviluppi». È volutamente scarna la dichiarazione che cinque delle persone offese da don Marko Rupnik hanno voluto rilasciare in seguito all’inaspettata decisione di papa Francesco di riaprire il processo canonico all’ex gesuita accusato di abusi su almeno una ventina di donne.

Poche parole per sottolineare una prudente sospensione del giudizio, in vista di un procedimento che a questo punto dovrebbe tenersi a breve. A firmare sono quattro ex sorelle della Comunità Loyola, di cui Rupnik era il consigliere spirituale nei primi anni '90 – Gloria Branciani, Mirjam Kovač, Vida Bernard, Mira Stare – e una religiosa che appartiene ancora alla comunità, Jožica Zupančič. Le prime quattro il 19 settembre scorso avevano già scritto, insieme a Fabrizia Raguso, un’altra ex suora della Comunità Loyola, una lettera aperta a papa Francesco in cui dichiaravano di sentirsi profondamente offese dalla relazione finale della visita canonica al Centro Aletti, che in sostanza riabilitava la figura di Rupnik, fondatore e mentore del centro.

Uscire dall’anonimato

Non solo: oggi Gloria Branciani e Mirjam Kovač escono dall’anonimato e rendono pubblico il nome con cui avevano affidato a Domani le loro testimonianze, quasi un anno fa. Gloria Branciani infatti è “Anna”, che aveva raccontato in una lunga intervista gli abusi sessuali e di coscienza subiti da Rupnik per nove anni, da quando era una studentessa universitaria e faceva da modella al gesuita nel suo atelier fino all'ingresso nella Comunità Loyola in Slovenia.

Secondo il racconto di Branciani, Rupnik era riuscito, grazie a un uso accorto e manipolatorio del discernimento ignaziano, a fare leva sulle sue fragilità fino a indurla ad avere rapporti sessuali con lui. L’ex gesuita giustificava le sue azioni dicendo che potevano vivere liberamente il sesso «a immagine dell'amore trinitario». Mirjam Kovač, “Ester”, all’epoca segretaria della madre superiora Ivanka Hosta, aveva raccontato i suoi tentativi di denunciare gli abusi di Rupnik alle autorità ecclesiastiche e ai gesuiti a partire dal 1993. Anche Branciani nel '94, al momento della sua uscita dalla Comunità Loyola aveva raccontato quello che le era successo a monsignor Alojzij Šuštar, all'epoca arcivescovo di Lubiana, e persino al consigliere spirituale di padre Rupnik, padre Tomáš Špidlík, poi nominato cardinale.

Nessuno le aveva ascoltate. Branciani e Kovač erano tornate a scrivere ai gesuiti e a diverse personalità della chiesa nel giugno 2022, ribadendo le accuse a Rupnik e chiedendo conto dell’inchiesta sul sacerdote che in quel momento era in corso alla Congregazione per la dottrina della fede; inchiesta poi conclusa nell'ottobre scorso con la prescrizione dei fatti. Ora papa Francesco, con la decisione di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento del processo, ha sparigliato le carte e (almeno apparentemente) riaperto il gioco, che sembrava avviato a concludersi con l’incardinazione del sacerdote nella diocesi di Capodistria.

Proprio la notizia che Rupnik è stato accolto a fine agosto nella sua diocesi di origine dal vescovo Jurij Bizjak, arrivata soltanto un giorno prima dell’annuncio della riapertura del processo canonico, ha gettato non poco scompiglio nella chiesa slovena. Andrej Saje, presidente della Conferenza episcopale, si è subito smarcato dalla decisione di monsignor Bizjak, sottolineando in un comunicato ufficiale che la conferenza dei vescovi «non ha partecipato al processo di incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria». Saje ha aggiunto di non averne mai saputo nulla: «Ogni vescovo è autonomo e indipendente a questo riguardo, quindi non è obbligato a informare la Conferenza episcopale».

Anche la dinamica e la tempistica dell’incardinazione sono degni di nota. La diocesi di Capodistria sottolinea che il vescovo «non dispone di alcun documento probatorio che dichiari Rupnik colpevole degli abusi, di cui è stato accusato, davanti a un tribunale civile o ecclesiastico». Già a inizio marzo, però, padre Johan Verschueren, delegato per le Case e Opere Internazionali romane della Compagnia di Gesù ed ex superiore di Rupnik, aveva scritto a Bizjak per informarlo della difficoltà riguardanti il sacerdote, che evidentemente già all'epoca era alla ricerca di una diocesi. «Ho descritto ampiamente i diversi tipi di accuse, e di abuso, che sono occorsi negli ultimi tempi nei suoi confronti, e la situazione giuridica di ogni dossier, anche la scomunica (in cui era incorso nel 2020 per aver assolto in confessione una donna con cui aveva avuto un rapporto sessuale, ndr), afferma padre Verschueren a Domani.

«Sono state descritte in dettaglio le forti misure di restrizione, e le ragioni per cui erano state prese e infine ho chiesto al vescovo se, dopo aver ricevuto tutte queste informazioni, rimanesse nell'intenzione di accoglierlo – prosegue Verschueren – La sua risposta qualche settimana dopo mostrava che non aveva l’intenzione di cancellare la sua offerta di incardinare padre Rupnik, se questi avesse ottenuto l’indulto per lasciare la Compagnia di Gesù, cosa che gli è stata rifiutata dal padre generale».

Rupnik infatti non ha ottenuto l’indulto ma è stato cacciato dalla Compagnia lo scorso 14 luglio; nonostante questo, e contrariamente a quello che aveva assicurato a padre Verschueren, il vescovo Bizjak ha ritenuto di incardinarlo ugualmente, segno di una chiara determinazione a voler assicurare a Rupnik la diocesi di cui aveva bisogno per poter continuare a esercitare il sacerdozio una volta espulso dai gesuiti.

La decisione di Bergoglio

Ed ecco il colpo di scena. Secondo il bollettino della Santa Sede, Bergoglio è giunto alla decisione di far riesaminare il caso al Dicastero per la dottrina della fede (da settembre presieduto dal cardinale argentino Víctor Manuel Fernández) in seguito a «gravi problemi  nella gestione del caso di P. Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime» segnalati «nel mese di settembre» dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori.

Al cambio di rotta avrebbe contribuito anche il clima dell’assemblea sinodale, sensibile al tema degli abusi, e in particolare – riferisce una nostra fonte – una discussione avuta proprio sul caso Rupnik con il cardinale Seán Patrick O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori.

È un fatto che il 21 ottobre alcune vittime di Rupnik sono state ascoltate dalla Pontificia Commissione in un incontro online: l’intento era quello di garantire in futuro «che le procedure per assistere le vittime siano giuste, trasparenti e adeguate per fornire un ambiente sicuro e rispettoso per tutti coloro che sono colpiti dall’abuso».

«A questo punto non serve ascoltare le vittime, perché tutte siamo state ascoltate più volte e l’unica cosa che manca è la giustizia: questo è quello che ho detto alla Tutela Minorum – ha riferito una delle vittime di Rupnik che ha partecipato all’incontro e che preferisce mantenere l’anonimato – Non ho bisogno di ascolto ma di giustizia, per me e per le altre». Branciani e Kovač invece non hanno partecipato: «Abbiamo proposto ai membri della Commissione un'altra modalità, che prevedesse un colloquio in presenza con il nostro avvocato: hanno acconsentito, ma ancora non abbiamo stabilito quando e dove si svolgerà», spiega Gloria Branciani.

Restano molti nodi da sciogliere per comprendere l’improvviso voltafaccia di Francesco. È possibile che il papa, messo sotto pressione da parte del Sinodo e soprattutto dall’indignazione delle vittime, abbia cambiato politica e abbandonato al suo destino l’amico protetto fino a ieri? Non resta che attendere il processo, a questo punto determinante per capire le intenzioni del Vaticano.

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