Mentre in Ucraina infuria una guerra che – sostiene Vittorio Da Rold – ha distrutto tutte le nostre eterne convinzioni, la Cina prova a esporsi il meno possibile, bilanciando la sua partnership strategica con la Russia con la necessità di non rompere del tutto con gli Stati Uniti e di migliorare le relazioni con l’Unione europea (la Commissione ha annunciato per il prossimo 1° aprile un vertice Bruxelles-Pechino).

Col protrarsi del conflitto, la leadership di Pechino potrà trarre vantaggio dallo spostamento delle pressioni dell’amministrazione Biden dalla Cina alla Russia ma, nello stesso tempo, dovrà minimizzare le ripercussioni sull’economia cinese di questa gravissima crisi internazionale.

Tuttavia, nell’eventualità di un conflitto particolarmente sanguinoso, in assenza di aperture al dialogo da parte della Russia, Pechino potrebbe essere costretta a prendere le distanze da Mosca, per non “perdere la faccia”: affinché una “potenza responsabile” che ha perseguito una lunga “ascesa pacifica” non venga associata a chi, invadendo uno stato indipendente, ha fatto strame dei princìpi di base del diritto internazionale.

Le mosse della diplomazia cinese

La Cina – assieme all’India e agli Emirati arabi  – si è astenuta sulla risoluzione (bloccata dal veto di Mosca) con la quale il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 25 febbraio scorso intendeva «deplorare» l’aggressione russa all’Ucraina e chiedere «l’immediato, incondizionato e completo ritiro» delle truppe d’invasione.

All’Assemblea generale dell’Onu – convocata in seduta straordinaria lunedì 28 febbraio – l’ambasciatore cinese, Zhang Jun, ha dichiarato che «la priorità immediata è che tutte le parti esercitino moderazione, prevengano un ulteriore peggioramento della situazione, intensificando gli sforzi diplomatici volti a una soluzione politica».

Pechino è contraria alle sanzioni non varate in ambito Onu. Secondo il governo cinese, le sanzioni «non sono mai uno strumento efficace per risolvere i problemi e la Cina si oppone sempre a tutte le sanzioni unilaterali illegali». Interessante quest’analisi di un ricercatore del ministero del Commercio di Pechino, secondo cui l’espulsione della Russia dal sistema internazionale di transazioni Swift potrebbe avere conseguenze limitate per Mosca.

Nello stesso tempo, accentuando una tendenza in corso da anni, Pechino sta sostenendo Mosca finanziariamente, avendo rimosso i limiti (anti-Covid) all’importazione di grano russo e aumentato quelle di carbone, gas e petrolio.

Lo sconcerto sui social: ci siamo alleati con un invasore?

La telefonata che il 25 febbraio scorso Xi Jinping ha fatto a Putin è stata letta dai media come una disponibilità del presidente cinese a offrirsi come mediatore di un conflitto destinato perfino a cambiare le regole fiscali dell’Unione europea. Il 1° marzo poi il ministro degli Esteri, Wang Yi, ha chiamato il suo omologo ucraino, Dmytro Kuleba, al quale ha assicurato che «abbiamo sempre sostenuto la posizione secondo cui la sovranità nazionale e l’integrità territoriale delle nazioni devono essere rispettate» (la Repubblica popolare cinese comprende due regioni, il Xinjiang e il Tibet, che assieme costituiscono più di un quarto del territorio dell’intera Cina, con una forte presenza di minoranze etniche (uigura e tibetana) e di movimenti separatisti. Ma con Kuleba Wang ha discusso soprattutto dell’evacuazione dei cittadini cinesi dall’Ucraina.

Più che il desiderio di essere coinvolta in un’eventuale mediazione, queste mosse della leadership cinese segnalano il tentativo di rassicurare l’opinione pubblica interna. Nei social media e nelle università cinesi si è infatti manifestato chiaramente lo sconcerto dopo il documento per una nuova èra di relazioni internazionali e di sviluppo globale sostenibile sottoscritto da Xi e Putin il 4 febbraio scorso in apertura delle olimpiadi invernali.

Una partnership strategica “senza limiti” siglata dalla Cina con un paese invasore (la Russia), dopo che per anni la propaganda ha bombardato i cinesi con il messaggio secondo cui gli Stati Uniti esportano la democrazia invadendo altri paesi, mentre Pechino difende come sacri i princìpi della sovranità e dell’unità territoriale.

A fine febbraio sui social cinesi sono apparsi appelli dell’ambasciata ucraina a Pechino per donare in favore della popolazione ucraina, messaggi che hanno ottenuto milioni di like e che sono stati rimandati anche dalla tv di stato CCTV. Nello stesso tempo i media governativi parlano il meno possibile dell’invasione dell’Ucraina (un paese con il quale la Cina ha intensi rapporti commerciali) proprio per evitare di far risaltare la stridente contraddizione della quasi-alleanza di Pechino con Mosca.

In definitiva l’equilibrismo cinese nella crisi ucraina è molto complicato e si gioca su più piani: quello dei rapporti con la Russia; con gli Stati Uniti e l’Unione europea; delle ricadute della crisi ucraina sull’economia globale; e anche un fronte interno, quello di un’opinione pubblica sempre più attenta e informata sulle grandi questioni internazionali. In ognuno di questi ambiti il partito adotterà strada facendo la soluzione che riterrà più funzionale al mantenimento della stabilità interna, in una fase di continuo rallentamento dell’economia, dunque prestando un’attenzione particolare proprio alle ricadute economiche interne e all’opinione pubblica nazionale.

Il Partito comunista apre una scuola quadri in Tanzania

Il sistema di governo a partito unico associato a una massiccia proprietà statale che convive col mercato, ovvero il “modello” che, nel 1984, Deng Xiaoping battezzò «socialismo con caratteristiche cinesi», può diventare esportabile nei paesi in via di sviluppo?

Potrebbe sembrare questo l’obiettivo della prima scuola quadri inaugurata dal Pcc il 23 febbraio scorso a Kibaha, nei pressi della capitale della Tanzania, Dar es Salaam, per formare dirigenti politici di Tanzania, Sudafrica, Mozambico, Angola, Namibia e Zimbabwe. La scuola, finanziata con 40 milioni di dollari dal Partito comunista cinese, è stata intitolata all’eroe dell’indipendenza della Tanzania Julius Nyerere.

  • Perché è importante

Si è dibattuto a lungo sull’unicità del modello cinese, e molti studiosi hanno sostenuto la sua non replicabilità al di fuori della Cina, dove ha trovato terreno fertile a causa di una serie di coincidenze storico-culturali del gigante asiatico, tra le quali il confucianesimo, la voglia di riscatto dal “lungo secolo dell’umiliazione” coloniale (1839-1949), l’emancipazione – a partire dal 1979, dalla stagione di “riforma e apertura” – dal sottosviluppo di una popolazione così numerosa, attualmente a “reddito medio”.

  • Il contesto

In effetti, più che alla formazione sulla base del “modello” cinese, questa “succursale” della Tanzania sarà votata alla “diplomazia tra partiti”, alla quale tradizionalmente il Pcc dà grande importanza, ad esempio invitando periodicamente in Cina rappresentanti di partiti di tutto il mondo, per approfondire la conoscenza reciproca, e instaurare relazioni economico-commerciali.

Nel 2021 l’interscambio commerciale tra la Cina e l’Africa è cresciuto del 35 per cento, toccando 254 miliardi di dollari. E le aziende di stato cinesi nel Continente nero stanno costruendo infrastrutture nell’ambito della nuova via della Seta, spesso finanziate con prestiti concessi ai paesi africani dalle banche cinesi.

Alcuni dei partiti storici della decolonizzazione africana, come ad esempio il Fronte per la liberazione del Mozambico e l’Unione nazionale africana dello Zimbabwe ricevettero all’epoca della guerriglia anti-coloniale addestramento e aiuti dalla Cina di Mao, con la quale si instaurò un’affinità anche ideologica.

Oggi i partiti dell’Africa indipendente sembrano alla ricerca di una formazione politico-manageriale. La presidente Samia Suluhu Hassan, a capo del Chama Cha Mapinduzi (il partito di governo in Tanzania) ha spiegato che «la scuola formerà i giovani al patriottismo, valuterà i progressi compiuti nei sei paesi da quando hanno ottenuto l’indipendenza e pianificherà la crescita futura. Vogliamo che i nostri partiti abbiano leader ben organizzati, leader forti che conoscano la loro disciplina e i loro valori, che capiscano, gestiscano ed educhino la comunità sulla nostra ideologia».

Yuan, di Lorenzo Riccardi

Le tante Cine dei dati economici regionali

Il prodotto interno lordo (Pil) della Cina ha raggiunto 17,7mila miliardi di dollari nel 2021, in aumento dell’8,1 per cento rispetto all’anno precedente, questo è quanto dicono i dati raccolti dall'Ufficio nazionale di statistica (Nbs). Il Guangdong (1.928 miliardi di dollari), il Jiangsu (1.804 miliardi di dollari) e lo Shandong (1.288 miliardi di dollari) sono le province con il Pil più consistente, mentre Hubei, Hainan e Shanxi sono le regioni che stanno crescendo più rapidamente.

Il Guangdong, a sud della Cina, è la provincia più grande per popolazione e con un incremento del prodotto interno lordo dell’8 per cento è la prima e unica provincia ad aver superato i 1.900 miliardi di dollari, mentre il Jiangsu ha registrato un aumento di 2,1 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente

Nel 2021, lo Hubei, provincia epicentro della crisi del Covid-19, è stato il motore della ripresa della Cina con un tasso di crescita del 12,9 per cento rispetto all’anno precedente. Questa crescita è indice dello sforzo e della determinazione della provincia nel tornare alla situazione pre-pandemica.

Hainan, provincia insulare sul Mar cinese meridionale, ha registrato un tasso di crescita dell’11,2 per cento in prevalenza grazie al turismo, con più di 81 milioni di visitatori in aumento del 25,5 per cento rispetto all’anno precedente.

Lo Shanxi ha registrato un aumento del Pil pari a 9,1 per cento mediante i settori dell’agricoltura, silvicoltura, allevamento e pesca.

Tibet (32 miliardi di dollari) e Qinghai (52 miliardi di dollari) sul Plateau e la piccola provincia del Ningxia (70 miliardi di dollari) hanno i valori di Pil e di popolazione più bassi del paese.

Le regioni a minor Pil annuo pro-capite sono Gansu (6.350 dollari), Heilongjiang (7.275 dollari) e Guangxi (7.643 dollari), mentre le amministrazioni più ricche sono Pechino (28.521 dollari) e Shanghai (26.929 dollari).

Carbone, nel 2021 il consumo più alto degli ultimi dieci anni

Nel 2021 – in coincidenza con il poderoso rimbalzo della sua economia (+8,1 per cento, dopo il record negativo del +2,3 per cento del 2020) – la Cina ha fatto registrare un’impennata nell’utilizzo di energia, tra cui quella generata dal carbone. Secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica (Nbs), i consumi del combustibile fossile di cui la Cina (principale emettitore globale di gas serra) è il principale utilizzatore mondiale, sono ammontati l’anno scorso a 5,24 miliardi di tonnellate, +4,6 per cento rispetto al 2020.

  • Perché è importante

Il tasso di crescita dell’impiego di carbone l’anno scorso è stato il più alto dal 2011. Xi Jinping si è impegnato davanti alle Nazioni Unite a raggiungere il picco delle emissioni di CO2 entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2060. Tuttavia il governo di Pechino non ha fissato limiti al consumo totale di energia o ai livelli di emissioni di gas serra per centrare l’ambizioso obiettivo indicato dal presidente cinese.

Dopo il rilancio dell’estrazione di carbone in seguito ai blackout dell’anno scorso (frutto dell’aumento della domanda, dell’interruzione delle catene di approvvigionamento e di caotiche politiche dei governi locali per ridurre le emissioni), il timore è che la Cina possa “allentare” gli impegni ambientali per sostenere la sua economia, colpita dall’interruzione delle catene di approvvigionamento, dal calo della domanda interna e dalle restrizioni anti-Covid.

  • Il contesto

Ciò che quest’anno potrebbe contenere l’utilizzo del carbone in Cina è una crescita economica che si prevede molto meno robusta rispetto al 2021. La scorsa settimana ING ha rivisto le stime per il 2022 dal +5,4 per cento al 4,8 per cento.

Tra i fattori che contribuiscono al rallentamento della crescita cinese c’è la crisi del mercato immobiliare, con le nuove costruzioni sostanzialmente ferme dopo lo scoppio della crisi del colosso Evergrande. E le misure del governo “contagi-zero” per limitare la diffusione del coronavirus, che hanno provocato un rallentamento del processo di urbanizzazione che, assieme al mattone (che rappresenta circa un terzo del Pil cinese) negli ultimi decenni è stato tra i protagonisti del continuo aumento della crescita.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani, e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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