Abbiamo analizzato diversi aspetti della personalità di Vladimir Putin e del regime che ha creato basandosi sulle dottrine e sulle pratiche del Kgb e del suo epigono, l’Fsb. Se c’è una lezione da imparare è che il presidente russo, come tutti gli apparatčik dei servizi segreti, ritiene il crollo dell’Unione sovietica e, di conseguenza, la fine del regime comunista, la peggiore catastrofe geopolitica del XX secolo. Da qui nasce la sua idea ossessiva in primo luogo di restaurare l’impero e impedire alle ex repubbliche sovietiche di emanciparsi dal “grande fratello”, e in secondo luogo di ricostruire un sistema di governance di tipo sovietico con un Vožd’, un capo, e un corpo d’élite, il Kgb-Fsb, al potere, senza alternanza. Questo tipo di ossessione è stato ben definito da Eugène Minkowski, uno psichiatra nato a San Pietroburgo nel 1885: «La forma specifica dell’idea delirante non è altro insomma che il tentativo del pensiero, rimasto intatto, di stabilire un nesso logico tra le diverse pietre dell’edificio in rovina».

In pratica, Putin ha cercato di ricostruire un edificio fantasmatico che si regge su tre deliri logici. Il primo mira a ripristinare la grandezza geopolitica dell’Urss e si basa sulla negazione assoluta della sconfitta storica del comunismo (che, nel 1989, ha perso la Guerra fredda), sconfitta che ha portato, nel 1991, al fragoroso crollo dell’assurdo sistema di rifiuto della proprietà privata e del regime di terrore di massa inaugurato il 7 novembre 1917, e che ha messo così fine al primo regime totalitario della storia.

Nessuna delle nazioni rimaste rinchiuse per decenni dietro la “cortina di ferro” o dentro l’Unione sovietica ha alcuna voglia di tornare a quel regime. Per legittimare il suo progetto, Putin fa leva sul prestigio che l’Urss conquistò con la vittoria sul nazismo, nel 1945, “dimenticando” che alla Seconda guerra mondiale diede inizio il patto di alleanza tra Hitler e Stalin, le cui clausole prevedevano lo smembramento totale della Polonia, con l’assegnazione all’Urss della sua parte orientale (l’attuale Ucraina occidentale) e alla Germania della sua parte occidentale, e l’attribuzione, sempre all’Urss, dei paesi baltici e della Bessarabia rumena, l’attuale Moldavia.

Putin ha costruito il suo secondo delirio intorno alla mitologia della grandezza dell’antico impero degli zar. È una geopolitica sostenuta dagli ultranazionalisti, che si fonda su un’idea delle zone d’influenza in base alla quale solo certi paesi, come la Russia, godrebbero di una vera sovranità, mentre gli altri sarebbero condannati a subire i loro diktat (una concezione caduta nell’oblio quando, nel 1918, fu enunciato il diritto all’autodeterminazione dei popoli), sulla visione espansionistica di un’Eurasia che è stata peraltro respinta dagli europei, e infine sulla mitologia di una chiesa ortodossa ufficiale – in realtà il patriarcato di Mosca – che si riteneva assicurasse l’unità degli slavi, mentre fin dal 1929 il patriarcato non è che una creatura dell’Nkvd-Kgb.

Il terzo delirio rimanda alla fantasia dell’unità dei «fratelli» e dei «popoli fratelli» russi e ucraini. Ora, nonostante le antiche relazioni con i russi, nel periodo sovietico gli ucraini hanno avuto tutto il tempo di constatare che i bolscevichi cercavano con ogni mezzo, ivi compresa la carestia genocidaria dell’Holodomor del 1932-1933, di impedire loro di costruire e sviluppare la propria cultura, la propria nazione e il proprio stato. Soprattutto, ottenuta nel 1991 l’indipendenza alla quale aspiravano da secoli, gli ucraini hanno dimostrato che, nella tradizione dei contadini cosacchi liberi e spesso in rivolta contro gli zar, sono profondamente attaccati alla loro libertà e all’edificazione di uno stato di diritto.

Il regime di Putin si è autointossicato con i suoi tre deliri, che lo hanno spinto a commettere errori politici irreparabili: in nessun momento il grande capo e i suoi accoliti – la banda putiniana costituitasi a San Pietroburgo tra il 1991 e il 1996 e al potere ormai dal 2000 – avevano immaginato la resistenza armata e di massa del popolo ucraino, né la risposta unitaria dell’Unione europea, né la quasi unanimità dell’Assemblea generale dell’Onu contro di loro, né la forza delle sanzioni a cui la Russia si sarebbe esposta. Allo stesso modo, anche se i due personaggi non possono essere totalmente equiparati, nel settembre 1939 Hitler non immaginò che la Francia e l’Inghilterra sarebbero entrate in guerra per la Polonia, e nemmeno che gli Stati Uniti avrebbero deciso un intervento risultato fatale per la Germania, che ne ha pagato l’alto prezzo per decenni. Oggi, l’odio ideologico congenito di Putin nei confronti della democrazia costerà molto caro all’immagine e alla potenza della Russia nel corso del XXI secolo. Marcel Proust l’aveva capito bene: «I fatti non penetrano nel mondo dove vivono le certezze della nostra fede».

Nei giorni successivi alla fatidica data del 24 febbraio 2022, Putin è riuscito nell’impresa di ottenere l’esatto contrario di tutti i suoi obiettivi. Voleva prendere Kiev in pochi giorni e impadronirsi dell’intera Ucraina in poche settimane: un fiasco! Voleva dimostrare che il presidente ucraino Zelen’skyj era un «clown» e il suo governo un’accozzaglia di fantocci «degenerati» e «nazisti»: un fiasco! Affermava che l’Ucraina non esisteva come stato e che i «popoli fratelli» russo e ucraino appartenevano allo stesso «mondo russo»: un fiasco! Pensava che l’Unione europea, presan in ostaggio dal gas russo, non avrebbe reagito e si sarebbe profondamente divisa al suo interno: un fiasco! Riteneva, come altri in occidente, che la Nato fosse ormai in condizioni di «morte cerebrale»: un fiasco! Voleva allontanare a tutti i costi gli Stati Uniti dalla scena europea: un fiasco!

Come può una potenza mondiale essere ancora guidata da un capo così incompetente e, per giunta, arrogante?

Dopo che, nel 1560, Ivan il Terribile trasformò i contadini in servi della gleba; dopo che, nel 1825, Nicola I represse la rivolta dei decabristi, e dopo che, il 7 novembre 1917, i bolscevichi presero il potere con la forza, non si può davvero fare a meno di constatare che la sfortuna dei russi ha colpito ancora, provocando catastrofi tra loro, i loro vicini di casa e nel mondo intero. Bisogna proprio dire che la Russia sta correndo verso l’abisso.

Dietro la cortina di fumo che ha protetto per vent’anni il Cremlino e la sua diplomazia, la guerra mossa all’Ucraina ha rivelato la vera natura dell’ex agente del Kgb e del suo regime. Persino il “liberale” Dmitrij Medvedev, controfigura di Putin al potere dal 2008 al 2012, si rivela per quello che è, un genocida. A proposito degli ucraini, il 7 giugno 2022 ha dichiarato: «Sono dei bastardi e dei degenerati. Vogliono la nostra morte, la morte della Russia. E finché sarò in vita, farò tutto quello che potrò per farli sparire».

Paranoia, argomenti da nazisti che ritengono gli altri degli Untermenschen e vogliono il loro sterminio… Joseph Goebbels non parlava diversamente! D’altronde, non più tardi della fine di febbraio Medvedev si rallegrava che la guerra contro l’Ucraina fosse «l’occasione buona per ripristinare certe istituzioni importanti del paese, come la pena di morte». Anche Lenin, il 21 febbraio 1918, aveva deciso di ripristinare la pena di morte, che era stata abolita dalla rivoluzione democratica del febbraio 1917. Repetita iuvant

Seguendo le orme di Medvedev, lo scrittore e deputato ultranazionalista della Duma Zachar Prilepin ha istituito il 3 agosto 2022 una commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività antirusse nella sfera della cultura, la Grad (dal nome dei lanciarazzi multipli che ogni giorno tirano migliaia di bombe sull’Ucraina). Obiettivo della Grad: «Epurare lo spazio culturale», in pratica un appello alla delazione contro «gli agenti antirussi e i loro complici». È già stato steso un elenco di 150 di questi «agenti» e, per trarsi d’impaccio, le persone sospettate «non hanno che da esprimere pubblicamente il loro sostegno» all’«operazione militare speciale», cioè la guerra contro l’Ucraina. In poche parole, si torna direttamente alla casella Unione sovietica! Come ha dimostrato la Rivoluzione francese nel periodo del Terrore, in una dittatura ideologica solo la gara al rilancio può assicurare una parvenza di legittimità nella corsa al potere, favorendo chi, nelle parole ma anche negli atti, si mostri più ultranazionalista e genocida degli altri.

Ma a Mosca la lotta per il potere sarebbe così accanita che, come all’epoca del Comitato di salute pubblica, basterebbe la ghigliottina – o, all’occorenza, un’autobomba – a troncare ogni disputa? Aleksandr Dugin, l’ideologo più estremista del regime, ne ha fatto l’amara esperienza il 21 agosto 2022, anche se è stata sua figlia a morire nell’esplosione dell’auto sulla quale sarebbe dovuto salire lui.

Nel 1950 Stalin diede all’autocrate comunista nordcoreano Kim Il-sung il via libera per l’invasione della Corea del Sud, rischiando così di scatenare la terza guerra mondiale e avvelenando il clima internazionale in estremo oriente fino ai tempi odierni. Con la sua invasione dell’Ucraina, Putin segue le orme del suo predecessore e non esita ad agitare la minaccia di una terza guerra mondiale nucleare che, per definizione, sarebbe «l’ultima di tutte le guerre»!

Se il padrone del Cremlino è già costretto, nel momento in cui scriviamo, a ricorrere ai droni iraniani e ai proiettili e razzi nordcoreani, se chiede a criminali che scontano la pena in carcere e a senzatetto di rimpolpare i ranghi dell’eccelsa armata russa, significa che il glorioso esercito inizia a subire delle battute d’arresto. Ma Putin non può riconoscere la sconfitta, perché corre il forte rischio di perdere il potere, i miliardi e magari la sua stessa vita; praticherà quindi la fuga in avanti, fino alla sua possibile eliminazione.

È in un momento come questo che l’occidente deve essere più guardingo che mai. Il regime postputiniano, infatti, potrebbe benissimo indossare la maschera della “distensione”, come fece a suo tempo Medvedev, e mollare un po’ di zavorra con l’unico scopo di ottenere una rimozione delle sanzioni e di rafforzarsi, prima di contrattaccare. Per essere credibile, la Russia deve quindi ritirarsi fino all’ultimo centimetro dal territorio ucraino, Crimea compresa, e riconoscere l’adesione dell’Ucraina stessa alla Nato e all’Unione europea. Deve pagare all’Ucraina le riparazioni per tutta la distruzione e le morti di civili che ha provocato, restituirle tutti i cittadini deportati, bambini inclusi, e firmare e ratificare un trattato di pace con l’Ucraina, la cui sicurezza e inviolabilità territoriale sia garantita dai maggiori paesi europei e dagli Stati Uniti.

L’invasore dev’essere duramente punito per la sua aggressione e non deve avere la possibilità di ricominciare.

Solo una punizione del genere può risvegliare la coscienza dei russi, il 70 per cento dei quali, dopo sei mesi di combattimenti, sostiene ancora la guerra. È impensabile tornare con la Russia allo status quo ante bellum finché non siano soddisfatte queste condizioni, accompagnate da un ravvedimento nazionale e da pene severe per i colpevoli (amministratori, militari, propagandisti, ecc.). Soltanto nuove forze vive, disposte a farla finita con il sovietismo e il controllo del potere da parte del Kgb-Fsb, riusciranno a salvare la Russia e il suo popolo dalle chimere di un sanguinoso passato.

Questo testo è tratto da Il libro nero di Putin – Cronache di una dittatura, di Galia Ackerman e Stéphane Courtois, traduzione di Teresa Albanese, Laura Serra e Gabriella Tonoli © Éditions Robert Laffont, Paris, 2022 © 2023 Mondadori Libri S.p.A., Milano

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