Trascorsi più di cinque anni dalla sconfitta territoriale dello Stato islamico, 11.500 uomini, 14.500 donne e 30.000 minorenni sono trattenuti in almeno 27 centri di detenzione e nei due campi di Al Hol e Roj, nel nord est della Siria.

In totale, secondo un rapporto pubblicato in questi giorni da Amnesty international, 56.000 persone prive di diritti, tenute in condizioni subumane, spesso non accusate di alcun reato, talora vittime di reati commessi proprio dallo Stato islamico.

Oltre a siriani e iracheni, ci sono cittadini di altri 74 stati. Meno di un quinto è stato processato, peraltro in modo del tutto sommario, sulla base di prove estorte con la tortura, senza neanche la presenza di un avvocato.

La coalizione anti Isis

Questo sistema detentivo è diretto dalle Autorità autonome della regione del nord e dell’est della Siria, composte dalle Forze democratiche siriane (Fds), da altre forze di sicurezza a loro affiliate e dal braccio civile delle Fds, l’Amministrazione autonoma democratica del nord e dell’est della Siria.

Nel 2014 il dipartimento della Difesa degli Usa ha istituito una coalizione anti Stato islamico. Sebbene formalmente ne facciano parte 29 stati, gli Usa sono responsabili della strategia, della pianificazione, del finanziamento e delle operazioni sul campo.

Questa coalizione ha ristrutturato i centri di detenzione esistenti nel nord est della Siria, ne ha costruiti di nuovi e ha versato centinaia di milioni di dollari alle Fds.

Dunque, il governo statunitense ha avuto un ruolo centrale nella creazione e nello sviluppo di questo sistema detentivo, lasciandone poi l’onere della gestione a un soggetto non statale, con risorse limitate e che amministra un territorio dove ci sono ancora conflitti attivi.

Le autorità autonome

In uno scambio di corrispondenza con Amnesty International, le autorità autonome hanno criticato «la comunità internazionale e i partner globali» per non aver «dato seguito ai loro obblighi giuridici e morali» e sottolineato che gli stati che hanno loro cittadini nel sistema di detenzione e la comunità internazionale nel suo complesso le hanno lasciate sole «nel gestire le conseguenze» dei combattimenti contro lo Stato islamico.

Le autorità autonome non sono però prive di responsabilità.

Nella struttura detentiva di Sini, diretta dalle Fds e situata nella periferia di al-Shaddadi, tra il 2019 e il 2023 i detenuti sono stati regolarmente sottoposti a torture e altri maltrattamenti: percosse, frustate con cavi elettrici, sospensioni coi polsi legati in posizioni dolorose, violenza sessuale e scariche elettriche.

Nel 2020 17 detenuti sono morti di caldo in una cella perché non era stato cambiato il ventilatore dopo che aveva smesso di funzionare.

In un’altra struttura detentiva chiamata “Panorama”, è in corso da anni un’epidemia di tubercolosi. Nell’agosto 2023 rappresentanti delle Fds hanno informato Amnesty international che una percentuale assai alta di detenuti aveva contratto la malattia e che in media ogni settimana c’erano due decessi. Non stavano gestendo i focolai né isolando le persone infette.

Nei due campi di al-Hol e Roj, dove alla fine del 2023 si trovavano oltre 46.600 persone, nel 94 per cento dei casi donne e minorenni, le cose non vanno meglio. Come ha detto una detenuta, «la vita qui è una morte lenta e dolorosa».

I livelli di violenza di genere sono elevati ma non ci sono sistemi adeguati di protezione e sostegno per le donne a rischio.

Nonostante gli sforzi fatti dalle autorità autonome per identificare e rimpatriare le vittime yazide di quello che le Nazioni unite hanno riconosciuto come un genocidio (quest’anno ricorrono dieci anni), si ritiene che decine se non centinaia di esse si trovino ancora nelle strutture detentive, così come molte altre donne e bambine sopravvissute ai matrimoni forzati, al traffico di esseri umani e allo sfruttamento sessuale da parte dello Stato islamico.

Sarebbe più che urgente identificare le persone da scarcerare immediatamente, soprattutto le vittime dei crimini dello Stato islamico e i gruppi a rischio, come ad esempio le bambine e i bambini. Una loro intera generazione non ha conosciuto che guerra e ingiustizia.

La minaccia dello Stato islamico a livello globale resta concreta. Le violazioni dei diritti umani in corso nel nord est della Siria non fanno altro che alimentare ulteriore rabbia. Per il bene di tutti, occorrerà risolvere questa situazione.

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