Si sta tenendo a Roma in questi giorni (dal 3 al 13 settembre) il sinodo della chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, i cui lavori si svolgono presso il collegio ucraino di San Giosafat, a due passi dal Vaticano e vedranno la partecipazione di 56 vescovi in rappresentanza di tutte le comunità greco-cattoliche del mondo, ucraine in primo luogo quindi, comprese le zone interessate più da vicino dal conflitto in corso, ma non solo.

Si tratta di un evento ecclesiale e politico importante. In primo luogo perché i vescovi ucraini hanno l’opportunità di rivolgersi all’opinione pubblica mondiale e al papa da un pulpito dal quale potranno trovare maggiore ascolto, e qui si può leggere un primo segno di apertura chiaro della santa sede alle ragioni dei cattolici di Kiev, poi perché si dovrebbe svolgere nella mattinata di mercoledì 6 settembre un incontro fra lo stesso papa Francesco e i vescovi presenti per il sinodo, un evento rilevante considerate le difficoltà scaturite da tutta una serie di pronunciamenti di Bergoglio sul conflitto che poco erano piaciuti sia alle autorità politiche ucraine sia alla chiesa greco-cattolica in comunione con Roma.

Cultura e imperialismo

E se in tempi recenti sembrava che il terreno fosse stato sgomberato dalle incomprensioni e lo sforzo in favore della pace promosso da Francesco fosse stato collocato in un ambito in cui non restavano ambiguità da parte della Santa Sede circa le responsabilità della guerra e le sue conseguenze, da ultimo una serie di affermazioni di Francesco sulla storia russa, sul lascito dell’eredità culturale di Pietro il Grande e di Caterina II alle nuove generazioni russe, avevano riaperto le ferite, anche perché si trattava dei personaggi spesso richiamati a modello dallo stesso Putin.

In effetti il papa si è in parte scusato per quelle parole rispondendo ai giornalisti sul volo di ritorno dalla Mongolia dove ha spiegato: «In realtà, io non pensavo all’imperialismo quando ho fatto quei riferimenti, ho parlato della cultura, e la trasmissione della cultura mai è “imperiale”, mai; è sempre un dialogare, e parlavo di questo».

Il papa ha poi aggiunto: «È vero che ci sono degli imperialismi che vogliono imporre la loro ideologia. Mi fermo su questo: quando la cultura viene “distillata” e trasformata in ideologia, questo è il veleno».

Infine: «bisogna distinguere: quando si tratta della cultura di un popolo e quando si tratta delle ideologie che sorgono da qualche filosofo, da qualche politico di quel popolo».

Il papa non capisce

Sta di fatto che lo scorso 28 agosto, prima di partire per Roma, il capo della chiesa greco-cattolica, sua beatitudine Sviatoslav Shevchuk, aveva affermato fra le e altre cose: «Durante la guerra si è scoperto che il papa non capisce l’Ucraina, e l’Ucraina non capisce il papa. 

Possiamo dire la stessa cosa della Russia. Il papa non capisce la Russia, né la sua storia, né i suoi crimini attuali. E siamo noi che dobbiamo essere la voce della verità per il popolo ucraino, anche davanti al Santo Padre a Roma». 

Quindi in un messaggio diffuso il 4 settembre, prima aveva elogiato la capacità di ascolto del pontefice poi aveva aggiunto: «Ci aspettiamo che (il pontefice, ndr) faccia un gesto verso il nostro popolo sofferente che sarà più eloquente di centinaia di parole dette o scritte. 

Di conseguenza, stando a Roma, siamo pieni di speranza in Dio, nella sua presenza tra noi e nel suo potere di dare all’Ucraina e alla nostra chiesa la capacità di parlare a nome del popolo ucraino».

Sviatoslav inoltre, inaugurando il sinodo nella basilica di Santa Sofia, aveva anche affermato: «Oggi, quando i vecchi imperi si stanno risvegliando, quando l’aggressore russo sta conducendo una guerra neocoloniale in Ucraina, è così importante che il mondo ascolti la vera storia dell’Ucraina, anche della Russia, dell’Europa orientale, scritta non da colonizzatori e imperialisti, ma con il sangue dei popoli sottomessi che ora lottano per il diritto all’esistenza, alla libertà, all’indipendenza».

Nella stessa occasione era intervenuto, a nome del papa, mons. Claudio Gugerotti, prefetto del dicastero vaticano per le chiese orientali (il 30 settembre diventerà cardinale), il quale aveva ammesso che vi erano stati dei problemi di comprensione dei messaggi del vescovo di Roma sulla guerra, questi, aveva aggiunto, sono problemi caratteristici di una chiesa multinazionale con tante culture, sensibilità e interpretazioni diverse, quindi confermava l’attenzione e l’amore costante del pontefice nei confronti dell’Ucraina.

Mons. Gugerotti rivolgeva poi una preghiera al Signore chiedendogli di fermare «la mano dell’aggressore», «la mano di chi vuol sentirsi come Caino», spiegando che in questa pregheria, compiuta costantemente dal papa, si unisce la chiesa universale.

Si fermi questa guerra, ha detto ancora l’arcivescovo, che è deicida perché dove si uccide un innocente si uccide Dio.

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