L’offensiva unisce varie fazioni ribelli che negli anni più intensi del conflitto civile si sono anche fatti la guerra a vicenda. I ribelli annunciano il controllo della provincia di Idlib, l’esercito siriano si ritira da Aleppo. Il presidente Putin interviene in sostegno di Bashar al Assad
La guerra fratricida siriana ha ripreso vigore dopo anni in cui sembrava dormiente. I ribelli del gruppo jihadista filo-turco Hayat Tahrir al-Sham, ex fronte al Nusra alleato dell’Isis, hanno annunciato di aver preso il controllo della città di Aleppo nel nord-ovest della Siria e della provincia di Idlib. Il prossimo obiettivo è la città di Hama, ma forse la portata di questo attacco è ancora più ampio. Girano voci su un tentativo di golpe di stato in corso nel paese.
L’agenzia governativa Sana non trasmette sul suo sito Internet da almeno 24 ore ed è irraggiungibile, secondo la Cnn Turk, invece, a Damasco sono in corso scontri tra fazioni filo-governative. Alcune notizie, non confermate, riportano che il presidente Bashar al Assad si troverebbe insieme a sua moglie in Russia.
Ad Aleppo i ribelli hanno imposto un coprifuoco di 24 ore a partire dalle ore 17 di sabato, per cercare tra le strade della seconda città più importante del paese le ultime forze governative rimaste dopo che l’esercito regolare ha annunciato un «ritiro temporaneo delle truppe».
L’obiettivo è quello di riorganizzarsi e passare al contrattacco nei prossimi giorni dopo che decine di militari sono stati uccisi nell’offensiva iniziata soltanto lo scorso mercoledì. «Le organizzazioni terroristiche sono riuscite, nelle scorse ore, ad entrare in gran parte dei quartieri di Aleppo», si legge nel comunicato. L’esercito «continuerà a svolgere il proprio dovere nazionale nella lotta contro le organizzazioni terroristiche per espellere e ripristinare il controllo dello stato e delle sue istituzioni su tutta la città e le sue campagne».
Il ritiro dei soldati siriani ha contribuito all’avanzata delle forze curde – da sempre antagoniste del presidente Bashar al Assad – che si sono insediate nella periferia nord-occidentale di Aleppo e hanno preso il controllo dell’aeroporto internazionale.
L’intervento russo
Come accaduto nel 2015, dopo quattro anni di sanguinaria guerra civile iniziata nel 2011, la Russia è intervenuta in Siria per aiutare il presidente siriano, grande alleato di Vladimir Putin. Nella notte tra venerdì e sabato alcuni raid aerei hanno colpito la città di Aleppo. Secondo l’osservatorio siriano per i diritti umani sono stati uccisi almeno sedici civili, venti sono rimasti feriti. Secondo Oleg Ignasyuk, vice direttore del Centro russo per la riconciliazione delle parti opposte in Siria, sono morti almeno 200 miliziani ribelli.
A muoversi in prima persona per gestire l’escalation è il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che ieri ha sentito i suoi omologhi di Iran e Turchia. Con l’iraniano Abbas Araghchi ha convenuto di «intensificare gli sforzi congiunti per stabilizzare la situazione in Siria, discutendone urgentemente nell’ambito del formato di Astana». Ovvero nell’ambito del processo di pace per la guerra civile siriana portato avanti in Kazakistan da paesi come Russia, Turchia e Iran. Con il ministro degli Esteri turco ed ex capo dei servizi di intelligence Hakan Fidan, Lavrov ha discusso dei «pericolosi sviluppi».
Poche ore prima l’uomo del presidente Recep Tayyip Erdogan si è smarcato dalle accuse di sostegno al gruppo ribelle: «Non prendiamo parte in questi scontri, siamo dinanzi ad azioni che possono causare un flusso di profughi. Abbiamo preso le necessarie misure di prevenzione al confine», ha detto. Dopo il discorso con Lavrov il capo della diplomazia iraniana ha annunciato che domenica sarà a Damasco per una serie di colloqui per gestire la crisi, mentre lunedì ad Ankara per incontrare gli interlocutori turchi.
Evacuazioni da Aleppo
L’escalation avvenuta in pochi giorni preoccupa anche la comunità internazionale. Fonti della Farnesina hanno riferito alle agenzie stampa che l’Italia sta coordinando con le Nazioni unite l’evacuazione di connazionali e funzionari stranieri da Aleppo verso Damasco. «Seguo con attenzione gli sviluppi in Siria con particolare riguardo alla situazione ad Aleppo», ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani. «A causa di questa nuova guerra civile, c’è il rischio di un collasso migratorio», ha aggiunto il ministro. Sono circa 50mila gli sfollati che in meno di quattro giorni hanno lasciato le loro case. Decine di persone sarebbero dirette lungo il confine con il Libano, dove resiste per ora la tregua tra Hezbollah e Israele.
L’esercito dello stato ebraico sta conducendo raid mirati in diverse aree del Libano, come previsto dall’accordo di cessate il fuoco che garantisce ampio respiro di azione a Benjamin Netanyahu. Nelle ultime ore sono state colpite alcune strutture in Siria proprio lungo il confine con il Libano in un’operazione contro il contrabbando di armi destinato a Hezbollah. Mentre a Gaza almeno 19 palestinesi sono stati uccisi in un altro raid israeliano.
Le cause
L’ultima volta che Mosca è intervenuta al fianco di Bashar al Assad è stato nel 2016, un ingresso in campo che fu salvifico per il presidente siriano e grazie al quale è riuscito a rimanere al potere. Ma in un paese dove le forze governative controllano solo il 60 per cento del suo territorio, uno scontro armato dopo anni di “pace” sarebbe stato solo questione di tempo. E i ribelli hanno sfruttato la recente tregua e l’indebolimento di Hezbollah in Siria per espandere il controllo del loro territorio.
Il 27 novembre il tenente colonnello Hassan Abdulghany, comandante militare del gruppo ribelle, ha motivato l’attacco con lo scopo di arginare i raid aerei siriani delle forze governative. «Questa operazione non è una scelta. È un obbligo difendere il nostro popolo e la sua terra», ha detto. «È diventato chiaro a tutti che le milizie del regime e i loro alleati, compresi i mercenari iraniani, hanno dichiarato guerra aperta al popolo siriano». L’offensiva unisce varie fazioni ribelli che negli anni più intensi del conflitto civile si sono anche fatti la guerra a vicenda. Ora sono riuniti nuovamente contro il presidente Assad, con il rischio che il paese sprofondi nel caos totale.
Resta da capire come si muoverà Washington in vista dell’insediamento di Donald Trump, che nel dicembre del 2018 annunciava il ritiro dei suoi soldati dalla Siria dopo aver cantato vittoria: «Cinque anni fa l’Isis era una forza potente e pericolosa, oggi gli Stati Uniti hanno sconfitto il Califfato».
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