Gli occhi e le orecchie del potere sono ovunque. Monitorano, ascoltano e lasciano senza scampo i dissidenti e gli irregolari. La cultura del sospetto produce l’anticamera della sorveglianza di stato che spesso porta le maggioranze al potere a discriminare e perseguitare le minoranze fino a rinchiuderle in campi di rieducazione politica.

Oggi sappiamo che queste scene non sono solo il frutto della fantasia di qualche autore distopico, ma storie di ordinaria amministrazione nello Xinjiang dominato dal Partito comunista cinese e dalle politiche ispirate alla soppressione ideologica, politica e spirituale degli avversari e delle minoranze. Non c’è spiraglio di libertà individuale o collettiva nel panopticon voluto da Pechino.

Come nella costruzione benthamiana, il sorvegliante è in grado di monitorare tutti i carcerati e questi non sono in grado di comprendere se in un determinato momento siano o meno sottoposti a controllo. La sorveglianza è totale. Ma cosa accade se le politiche di sorveglianza sono realizzate negli Stati Uniti, lo stato che, più di tutti, sembrerebbe opporsi al panopticon cinese in nome dei diritti civili, della libertà dell’individuo e delle comunità?

Per quanto possa apparire paradossale, è questo il quesito a cui, nei prossimi mesi, sarà chiamata a dare una risposta la Corte suprema degli Stati Uniti con la decisione nel caso Fbi v. Fazaga. Gli anni successivi all’11 settembre 2001 hanno portato alla creazione di un complesso apparato di sicurezza e di sorveglianza in molti paesi occidentali, inclusi gli Stati Uniti.

Così Yassir Fazaga, imam della moschea di Orange County in California, accusa in giudizio l’Fbi di aver infiltrato la sua moschea e di aver messo sotto sorveglianza i fedeli solo a causa della loro affiliazione religiosa. Si contesta anche l’uso di informatori, ai quali l’Fbi avrebbe chiesto di concentrarsi sui fedeli che apparivano più devoti, in quanto questo sarebbe stato un possibile indice di radicalizzazione e pericolosità.

Una volta scoperto l’infiltrato è scoppiata la crisi di fiducia nella comunità californiana. Nessuno si fidava più di nessuno. Sono evoluzioni tipiche delle storie sulla sorveglianza, basta leggere le biografie di famiglie separate a causa delle infiltrazioni della Stasi nella Germania dell’Est.

Cadute le coperture qualcuno ha reagito e l’Fbi è stata chiamata a rispondere delle sue azioni davanti ai tribunali. Spesso in giudizio ha portato un solo argomento a sua difesa: quello del segreto di stato. Rivelare le informazioni sul programma di sorveglianza avrebbe compromesso la sicurezza nazionale.

Tuttavia, per i ricorrenti l’applicazione di una normativa specifica, il Foreign Intelligence Surveillance Act, consentirebbe ai giudici di valutare i fatti senza necessariamente renderli pubblici e quindi di verificare la legalità delle azioni dell’Fbi senza compromettere la sicurezza nazionale. Ma l’Fbi, davanti alla Corte suprema, ha ribadito la sua posizione: non possiamo compromettere la sicurezza nazionale, il caso va dichiarato chiuso.

Il problema delle democrazie

È interessante che l’amministrazione Biden abbia assunto nel caso la stessa posizione dell’amministrazione Trump, condividendo le argomentazioni dell’Fbi: nessuno spazio di manovra, il segreto di stato deve prevalere. Durante le audizioni, avvenute la scorsa settimana, solo il giudice Neil Gorsuch (nominato da Donald Trump) si è spinto fino a sottolineare come «in un mondo in cui le questioni rilevanti per la sicurezza nazionale continuano ad aumentare, siamo davanti a un potere molto rilevante».

La narrazione tradizionale vuole che questa Corte suprema, a maggioranza conservatrice, sia particolarmente incline a tutelare i diritti delle comunità religiose rispetto agli altri diritti o rispetto ad altri interessi dello stato. Ma avverrà lo stesso quando a essere potenzialmente violati sono i diritti dei fedeli musulmani e non quelli di fedeli di altre confessioni religiose?

Già nel caso Trump v. Hawaii la Corte suprema aveva giustificato, fondando la decisione su considerazioni relative alla sicurezza nazionale, il travel ban trumpiano che colpiva in maniera discriminatoria gli immigrati da paesi a maggioranza musulmana.

Il potere di sorveglianza degli apparati pubblici non riguarda solo regimi autoritari, ma chiama anche le democrazie liberali a interventi decisi volti a tutelare i diritti civili e a porre limiti all’esercizio e all’abuso del potere statale. Mai come nel caso Fb v. Fazaga la Cina è vicina e chiama tutti all’esercizio della vigilanza. La nostra, non quella dello stato.

 

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