La vendetta è una vertigine che può portare lontano. Davanti a tale dilemma si trova Israele oggi. Come reagire dopo la carneficina del 7 ottobre? Anche Hamas – malgrado la sua abitudine al terrorismo – non sa cosa fare: paradossalmente è vittima del suo stesso successo. Ha dato la stura all’odio diffuso.

Abbiamo visto molti giovani di Gaza infilarsi con ogni mezzo disponibile dietro ai militanti che passavano (troppo) facilmente le barriere divisorie, alla ricerca di civili da uccidere o rapire.

Davvero in quelle ore l’odio ha travolto tutto e tutti. Scriveva Etty Hillesum sul suo diario nel 1941: «L’odio indifferenziato è la cosa peggiore che ci sia, è una malattia dell’anima». L’anima del Medio Oriente è malata di quest’odio che si nutre di una logica binaria irriducibile: gli estremisti delle due parti fanno come se l’altra non dovesse esistere. 

È il bipolarismo dell’odio che può sopraffare ogni senso di umanità. La cosa più insulsa da fare ora (soprattutto per chi non è direttamente coinvolto) è cercare chi ha ragione. In una guerra che dura da 75 anni, nessuno può averla.

Nessuno può trovare l’origine delle ragioni dell’uno o dell’altro dentro la fog of war. Com’è noto, la prima vittima di un conflitto è la verità e lo constatiamo attraverso le notizie contradditorie che giungono da Gaza. Chi ha sparato? Chi ha iniziato?

Sono domande insensate, visto che la volontà di guerra, di uccisione dell’avversario e di rifiuto della pace ha coinvolto tutti in un mix di odio, umiliazioni e disonore. È tipico della guerra distogliere lo sguardo da sé per sviarlo su chi si combatte.

La guerra non è mai un mero strumento (meno che mai una politica fatta con altri mezzi) ma si appropria dei contendenti e li rende schiavi della sua volontà di male. È lei a decidere, ispirare odio, dirigere i passi degli assassini o spingere al bombardamento cieco.

Per descriverla usiamo termini quasi tutti fuorvianti: “Azione inevitabile”, “causata dall’umiliazione o dalle ingiustizie”, “logica rappresaglia”, “guerra giusta” o peggio ancora “santa” e così via.

Si tratta di espressioni che denotano solo la nostra assoluta impotenza a comprendere il male della guerra e a controllarlo. La guerra è il male in sé, indipendente dalla volontà umana, che tende ad impossessarsi dell’animo dei combattenti e delle emozioni di chi assiste o di chi subisce.

Tutti vengono trascinati in una spirale di male che apparentemente sembra “logica” o “razionale” ma in realtà è autodistruttiva, vuole dominare sulle decisioni dei politici e sui sentimenti dei civili. Lo si capisce facilmente quando si tratta di fermare una guerra e spegnere l’odio: sembra impossibile.

Ma c’è sempre una cosa da fare: semplicemente avere il coraggio di smettere. In questo caso una “hudna”, sospensione in arabo, termine che israeliani e palestinesi conoscono bene per averla usata altre volte. Solo con il silenzio delle armi si può recuperare lucidità e controllo.

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