La fornitura all’Ucraina, da parte degli Stati Uniti, di armamenti, attrezzature e intelligence in funzione di un drastico rafforzamento delle capacita militari di difesa, se non di offesa, costituisce un passaggio significativo nella conduzione del conflitto con la Russia.

E come tale, va giudicato nella prospettiva di un ulteriore inasprimento del confronto, determinato dalla volontà di conferire allo scontro sul campo di battaglia un ruolo decisivo nella conclusione della guerra. Risultato di un sofferto processo decisionale, questa scelta conferma l’intenzione di Washington di impegnarsi a pieno titolo allo scopo di garantire il ritorno a una piena sovranità dell’Ucraina, in un’operazione di drastico contenimento della Russia.

L’allargamento del confronto russo-americano, a partire da un livello regionale, a uno tendenzialmente globale, facendo leva su un crescente ricorso alla forza delle armi, rischia di coinvolgere i contendenti in uno scontro diretto. A questo punto, infatti, per effetto di un corso politico subordinato a un meccanismo azione reazione fuori controllo, dovuto dall’incapacità dei contendenti di valutare le possibili conseguenze di una competizione a oltranza, siamo davanti allo scoppio della crisi internazionale più grave degli ultimi decenni.

Ci troviamo infatti in una fase storica, che ritenevamo relegata al passato, dominata dal crudo realismo connaturato alla politica di forza praticata tradizionalmente dalle grandi potenze. Alla base della quale figura, come fattore portante del sistema internazionale, la rivalità determinata dagli interessi per il controllo del territorio determinato dalla geopolitica e dalle rivendicazioni sul piano dei valori proprie della ideologia. Questi ultimi, enfatizzati da parte occidentale in riferimento alla irriducibile natura della contrapposizione democrazia-autocrazia.

Tre potenze

La competizione per assicurarsi, nella prossima fase, una posizione dominante ai vertici di un nuovo ordine mondiale, vede schierate le tre grandi potenze nucleari. Gli Stati Uniti, alla guida di una poderosa alleanza, privilegiati in ogni dimensione del potere, intendono mantenere, nonostante un relativo calo di influenza, la condizione di superiorità, che gli ha permesso fino a questa data di esercitare il ruolo di potenza egemonica mondiale. Ponendosi così, all’insegna di un risoluto realismo politico, in aperta contrapposizione a Russia e Cina, stati revisionisti fautori, ciascuno a misura delle proprie capacità e ambizioni, di una politica mirata al conseguimento di uno status riconosciuto in termini di potere e di prestigio, obiettivamente lesivo del primato americano.

È un classico caso di quella che, con un’espressione in voga, è denominata la “trappola di Tucidide” che postula inevitabilmente uno scontro militare, alimentato da motivazioni esistenziali, tra uno o più stati emergenti e uno consolidato a difesa del proprio rango dominante. Nel contesto attuale siamo confrontati a uno scenario contrassegnato dalla costituzione in atto di un polo di forza Russia-Cina, abbastanza forte per dar vita nel giro di qualche anno a uno schieramento in grado di competere, approssimativamente alla pari con gli Stati Uniti.

La scacchiera dell’Eurasia

In questa prospettiva, tenuto conto della valenza delle risorse aggregate e degli asset geopolitici a disposizione degli stati continentali, è evidente l’importanza nel confronto fra le grandi potenze nucleari rivali della collocazione strategicamente centrale dell’Eurasia.

Il mega continente è preminente per dimensione territoriale, peso demografico e capacità economica, contrassegnato dalla presenza ai suoi margini di Europa e Asia orientale, le due periferie vitali che ne fanno la base di forza essenziale per aspirare al conseguimento di una supremazia globale.

A conferma del fatto che anche in una situazione caratterizzata dal ridimensionamento del fattore costituito dalla distanza, dovuto ai progressi dei mezzi di comunicazione, occorre considerare l’importanza della geografia nella definizione degli equilibri internazionali.

Attenti alla configurazione del quadro geopolitico gli Stati Uniti, potenza marittima per eccellenza in conflitto e competizione con le potenze terrestri rivali, per una posizione d’influenza sulla massa euroasiatica, portano avanti una strategia ripresa dalla dottrina elaborata da Zbigniev Brzezinski.

Lo studioso, già consigliere per la sicurezza della Casa Bianca, ha teorizzato fin dagli anni immediatamente successivi al crollo dell’Unione Sovietica l’esigenza di un più marcato coinvolgimento degli Stati Uniti, a cominciare dall’Europa, nelle aree nevralgiche del mega continente, ribattezzato dal titolo della sua opera maggiore La Grande Scacchiera.

La guerra in Ucraina

Non è casuale, di conseguenza, che proprio in quest’area alla periferia occidentale del sistema continentale, caratterizzata da una radicata presenza americana, militare, politica, economica e culturale, si sia sviluppato, con le ambiguità di una forma indiretta di intervento, un confronto armato con la Russia. La grande potenza rivale di lunga data, impegnata in una strategia rivelatasi apertamente aggressiva, avente per obiettivo il consolidamento dello status di potenza regionale, condizione indispensabile per aspirare a una posizione di primo piano su scala globale.

Un atteggiamento che spiega la decisione di portare avanti, in nome del nazionalismo grande russo, un azione di contrasto nei confronti della politica degli Stati Uniti, con i rischi di escalation impliciti una strategia di “espansionismo difensivo”, mirata al controllo dello spazio europeo orientale là dove si combatte una partita decisiva, con per epicentro l’Ucraina, il più importante nel gruppo degli stati post sovietici non russi, risoluto, in considerazione del ruolo ricoperto sul campo di battaglia, a pesare nelle decisioni relative alla condotta del corso politico strategico nei confronti della Russia.

Una dimostrazione di forza che evidenzia la complessa articolazione dell’attuale sistema di stati, caratterizzato nonostante la posizione dominante delle grandi potenze nucleari, dall’emergere di un gruppo di potenze medie e minori in grado di portare avanti con fermezza una politica rispondente ai propri interessi nazionali.

Questione di ideologia

Ad accentuare la virulenza del confronto con la Russia, contribuisce la campagna di informazione e comunicazione promossa dagli ambienti di governo e dal sistema dei mass media occidentali tesa a sottolineare la natura irriducibile della contrapposizione democrazia-autocrazia. Una presa di posizione che impegna Stati Uniti e paesi alleati nella difesa a oltranza dei valori considerati universali, riconducibili all’ideologia liberaldemocratica, in quella che il presidente Biden ha definito «una grande battaglia per la libertà», al centro della quale figura, reso evidente dal ricorso a un’espressione, evocativa di convinzioni emotivamente motivate, il peso rivestito nella conduzione del confronto con l’avversario, dalle rivendicazioni di carattere ideologico.

Una posizione di principio, giudicata negativamente da quell’ampio gruppo di studiosi e osservatori di matrice realista, che guardano con scetticismo a un atteggiamento considerato riduttivo delle ragioni di natura geopolitica, rese drammaticamente evidenti dall’azione di forza portata avanti da Mosca in violazione dell’integrità territoriale dell’Ucraina.

Un atteggiamento, sottolineano, che confonde indebitamente la strategia di contrasto all’intrusione militare di Mosca nel cuore dell’Europa, con una strategia avente per missione la difesa della democrazia allargata al mondo. Una questione di fondo resta in ogni caso oggetto di dibattito: se, e in che misura il prolungarsi della durata del conflitto sia destinato a tradursi, per effetto dell’inasprirsi dei sentimenti ostilità nei confronti della Russia, a una accentuazione della dimensione ideologica della politica americana, e forse anche europea.

A conferma della struttura ibrida di un confronto in rapida evoluzione, caratterizzato allo stesso tempo dalla volontà di promozione dei valori del liberalismo democratico e dall’impegno a tener ben presenti le esigenze implicite in un rapporto di forza fra grandi potenze dominato dagli interessi legati alla geopolitica.

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