Sorvegliare e punire: due concetti applicati e declinati in modi molto diversi a seconda delle società e delle epoche. Nella nostra epoca iper-connessa il primo, la sorveglianza, sta conoscendo punte un tempo inimmaginabili. La diffusione massiccia di strumenti di tracciamento audio e video, videocamere e telefonini in primis, ha creato le condizioni ideali per monitorare qualsiasi comportamento e punire quelli devianti.

La connettività fissa con fibra ottica consente di poter accedere anche da remoto a flussi video e dati di alta qualità, stabili e interrotti, molto diversi dalle immagini un po’ sfocate e saltellanti dei vecchi dispositivi. Fino a qualche tempo fa, il problema era come ricavare un senso da tutto il materiale di tracciamento a disposizione, evitando che informazioni importanti venissero soffocate dal rumore di fondo; l’intelligenza artificiale però sta rendendo possibile gestire enormi quantità di dati in maniera efficiente.

Spesso queste tecnologie vengono testate nei paesi in via di sviluppo, dove le condizioni legali e ambientali sono più favorevoli (e le tutele per i cittadini, minori) e poi esportate in Occidente.

IL GRANDE PANOPTICON URBANO

Un caso di scuola è quello del Sudafrica, dove l’altissimo tasso di criminalità (il paese è al terzo posto al mondo per crimini ogni 100mila abitanti) l’elevato livello di diseguaglianza e di corruzione e l’inadeguatezza delle risorse a disposizione delle forze dell’ordine, hanno creato l’humus ideale per l’esplosione del business della sorveglianza privata.

Ad approfittarne è in particolare una società chiamata Vumacam, che sta tappezzando i sobborghi di Johannesburg di videocamere con cui leggere le targhe e seguire i movimenti di auto e individui sospetti. Identificando, grazie ad appositi software che analizzano i flussi video, eventuali anomalie nella vita quotidiana dei quartieri e inviando segnalazioni alla società di sicurezza privata abbonate al servizio, in modo che possano intervenire tempestivamente.

Il tutto può funzionare sia in maniera preventiva - se i software di Vumacam segnalano ad esempio che qualcuno si è avvicinato troppo a un’auto parcheggiata e sembra armeggiare con la stessa, scatta la segnalazione e l’eventuale verifica in loco; o ex-post: se il numero di targa di un’auto rubata può essere inserito nel sistema e la fuga del ladro monitorata attraverso le telecamere.

Oggi Vumacam gestisce direttamente più di 6.600 videocamere - di cui circa 5mila solo a Johannesburg - collocate su pali appositi, nei sobborghi più ricchi, abitati in prevalenza dai bianchi. Decine di società di sicurezza private sono abbonate alla piattaforma Proof 360 dell’azienda. Pagano per sorvegliare le aree di loro competenza, un tanto a telecamera, e per avere accesso alla piattaforma per la gestione e l’analisi dei flussi video.

Il sistema è potenzialmente espandibile all’infinito: i proprietari di centri commerciali, uffici e abitazioni possono collegare la loro videocamera alla rete Vumacam, aggiungendo un altro occhio al Panopticon urbano.

Qualche tempo fa Vumacam ha dichiarato che l’obiettivo è quello di coprire a tappeto la città con un network di 15mila telecamere.

DALL’INTRATTENIMENTO ALLA SORVEGLIANZA

Il boom di società come Vumacam viene da lontano. A partire, perlomeno dal 2014, quando iniziano i primi progetti di installazione di fibra ottica nei sobborghi di Città del Capo e Johannesburg. Per consentire ai residenti di avere accesso a connettività super veloce, per lavoro o divertimento secondo quanto reclamizzato da Fibrehoods e Vumatel, le due startup più attive in questo campo all’epoca.

Ma dietro gli slogan pubblicitari c’era già, da parte di alcuni amministratori, l’intenzione di usare la fibra come infrastruttura di supporto per strumenti di sorveglianza high-tech. Come aveva spiegato candidamente nel 2015, alla tv olandese Vpro, Cheryl Labuschagne, presidente dell’associazione dei residenti e commercianti di Parkurst (storico sobborgo di Johannesbrug) «i residenti ritengono che usare le moderne tecnologie sia il miglior modo di aumentare la sicurezza nel vicinato».

Nel 2016 Vumatel acquista Fibrehoods e si concentra esclusivamente sui progetti di Fiber to the home, ossia nel portare la fibra ottica a casa dei residenti. Da uno spin-off nasce poi Vumacam, che punta invece a utilizzare la stessa infrastruttura per il monitoraggio delle zone circostanti.

Le immagini così ricavate vengono poi esaminate con l’ausilio di software molto sofisticati. Uno dei più utilizzati, iSentry, è stato sviluppato in origine, per l’esercito australiano. Viene tarato su 100 ore di girato e impara a riconoscere le attività più comuni in una certa zona: tutto quello che fa eccezione, verrà segnalato. Consente anche di creare dei “recinti” virtuali: contrassegnare ad esempio delle zone dove non dovrebbero passare persone, o in cui le auto non dovrebbero mai sostare.

Un altro software, BriefCam, serve a individuare e a riassumere i momenti salienti di un video. È in grado inoltre di riconoscere gli elementi presenti nel filmato, e di effettuare ricerche mirate: si possono cercare, ad esempio, tutte le persone che indossano un cappello, o tutte le motociclette.

UNA NUOVA FORMA DI SEGREGAZIONE?

In un paese in cui soltanto nell’ultimo trimestre del 2021 si sono registrati 165mila crimini violenti (stupri, omicidi, rapine), la richiesta di maggiore sicurezza è comprensibile. Il Sudafrica è però anche la nazione in cui più di metà della popolazione vive con tre dollari al giorno. Per 93 per cento, persone di colore. Una nazione in cui fino al 1991 esisteva ufficialmente l’apartheid, la segregazione razziale che, fra le altre cose, costringeva le persone di etnia nera a dotarsi di speciali “passaporti” per potersi muovere nei quartieri abitati dai bianchi.

Oggi, gli attivisti per i diritti civili temono che i residenti bianchi, per sentirsi al sicuro nei loro quartieri-fortezza, utilizzino videocamere dotate di intelligenza artificiale e forze di sicurezza per attuare una segregazione di fatto, un “apartheid digitale” in cui le persone di colore vengono sistematicamente segnalate e prese di mira solo perché appaiono “stonate” rispetto al contesto.

Qualcosa del genere in realtà sta già accadendo, anche se non necessariamente mediato dalla tecnologia. Aveva fatto scalpore, un paio di anni fa, il caso di una conduttrice televisiva di colore fermata dalle guardie di sicurezza e dalla polizia del sobborgo di Morningside, a Johannesburg. La sua colpa? Aver accostato a un lato della strada per mandare una mail, ed essere incappata così nello sguardo sospettoso di un residente. La giornalista aveva poi fatto causa alle guardie per intimidazione.

A soffiare sul fuoco del razzismo contribuiscono anche i gruppi WhatsApp fra vicini di casa o abitanti di uno stesso quartiere, che dovrebbero servire per progetti di mutuo aiuto, o per scambiarsi dritte utili, ma che troppo spesso alimentano invece la reciproca paranoia.

Le telecamere di Vucamam non integrano al momento, secondo quanto dichiarato dalla società a MIT Technology Review, la funzione di riconoscimento facciale. Questo ha indubbiamente facilitato la loro adozione, rimuovendo possibili dubbi etici e legali. Nulla vieta però che, un domani, anche questo venga aggiunto al pacchetto. Diventerebbe allora possibile schedare i movimenti di ciascun abitante e intervenire ancor più rapidamente in caso di persone o comportamenti sgraditi. Nel frattempo, Vumacam pensa di vendere la propria piattaforma di analisi delle immagini in Europa e Stati Uniti, dove in molti casi l’infrastruttura di sorveglianza (i pali e le videocamere) esiste già. Si tratta solo di sfruttarla a fondo.

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