Un anno fa qualsiasi diplomatico che segue il dossier libico avrebbe detto che il paese era governato dalle solite logiche di potere degli ultimi cinque anni, ma i grandi player internazionali erano intenzionati a mantenere lo status quo. Oggi non è più così.

Le milizie si stanno riarmando. Il governo italiano e i servizi d’intelligence sono preoccupati, anche per questo motivo nell’ultima settimana si sono tenuti a Roma alcune riunioni di alto profilo. Prima quella tra il nipote del premier del Governo di unità nazionale (Gun), Ibrahim Dbeibeh, e il figlio del generale della Cirenaica, Saddam Haftar.

Poi la visita a Roma del viceministro della Difesa, Abdul Salam al Zoubi, che ha incontrato i ministri Piantedosi e Crosetto. Attraverso incontri segreti in Europa e vertici diplomatici annunciati, i leader internazionali cercano di scongiurare quello che tutti temono: una nuova guerra fratricida.

Il premier Abdel Hamid Dbeibeh vuole accerchiare militarmente le Rada, l’unica milizia di peso – quella di cui il torturatore Almasri è uno dei leader – rimasta a contendergli il potere dopo che a maggio è stato ucciso Kikli Gheniwa, capo dell’Apparato di supporto alla stabilità, l’altro gruppo potente dell’Ovest. Le milizie governative si stanno preparando ad attaccare le aree dell’aeroporto di Mitiga e di Suq al-Jum'a, roccaforti delle Rada.

La regia di questo piano sarebbe nelle mani di Ibrahim Dbeibeh, che sogna di diventare il futuro premier. «È lui l’uomo sottocoperta, quello che impartisce ordini alle milizie filogovernative», dice a Domani una fonte della sicurezza libica. Per tracciare il nuovo corso libico, a Roma ha incontrato il figlio più potente del generale della Cirenaica Haftar insieme all’inviato statunitense Massad Boulos.

La stessa fonte afferma che al vertice sarebbe stato presente anche il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli, a dimostrazione di quanto anche l’Italia stia seguendo con apprensione ciò che accade oltre il Mediterraneo per tutelare gli interessi energetici di Eni e arginare il flusso di migranti. Secondo analisti libici, l’incontro tra i due figli di, però, non avrebbe portato ad alcun accordo. È stata più una mossa per mandare un messaggio ai leader internazionali su chi saranno i prossimi uomini a contendersi il potere.

Il ruolo della Turchia

Per comprendere cosa sta accadendo in Libia bisogna andare al 2019. Dopo la sconfitta militare di Haftar nacque un nuovo equilibrio. La Turchia a protezione della capitale e il suo premier, mentre a Sud e a Est la famiglia Haftar riuscì ad attirare l’Egitto, la Russia e gli Emirati Arabi Uniti. «Era un equilibrio molto meccanico. E per lungo tempo non si è visto alcun progresso su elezioni, unificazione e Costituzione», spiega lo scienziato politico Jalel Harchaoui. «Oggi non è più così. C’è un attore che non può più essere definito conservatore dello status quo, ma che è alla ricerca di cambiamento: la Turchia».

Nel 2019 Erdogan fece firmare all’allora premier di Tripoli Fayez al Serraj l’accordo marittimo per definire le rispettive zone economiche esclusive. «Se avessi guardato la mappa, avresti visto un paradosso: la Turchia firmava con Tripoli un accordo su una striscia di mare che va dalla Turchia sud-occidentale fino a Derna», spiega Harchaoui.

«Erdogan sapeva già che avrebbe dovuto coinvolgere l’est libico. Per le esplorazioni in mare ha bisogno della cooperazione della Marina dell’est, che è nelle mani di Haftar. Per far diventare legge l’accordo ha bisogno del parlamento che si trova a Bengasi, anche quello sotto Haftar».

Per questo motivo nell’ultimo anno Ankara ha iniziato un’offensiva diplomatica nei confronti dei leader dell’Est, firmando accordi di cooperazione militare, energetica ed economica.
«Gli Haftar sanno che la Turchia vuole qualcosa di strategico e in cambio chiede qualcosa di altrettanto grande. L’unica cosa davvero importante che Ankara può offrire è la rimozione della famiglia Dbeibeh. E gli Dbeibeh lo hanno capito: se restano fermi verranno spazzati via. Quindi pensano di fare la guerra per diventare egemoni a Tripoli», spiega Harchaoui.

Per conquistare l’Ovest, però, Dbeibeh deve scalzare le Rada. Ma non è semplice. Il gruppo controlla un quarto di Tripoli, ha reclutato gli ex combattenti di Gheniwa e vuole far combattere i migranti presenti nel centro di detenzione di Mitiga, lo stesso dove per la Corte dell’Aia Almasri e i suoi uomini hanno commesso crimini di guerra e contro l’umanità. Infine, le Rada hanno il sostegno di Haftar e si sarebbero avvicinate anche alle milizie di Zintan e Zawiya. Le carte in tavola stanno cambiando troppo veloce per Dbeibeh.

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