Sono giorni difficili per papa Francesco. Il dolore per la morte di Benedetto XVI e il cardinale George Pell, in primis. Le tensioni crescenti tra bergogliani e conservatori. Poi gli attacchi personali dell’arcivescovo Georg Ganswein, per decenni segretario particolare di Ratzinger. Infine le denunce contro il teologo gesuita Marko Rupnik, amico di Francesco accusato da alcune suore di averle abusate sessualmente.

Ma c’è un altro fronte delicato che si riaprirà domani, e che potrebbe portare in Vaticano ripercussioni assai spiacevoli. Si tratta del processo contro il cardinale Angelo Becciu, ex braccio destro del papa finito nella polvere nel 2020 a causa di un’inchiesta della magistratura della città santa. L’udienza di venerdì promette novità importanti. Visto che saranno depositati dieci audio segreti del grande accusatore del cardinale, monsignor Alberto Perlasca, e alcune chat e conversazioni inedite – alcune di esse visionate da Domani - che potrebbero evidenziare il ruolo di due donne che, secondo gli avvocati della difesa, avrebbero «macchinato» contro Becciu costruendo accuse false.

L’inchiesta sul cardinale

Ora, è cosa nota che i promotori di giustizia Alessandro Diddi e Gian Piero Milano – indagando sulla compravendita di un palazzo a Londra per la quale sono alla sbarra anche finanzieri come Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi – hanno individuato nell’ex sostituto alla segreteria di Stato uno dei responsabili principali della presunta truffa milionaria.

Soprattutto, indagini parallele lo indicherebbero come un prelato infedele, che si sarebbe appropriato di centinaia di migliaia di euro della segreteria di Stato per favorire se stesso, una cooperativa dei suoi fratelli e un’amica, l’analista Cecilia Marogna. Indagato per associazione a delinquere, peculato, subornazione di testimone e abuso d’ufficio, Becciu è stato indicato dalla stampa di tutto il mondo come sicuro colpevole quando, prima ancora dell’inizio del processo, Francesco gli tolse ogni diritto cardinalizio e lo licenziò da prefetto della Congregazione delle cause dei santi.

Su queste pagine abbiamo già evidenziato possibili responsabilità degli imputati e alcune contraddizioni evidenti dell’accusa. Oltre ai dubbi sulla reale terzietà della giustizia d’Oltretevere. Dal momento che dal papa, monarca assoluto dello stato, dipendono direttamente sia i promotori sia la nomina del collegio giudicante, ora presieduto da Giuseppe Pignatone. Mentre è storia che lo stesso Francesco abbia modificato d’emblée leggi e regolamenti attraverso “rescripta” ad hoc, che hanno permesso ai magistrati inquirenti poteri pressoché illimitati nelle indagini sul cardinale e gli altri imputati.

Un mese e mezzo fa, però, c’è stato una svolta nello sviluppo della trama processuale. Protagonista del colpo di scena è stato Alberto Perlasca, ex fedelissimo di Becciu diventato testimone chiave dell’accusa, fatto che secondo i malpensanti gli ha garantito di non entrare nel processo come imputato.

Il 30 novembre in un drammatico interrogatorio il monsignore ha infatti ammesso che il memoriale che ha dato l’innesco, il 31 agosto 2020, all’inchiesta dei pm su Becciu non è stato integralmente farina del suo sacco, come aveva invece giurato sul vangelo solo il giorno prima.

Ma che temi e domande contro l’ex sostituto «mi sono state in effetti suggerite da un anonimo magistrato, che poi ho scoperto essere solo due giorni fa Francesca Immacolata Chaouqui». Cioè la lobbista voluta da Francesco nella commissione per la trasparenza finanziaria Cosea nel 2013, poi condannata nel 2017 a 10 mesi per rivelazione di notizie riservate nel processo Vatileaks II (chi vi scrive fu imputato e poi prosciolto).

L’ammissione di Perlasca è stata susseguente alla scelta improvvisa di una sua sodale. La misteriosa Genoveffa “Genevieve” Ciferri, che il 26 novembre scorso, dopo che Perlasca era stato messo alle strette dai legali di Becciu sulla genuinità del suo j’accuse, decide di inviare a Diddi alcune chat tra lei e la Chaouqui.

«Professor Diddi» scrive la Ciferri al promotore «i suggerimenti di quel memoriale a cui oggi Perlasca non ha saputo rispondere in merito a chi li avesse sono stati suggeriti dalla signora Chaouqui a me, come provenienti da lei». Cioè da Diddi stesso. Che, dopo aver depositato i messaggi (omissandoli quasi tutti), prima ha negato di conoscere o di aver avuto alcun contatto diretto con la lobbista, poi ha aperto un nuovo fascicolo penale su un ipotetico inquinamento della sua indagine.

Vendetta

Le due donne sono state convocate venerdì 13 in tribunale vaticano per raccontare la loro verità dei fatti. Domani, però, è in grado già ora di raccontare alcuni retroscena del primo processo della storia contro un principe della Chiesa.

Intervistando alcuni protagonisti chiave della vicenda (che per ora preferiscono rimanere anonimi), analizzando chat inedite e audio segreti che più testimoni dicono essere stati ascoltati anche da papa Francesco e forse determinanti per lo “scardinalamento” di Becciu, si disegnano le tappe controverse che hanno portato all’incriminazione del prete di Pattada.

Partiamo dall’inizio. Per capire l’intrigo bisogna tornare al luglio 2017. Quando la Chaouqui viene condannata insieme a monsignor Angel Vallejo Balda nel secondo processo Vatileaks, inchiesta voluta da Francesco e dallo stesso Becciu, allora sostituto della segreteria di Stato. L’ex commissario Cosea è furiosa dell’esito, perché crede di essere innocente, e che ogni sua azione, anche nei rapporti con i media, sia stata fatta sempre con l’autorizzazione sottintesa dei vertici ecclesiastici.

L’imprenditrice, oggi a capo di un’agenzia di comunicazione (la View Point Strategy) con una ventina di dipendenti e di una onlus di beneficenza, nel 2018 prova così a riabilitarsi. Provando a chiedere la grazia a Bergoglio.

Per farlo chiede aiuto all’arcivescovo di Siena Paolo Lojudice che l’anno successivo diventerà cardinale: è quest’ultimo a dare a Becciu la lettera di scuse della Chaouqui affinché la porti al papa. Il 16 aprile arriva la risposta di Becciu: «Sua Santità, pur apprezzando il ravvedimento spirituale, non intende contraddire l’equa e clemente sentenza». Niente grazia, insomma.

Chaouqui non crede che Bergoglio, di cui si dice amica e confidente, possa aver davvero opposto un tale diniego. Qualcuno racconta che l’astio per il cardinale sardo si sia trasformato in ossessione dopo un contatto segreto avuto con Francesco in persona, che le avrebbe detto che lui non aveva mai usato le parole scritte da Becciu.

Fonti vicine al cardinale però negano a Domani di aver inventato nulla: «Il sostituto esegue fedelmente le indicazioni del suo superiore, così come comunicato nella lettera di non concessione della grazia, facoltà esclusiva del Sommo Pontefice». Sia come sia, l’obiettivo della Chaouqui da quel momento in poi è dimostrare al papa che Becciu è un bugiardo, se non peggio.

Passa più di un anno, e la lobbista ha una sua prima grande occasione. A fine settembre 2019 la gendarmeria perquisisce infatti gli uffici della segreteria di Stato. L’indagine vede coinvolti alcuni funzionari (lo stesso Perlasca, il laico Fabrizio Tirabassi, i vertici dell’Aif, i businessman Torzi e Mincione) con l’accusa di aver favorito la truffa del secolo. Cioè la compravendita da parte del Vaticano di un palazzo a Sloane Avenue con i soldi dell’Obolo di San Pietro destinati alla beneficenza.

Becciu, che autorizzò l’investimento di 200 milioni di dollari nel fondo Athena di Mincione, da tempo aveva lasciato la segreteria di Stato e non era inizialmente finito nel mirino degli inquirenti. Il 30 ottobre 2019 Chaouqui si presenta in gendarmeria con il suo avvocato Alessandro Sammarco, e rilasciando spontanee dichiarazioni chiarisce di come da commissario Cosea «su esplicita richiesta del Santo Padre» avesse scoperto che Becciu aveva provato anche ad investire in una piattaforma petrolifera in Angola, affare poi saltato. Poi, l’affondo contro il nemico: «Il banchiere Enrico Grasso incaricò Mincione (per investire) 146 milioni dei 160 per procedere agli investimenti di cui sopra, facendo perdere in tal modo la tracciabilità dei 14 milioni mancanti. Apparrebbe lecito ipotizzare che parte di quest’ultima somma possa essere destina a Becciu, imprenditore edile, fratello del monsignore». Accuse pesanti che però non vengono suffragate da prove, tanto che Becciu querela.

Passano i mesi, e ad aprile 2020 Perlasca viene sentito in un primo interrogatorio da Diddi. È sulla carta l’uomo dei conti della segreteria, è il monsignore che firma il contratto di acquisto definitivo del palazzo londinese. È il prete che meglio conosce Becciu essendo stato suo numero due per undici anni. Perlasca si difende con forza, dice di essere stato indotto in errore dai tecnici dell’ufficio amministrativo, e nega pure di essere a conoscenza di responsabilità dei suoi superiori. Becciu compreso.

Misteriosa Ciferri

L’inchiesta va avanti a rilento. Arriva l’estate 2020, e l’ex sostituto diventato cardinale e prefetto è ancora fuori dal raggio di azione dei magistrati. Perlasca intanto è isolato, stremato dallo stress, e da tempo chiede consigli a una sua confidente, la Ciferri. Con la donna, oggi 73enne, il prelato ha instaurato da tempo un sodalizio strettissimo, tanto che “Genevieve”, come preferisce essere chiamata Genoveffa, decide di regalargli la nuda proprietà di una villetta a Greccio in provincia di Rieti, tenendosi l’usufrutto.

Anche Ciferri, che non ha figli né eredi, è angustiata per la sorte di Perlasca. È certa della sua innocenza, e crede che Becciu non stia facendo abbastanza per aiutarlo. Non è una sprovveduta: qualche giornale l’ha definita una «presunta» analista dei servizi segreti italiani, ma in realtà alcuni documenti letti da Domani evidenziano che la donna ha davvero lavorato, dal 2005 al 2012, per il Dis, il dipartimento che coordina i nostri agenti. Prendendo in qualità di «analista strategica» uno stipendio mensile da quasi seimila euro (ritirati sempre in contanti come d’uso in questi casi) più tredicesima, per scrivere dossier su paesi stranieri inerenti la nostra sicurezza nazionale. Report che, si legge in una nota del 2008 inviata dall’allora sottosegretario con delega ai servizi Gianni Letta a Ciferri in persona, dimostrerebbero «l’impegno» con cui la donna si era dedicata «al suo lavoro».

La sodale di Perlasca entra in azione solo a partire dal 3 luglio 2020. Quando Perlasca gli riferisce che un medico non chiamato da lui lo ha raggiunto nel suo appartamento a Santa Marta per dargli delle goccine. A processo Perlasca ammette di aver preso solo 10 goccine di Valium volontariamente, ma al tempo Ciferri teme che dietro possa esserci un tentativo di avvelenamento da parte di Becciu.

Così Genevieve prima scrive un messaggio su Messanger, sotto il falso nome di Augusta Piccolomini, alla giornalista Maria Giovanna Maglie che aveva visto in tv criticare il cardinale. «Gentile signora, si è cercato di eliminare fisicamente una persona scomoda residente nella Domus...un medico ha somministrato un potente tranquillante mettendolo a rischio di arresto cardiaco».

Il 10 luglio va ad affrontare il cardinale faccia a faccia bussando alla sua porta dell’appartamento in Vaticano. Dove gli consegna parole irriferibili poi riportate in alcune interviste (Becciu ha fatto causa civile a lei e a Perlasca per danni, ma ha perso e deve rimborsare le spese legali, stessa sorte per la causa dell’Espresso, il primo – come vedremo – a riportare le accuse di Perlasca).

La trattativa

La Maglie ricevuti gli strani messaggi chiama subito la sua amica Chaouqui, perché è certa che la stessa sia ancora vicina al papa e possa indagare meglio di lei su quanto detto dalla misteriosa donna. È la “papessa” a capire subito si nasconde dietro il nom de plume.

Con la logica «il nemico del mio nemico è mio amico», decide dunque di contattare Ciferri. In modo di convincere Perlasca, attraverso la sua sodale, a cambiare strategia processuale. E ha raccontare finalmente a lei e al pontefice le presunte malefatte di Becciu.

Siamo agli inizio di agosto 2020. Le due donne cominciano a sentirsi al telefono e su Whatsapp. La Chaoqui secondo la ricostruzione fatta dalla Ciferri (e che Chaouqui nega) spiegherebbe all’amica di Perlasca che lo scenario è cambiato, e che i promotori rispetto ai tempi del primo interrogatorio del monsignore avrebbero hanno altre cose in mano contro Becciu. Sempre secondo Ciferri la Chaouqui nel corso delle settimane le descriverebbe con precisione l’andamento dell’inchiesta. «Lei millantava una stretta collaborazione con lei, professor Diddi, con Milano, la gendarmeria e il papa stesso. I riscontri che forniva e le indicazioni su di lei e gli atri erano così puntuali e dettagliati che non facevo fatica a crederle», spiega a Diddi.

La Ciferri inoltra al magistrato come prova di quello che denuncia una serie di messaggi (omissati da Diddi, altri l’ex analista li avrebbe conservati in una pennetta consegnata a un notaio) in cui Chaoqui farebbe spesso riferimento ai pm, ai vertici della gendarmeria guidata da Gianluca Gauzzi, e suggerirebbe come Perlasca debba finalmente collaborare e smettere di difendere Becciu, unica via per salvarsi dal processo e riconciliarsi con il papa.

È questo quello che dovrebbe ribadire la donna in tribunale. Secondo Chaouqui però lei non ha mai parlato di promotori o di gendarmi con Genevieve, e che eventuali messaggi potrebbero essere stati creati ad arte. Si vedrà chi delle due antagoniste dice la verità. È certo però che le due donne concordano al telefono che l’intervento della Chaouqui deve rimanere ignoto a Perlasca: Ciferri deve riferire al sodale che li sta aiutando «un anziano magistrato in pensione». Sarà sempre l’imprenditrice che suggerirà alla nuova amica l’avvocato giusto per Perlasca, cioè il suo legale Sammarco.

L’operazione ha successo. Perlasca si convince a rispondere, mediante un memoriale, anche alle domande che «la Chaouqui mi manda attraverso Ciferri». I temi a cui Perlasca deve rispondere sono vari: i soldi dati da Becciu alla diocesi di Ozieri per favorire il fratello, quelli dati alla Marogna per il pagamento di un riscatto di una suora ma finiti in parte in abiti e borse firmate, i rapporti tra Becciu e i giornalisti e i presunti dossieraggi contro il nuovo sostituto Edgar Pena Parra, i lavori di falegnameria appaltati a un altro fratello.

Il 26 agosto il dossier è pronto. Perlasca, prima di consegnarlo ai magistrati, registra però con il suo cellulare una decina di audio in cui legge i punti più importanti delle sue accuse contro Becciu. Audio – scopre Domani - che arrivano subito alla Chaouqui, e che – secondo più di una fonte - il giorno dopo vengono fatti sentire direttamente a papa Francesco.

Il 31 agosto Perlasca entra in tribunale e consegna a Diddi il memoriale. Becciu viene ufficialmente indagato dopo pochi giorni. La gendarmeria intanto verifica il bonifico fatto da Becciu alla Caritas di Ozieri e i soldi (circa mezzo milione) quelli mandati a una società slovena della Marogna. Controlli che secondo qualche maligno sono stati fatti prima ancora delle confessioni di Perlasca: «Fungendo anche da servizi segreti interni gli uomini di Gauzzi avrebbero potuto scandagliare i conti correnti quando volevano, e mettere solo dopo l’innesco dell’inchiesta le risultanze nel fascicolo su Becciu», spiega una fonte del tribunale.

Infine, qualcuno decide che le accuse ormai formalizzate debbano finire anche alla stampa. È a questo punto che appare sulla scena un altro personaggio: Fabio Perugia, portavoce italiano del Congresso mondiale ebraico. Chi è Perugia? Un esperto di finanza che era stato sentito a sommarie informazioni in Vaticano il 3 luglio 2020, perché nel 2017 – quando era consulente di Valeur, gruppo svizzero specializzato in asset management - aveva denunciato con un appunto a un gendarme alcuni comportamenti di Tirabassi, a cui Perugia aveva rappresentato alcune possibilità d’investimento che Valeur voleva incardinare con la segreteria di Stato, e che però non erano andate in porto.

Perugia era stato sentito dalla gendarmeria proprio su questo vecchio episodio. Ma sarà poi lui, risulta a chi scrive, il tramite per consegnare a un giovane collaboratore dell’Espresso le notizie criminis su Becciu e i suoi fratelli contenute nel memoriale. Nello scoop del settimanale tra le fonti viene citato un ex consulente di Valeur, ma Perugia smentisce che sia lui.

Quando il giornale è ormai stampato, papa Francesco chiama Becciu per annunciargli l’indagine per peculato contro di lui, costringendolo a lasciare seduta stante la prefettura e i diritti cardinalizi.

Operazione “Scarpone”

Chaouqui esclude di aver operato, come oggi sospettano la Ciferri e gli avvocati difensori di Becciu, di comune accordo con gli inquirenti. Fatto che sarebbe secondo i legali di Becciu gravissimo, perché vorrebbe dire che l’accusa istruiva quello che al tempo era un indagato: il processo sarebbe fatalmente pregiudicato.

Ma allora perché la donna avrebbe messo in piedi questa campagna in solitaria? La comunicatrice giura di non aver mai imbeccato le risposte di Perlasca ma di aver solo posto alcune domande a risposta libera. Con l’unico obiettivo di dare una mano alla ricerca della verità, e soprattutto dimostrare a Bergoglio che su Becciu lei aveva sempre avuto ragione.

Possibile che una volta avuto gli audio di Perlasca contro Becciu l’imprenditrice li abbia fatti pervenire al papa? Possibile, dicono fonti vicine a Santa Marta. Seppure la Ciferri, agli amici, spiega che non c’era audio o documento di Perlasca che prima di andare ai magistrati o altri non sia prima stato spedito al Santo Padre.

Per la cronaca, abbiamo chiesto al portavoce del Vaticano Matteo Bruni se il pontefice abbia avuto rapporti con la Chaouqui dopo la condanna del 2017 e se il papa abbia mai davvero ricevuto il memoriale e gli audio di Perlasca contro Becciu e da chi, ma non abbiamo ricevuto repliche.

Se è ormai acclarato che il memoriale di Perlasca è effettivamente suggerito, le risposte sono del tutto genuine? L’imprenditrice e il monsignore negano qualsiasi manipolazione, ma in udienza gli avvocati chiederanno probabilmente alla donna come faceva a conoscere i temi investigativi a cui il monsignore doveva poi rispondere.

Tra questi citano, per esempio, l’esistenza di un birrificio dell’altro fratello del cardinale Mario, notizia scoperta dagli inquirenti ad agosto 2020 grazie ad alcuni messaggi sequestrati tra Becciu e l’ex fedelissimo di Tarcisio Bertone Marco Simeon. Perlasca ha sostenuto prima di aver letto la notizia sui giornali, usciti però solo tre settimane dopo il memoriale. Poi di averlo saputo dalla Ciferri.

Soprattutto, Becciu è certo che nelle chat tra Chaouqui e l’ex analista del Dis in merito al ristorante “Scarpone” ci sarebbe la prova provata del legame tra Chaouqui e gli inquirenti. Nei messaggi a Diddi, Ciferri dice che è stata la lobbista a prenotare un tavolo e spingere Genevieve a persuadere Perlasca, nonostante quest’ultimo avesse già consegnato il memoriale ai promotori, a invitare Becciu il 4 settembre a cena. «Per farlo parlare e riferire al riguardo», modello agente provocatore.

La Ciferri e Perlasca alla fine si erano convinti, ma il monsignore aveva fatto un passaggio preventivo in gendarmeria per avvertirli dell’appuntamento in trattoria. «Io dissi, forse a De Santis: “Guardate che io questa sera farò questa cosa qui”...Pensavo che un’azione di intercettazione avrebbero potuto farla» dice Perlasca «Mi risposero: “Buongiorno, va bene, grazie”. E andai».

Per i fan di Becciu la vicenda dello Scarpone non sarebbe una mera coincidenza, ma la la prova regina della macchinazione contro di lui. Per i promotori invece non c’è nulla di strano, e la storia collaterale delle due donne non inficerebbe nessuna delle prove schiaccianti che avrebbero raccolto contro il cardinale in mesi di indagini. Di una cosa siamo sicuri: in questo guazzabuglio in pochi vorrebbero stare nei panni di Pignatone.

  

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