Nel 2023 in Cina l’energia solare costerà quanto quella prodotta dal carbone e – grazie al miglioramento delle tecnologie di immagazzinamento – nel 2060 potrà soddisfare oltre il 40 per cento del fabbisogno energetico della seconda economia del pianeta (a meno di 2,5 dollari per kilowatt/ora). A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America da ricercatori cinesi e statunitensi. La diminuzione dei costi di produzione, assieme all’aumento della capacità delle batterie agli ioni di litio di accumulare energia, permetterà di integrare sempre più le centrali solari all’interno della rete elettrica.

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  • Perché è importante

Secondo gli autori, la promessa di raggiungere il picco di emissioni di CO2 nel 2030 e la neutralità carbonica nel 2060 per Pechino rappresenta una priorità, per ridurre l’inquinamento atmosferico in Cina e contrastare i cambiamenti climatici a livello globale.

La Cina è alle prese con la peggiore crisi energetica degli ultimi decenni, con aziende e famiglie che da mesi subiscono blackout prolungati a causa dell’aumento del costo del carbone, determinato dall’eccesso di domanda post-pandemia e dalle tasse governative per limitare l’impiego del combustibile fossile.

Lo studio sottolinea che sono due i fattori che favoriranno lo sviluppo del solare in Cina: l’abbondanza e vastità di aree assolate e l’enorme capacità produttiva nel settore fotovoltaico.

  • Il contesto

La Cina – principale emettitore globale di gas serra – è anche il maggior produttore di energia solare. Nello Henan, nella Mongolia interna, nel Xinjiang, nello Shanxi e nello Shandong i nuovi parchi solari vengono costruiti già con strutture di immagazzinamento dell’energia. L’Autorità nazionale per l’energia sta promuovendo inoltre l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti degli uffici governativi.

Secondo i dati ufficiali di Pechino, quest’anno la capacità installata dovrebbe superare i 300 gigawatt (253 gigawatt a fine 2020, secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, Iea). Martedì scorso il presidente cinese Xi Jinping ha annunciato nuovi progetti eolici e fotovoltaici per ulteriori 100 gigawatt. L’ultimo rapporto della Iea sostiene che Pechino «ha un progetto chiaro per dar vita a un futuro energetico più sostenibile, sicuro e inclusivo».

«Entro il 2025 Pechino sarà in grado di invaderci»

L’anniversario dello scoppio della rivoluzione Xinhai che, nel 1911, abbatté l’ultima dinastia (i Qing) è stato ricordato lo scorso fine settimana con due discorsi contrapposti: a Pechino Xi Jinping ha ribadito l’obiettivo della “riunificazione pacifica” di quella che la Repubblica popolare cinese considera una provincia ribelle; a Taipei Tsai Ing-wen ha replicato che Taiwan «non si piegherà a Pechino». In precedenza, tra il 1° e il 4 ottobre, l’Esercito popolare di liberazione aveva effettuato 149 sortite all’interno delle zone d’identificazione aerea (Adiz) taiwanesi, per avvertire il governo dell’Isola che, in caso di ulteriori passi verso l’indipendenza, Pechino è pronta alla guerra.

The military honor guard attend during National Day celebrations in front of the Presidential Building in Taipei, Taiwan, Sunday, Oct. 10, 2021. (AP Photo/Chiang Ying-ying)
  • Perché è importante

Taiwan, dove nel 1949 si rifugiarono i nazionalisti sconfitti dai comunisti, negli ultimi decenni si è trasformata in una democrazia la cui popolazione si sente sempre più taiwanese e sempre meno cinese. Rimasta per decenni nel cassetto, la possibilità di una “riunificazione” con Xi si è fatta più concreta per un insieme di fattori: l’aumento dell’influenza politica e della forza militare della Cina; l’indipendentismo e il rifiuto del “consenso del 1992” da parte della presidente taiwanese e del suo Partito progressista democratico; la possibilità che gli Stati Uniti – a differenza di quanto fecero nel 1996 con Bill Clinton – non intervengano in un conflitto tra Pechino a Taipei.

La settimana scorsa il Wall Street Journal ha rivelato la presenza a Taiwan di una ventina tra membri delle forze speciali e marine statunitensi, con il compito di addestrare le forze armate dell’Isola a respingere un attacco cinese.

  • Il contesto

Joe Biden ha dichiarato di aver chiarito con Xi Jinping che gli Stati Uniti – che nel 1979 riconobbero la Repubblica popolare cinese al posto di Taiwan – «rispetteranno l’accordo su Taiwan», ovvero il Taiwan relations act con cui Washington ha riconosciuto il principio “Una sola Cina”, e non prende posizione sulla sovranità di Taiwan, pur riservandosi il diritto di fornire all’Isola gli armamenti per difendersi. La settimana scorsa il ministro Chiu Kuo-cheng, ha presentato al parlamento di Taipei un budget per la difesa da 8,7 miliardi di dollari per i prossimi cinque anni. Secondo Chiu, entro il 2025 Pechino sarà «perfettamente in grado» di invadere Taiwan. Per questo – ha aggiunto il ministro con evidente riferimento a Washington – «invece di contare sulle parole di altri, dobbiamo essere capaci di difenderci da soli».

Yuan di Lorenzo Riccardi

Shanghai: finanza, commercio e “new cities”

Shanghai rappresenta l’emblema dell’attuale fase di crescita della Cina: metropoli ultramoderna, è la vetrina dell’intero paese. La Shanghai Tower (632 metri) è il secondo grattacielo più alto del mondo, la rete di metropolitana di Shanghai è la più estesa del pianeta, Shanghai è la città cinese che riceve il maggior numero di investimenti esteri ed è uno dei primi porti e centri finanziari asiatici.

Situata sulla costa orientale, con i suoi 25 milioni di abitanti e una superficie di 6.340 km2 costituisce una “municipalità” autonoma, ovvero gode di uno status amministrativo pari a quello delle 23 province in cui è diviso il paese. I politici shanghaiesi sono tradizionalmente rappresentati all’interno della élite politica cinese.

Il prodotto interno lordo di Shanghai è pari a quello della Svezia. La municipalità ha avuto una crescita del Pil del 6 per cento nel 2019 prima della pandemia e dell’1,7 per cento nel 2020 durante la crisi sanitaria, che ha toccato solo parzialmente la città. Nella prima metà del 2021, Shanghai segna una crescita del +12.7 per cento su base annua.

I principali distretti della megalopoli sono Pudong, che ospita l’aeroporto internazionale e lo skyline del centro finanziario, Huangpu nell’area più storica della città, e Jing’an, dove si concentrano le boutique e i ristoranti di lusso.

Shanghai ha un’economia orientata ai servizi, con il terziario che pesa il 70 per cento del Pil, molto al di sopra del dato nazionale; i settori economici principali nei suoi distretti sono la finanza, retail, immobiliare, le costruzioni i trasporti e il manifatturiero.

La città ha da poco lanciato un piano di sviluppo per cinque “new cities”, distretti suburbani che contornano il centro cittadino, connettendolo con le province del Jiangsu e dello Zhejiang: Jiading, Qingpu, Songjiang, Fengxian, Nanhui.

Jiading sarà il polo delle nuove energie, dei veicoli senza pilota e dei sensori intelligenti; Qingpu avrà l’obiettivo di promuovere la ricerca su temi di ecosostenibilità; Songjiang si focalizzerà sulle nuove tecnologie, tra cui circuiti integrati e intelligenza artificiale; Fengxian punta ai grandi gruppi della cosmetica, sfruttando l’esperienza sviluppata negli ultimi anni nell’industria di beauty e healthcare; Nanhui, che si colloca in una pilot free trade zone, punta a diventare polo di rilievo per commercio internazionale, finanza e shipping. Nelle cinque “new cities” saranno costruite grandi infrastrutture, nuove scuole, ospedali e strutture di pubblica utilità, come annunciato dal sindaco Gong Zheng.

Pechino-Washington, mega accordo sul gas: favorirà il dialogo?

La compagnia privata cinese ENN Natural Gas ha firmato un accordo con Cheniere Energy per importare dall’azienda statunitense circa 900mila tonnellate annue di gas naturale liquefatto (Gnl) per i prossimi 13 anni a partire da luglio 2022.

  • Perché è importante

Si tratta del primo grande accordo di fornitura di gas naturale tra Cina e Stati Uniti dall’inizio della guerra commerciale. Due anni fa, proprio la ripresa delle importazioni di Gnl (e di soia) statunitense in Cina era stata indicata come un passaggio importante per “ricostruire la fiducia” tra i due governi distrutta dalla trade war.

Wang Yusuo, presidente del consiglio di amministrazione di ENN, ha assicurato che «la Cina sta compiendo un grande sforzo per raggiungere la neutralità carbonica, promuovendo la riforma del mercato del gas naturale» e che la sua compagnia «sta accelerando l’utilizzo del digitale per favorire il miglioramento dell’industria del gas naturale».

  • Il contesto

Gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 del governo di Pechino hanno fatto lievitare la domanda di Gnl, del quale quest’anno la Cina, superando il Giappone, potrebbe diventare il primo consumatore globale. Il 21 settembre scorso, il presidente cinese, Xi Jinping, si è impegnato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite a «non costruire più nuove centrali a carbone all’estero» e, in Cina, «a raggiungere il picco delle emissioni di anidride carbonica prima del 2030 e a raggiungere la neutralità carbonica prima del 2060». La Cina punta ad aumentare la produzione di energia elettrica (per uso sia domestico sia industriale) generata da gas naturale (nel 2020 l’8,8 per cento del totale, contro una media globale del 24 per cento) per ridurre la sua dipendenza dal carbone (nel 2020 il 56,8 per cento del suo mix energetico), principale fonte di emissioni di Co2. Come abbiamo raccontato in un precedente numero di Weilai, a tal fine la Cina ha ristrutturato e potenziato la sua rete di distribuzione, dando vita alla nuova PipeChina.

Ecco i consigli di lettura di questa settimana:

Why China’s Kids Can’t Quit Online Gaming;

Loving one and many: the world of Hong Kong polyamorists;

Korean War Epic’s Massive Success in China Should Worry Hollywood.

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento alla prossima newsletter.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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