«Siamo tutti scioccati, spero non sia l’arrivo della guerra». Sono le cinque di pomeriggio quando Tiraspol, capitale della regione separatista filorussa della Transnistria in Moldavia, viene stravolta dalla notizia delle esplosioni presso il ministero della Pubblica sicurezza, vicino a via Karl Marx. Era una giornata tranquilla di vacanza, in cui si celebrava ancora la Pasqua ortodossa che cadeva domenica. Il ministero degli Interni ha fatto sapere che le esplosioni sarebbero state causate da lanciagranate portatile anticarro (Rpg), una delle quali è stata rinvenuta sul posto, e che non ci sarebbero state vittime. La dinamica misteriosa fa diffondere il dubbio che sia una messinscena.

«È tutto molto strano, l’incidente potrebbe essere stato orchestrato dal Kgb, che di fatto è un tutt’uno con le autorità locali, oppure da gente che sostiene l’Ucraina, chissà», dice un cittadino locale. «Sono 20 anni che sono qui e non ho mai visto nulla del genere».

Le bandiere di Abcasia e Ossezia del sud e della Repubblica dell’Artsakh in Nagorno Karabakh, le uniche tre entità a riconoscere la Transnistria come una Repubblica indipendente (tutto il resto del mondo la considera parte integrante della Moldavia, compresa la Russia), sventolano sul piazzale principale di Tiraspol, dieci minuti a piedi dal luogo delle esplosioni. Di fianco c’è il monumento al generalissimo dell’impero zarista Aleksandr Suvorov.

Le macchine corrono lungo viale 25 ottobre, l’arteria cittadina dedicata alla rivoluzione bolscevica, su cui si affaccia anche il palazzo presidenziale di quelle che a Kishinau chiamano le “cosiddette” autorità locali (guai a dimenticarsi la qualifica “cosiddette”). È impossibile farselo sfuggire: davanti c’è la più suggestiva delle statue di epoca sovietica dedicate a Vladimir Lenin, che hanno reso questo lembo di terra dimenticata una meta turistica per i nostalgici dell’Unione sovietica. Ma la serenità della Pasqua potrebbe presto fare spazio alla legge marziale.

Sarebbe questa la ciliegina sulla torta di una vittoria di Mosca nei termini descritti dal comandante dell’esercito russo Rustam Minnekayev lo scorso venerdì: «Il controllo dell’Ucraina meridionale può darci un ulteriore canale di accesso alla Transnistria», ha detto, «dove sono noti i fatti sulla repressione della popolazione russofona».

Qualche giorno fa il governo euista della Moldavia ha messo fuori legge il nastro di san Giorgio, simbolo militare russo spesso usato nel mondo post sovietico, alla vigilia delle celebrazioni della giornata della vittoria sul nazismo il prossimo 9 maggio.

La portavoce del ministro degli Esteri russo Maria Zakharova ha reagito così: «Esortiamo Chisinau a rinunciare alla sua retorica conflittuale che danneggia la cooperazione russo-moldava, altrimenti risponderemo. La risposta sarà dolorosa». Un consigliere del presidente russo Volodymyr Zelensky ha detto che il prossimo obiettivo «dell’esercito di sciacalli e stupratori» sarà la Moldavia.

Le voci

A Tiraspol, in questa striscia di terra larga solo 30 chilometri schiacciata fra il fiume Nistro e il confine ucraino, la gente è divisa sulla guerra lanciata dal presidente russo Vladimir Putin. «Mia madre e anche mia suocera sostengono la Russia», dice Yuri Kreichman, ingegnere di 42 anni e proprietario di alcuni parchi divertimento nella capitale, poche ore prima di apprendere la notizia delle esplosioni.

«È chiaro che c’è una frattura fra le generazioni: io non dico che faccio proprio il tifo per Kiev, ma ho parecchi fornitori in Ucraina per i parco giochi e solidarizzo con loro», spiega. «Anche se per certi versi non li capisco: non mi piace come hanno legittimato gli estremisti del battaglione di Azov e Aidar, integrandoli nelle forze regolari».

Con Leonid Nudelman, un anziano veterano di guerra che è stato in Afghanistan con l’armata sovietica, è tutta un’altra musica. Te ne accorgi fin da quando gli squilla il cellulare, che per suoneria ha l’inno dell’Urss, «Non c’è dubbio che i russi entreranno in Transnistria, lo hanno detto chiaramente, non è un segreto», dice spavaldo il vecchio soldato con i baffoni, che ama ricoprire i chili di troppo di vecchie medaglie militari.

«E lo so anche dalle mie fonti di Mosca». Qualche anno fa l’Ucraina ha smesso di permettere alle macchine targate Transnistria di entrare nel proprio territorio. Ma per Nudelman sono problematiche che si preparano a scomparire: «Finirà tutto, basta un po’ di pazienza», dice facendo cenno col capo verso una caserma di militari russi, al lato della strada.

Mentre la popolazione mormora, le autorità, che non possono alienarsi il potente vicino ucraino, «rimangono il più zitte possibili sperando che a Mosca si dimentichino della loro esistenza», come ha detto un analista locale.

Yuri, l’ingegnere, abita sulla strada che porta al valico con la Moldavia di fianco allo stadio dello Sheriff, la squadra di calcio salita agli onori delle cronache quando ha battuto il Real Madrid in Champions League lo scorso autunno. Quando a Tiraspol è venuta a giocare l’Inter, che era nello stesso girone, all’ambasciata italiana di Kishinau si è diffuso il panico.

In questo territorio non possono intervenire le autorità moldave, e il nostro paese non ha una rappresentanza: che cosa sarebbe successo se gli ultras nerazzurri si fossero messi nei guai? Il rapporto fra Kishinau e la regione separatista che fa gola a Putin rimane pieno di sfaccettature: malgrado permanga una situazione di conflitto dal 1992, quando una guerra civile fece mille morti e 100mila profughi, c’è una libertà di movimento pressoché totale fra le due zone.

Sovietizzazione

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Lo Sheriff gioca nel campionato moldavo. Kishinau riconosce alcuni documenti rilasciati dalle autorità di Tiraspol, ma non quelli relativi alle proprietà private. L’origine della divisione risale agli albori dell’Unione sovietica. La Transnistria ne faceva parte già nel 1920, durante la guerra civile seguita alla rivoluzione bolscevica.

Il grosso della Moldavia, cioè più o meno il territorio della regione nota come Bessarabia, apparteneva invece al Regno di Romania. Difatti in Moldavia si parla rumeno e chiunque abbia nonni che vivevano qui prima del 1940, quando Mosca ha annesso questi territori creando la Repubblica socialista sovietica della Moldavia, può a oggi chiedere la nazionalità di Bucarest, e diventare di conseguenza cittadino dell’Unione europea.

Secondo un mito fu un principe rumeno a battezzare così la Moldavia quando andando a caccia in questa appendice remota del regno, il suo cane Molda venne ucciso da un bisonte (la testa del bisonte in questione compare tutt’oggi nella bandiera).

È necessario sottolineare come nell’epoca dell’Urss, Mosca investì parecchio nella Transnistria, trasformandola in uno dei territori più sovietizzati di tutta l’Unione. Divenne un centro dell’industria pesante, colonna portante del settore della difesa, e vennero aperte centrali idroelettriche e termoelettriche.

Era insomma la zona dell’odierna Moldavia ad essere più periferica, e la Transnistria, che oggi ha i tassi di emigrazione più alti d’Europa, era il cuore pulsante del paese. Anche in questi termini si spiega perché, quando a fine anni Ottanta si svilupparono pulsioni autonomiste, a Tiraspol tirarono il freno. Yuri all’epoca della guerra fu profugo ad Odessa – «era estate, ci siamo fatti una vacanza al mare», dice scherzoso – e oggi ospita profughi dall’Ucraina.

I soldati russi

Grazie all’appoggio militare di Mosca la regione uscì dal conflitto di trent’anni fa come entità a sé stante, anziché come regione autonoma sul modello della Gagauzia, una zona della Moldavia abitata da cristiani turcofoni. Oggi riceve gas gratuitamente da Putin ma commercia con l’Europa. Complice il fatto che non esiste la stampa indipendente, il numero di soldati russi presenti rimane un’opinione (Nudilman ovviamente spara alto: sono cinquemila).

Queste sono le stime più credibili: ci sono 400 effettivi che fanno parte di un contingente di pace trilaterale, istituito dopo la guerra, insieme a 400 moldavi e 400 soldati della Transnistria. Questi peace keepers li vedi sia ai checkpoint sulle strade dei valichi di frontiera, sia presso postazioni lungo il fiume Nistro, che scandisce la separazione geografica di massima fra le due regioni. Nel contingente c’erano anche dieci osservatori ucraini, ma sono rientrati a Kiev qualche settimana dopo l’inizio dell’invasione.

Oltre a questi soldati, che sono tollerati controvoglia dalla Moldavia nell’ambito dell’accordo per il cessate il fuoco del 1992, ce ne sono altri che sono forze di occupazione illegali tout court. Sono circa 1.700 e molti di loro sono concentrati nell’area del famigerato deposito di munizioni e armamenti sovietici di Cobasna, un misterioso compound militare russo grande quanto una ventina di campi da calcio.

«Dicono che ci sono solo armamenti vecchi, ma vai a sapere cosa c’è davvero», dice del deposito Irina Tabaranu di Zona de Securitate, un’organizzazione che si occupa di Transnistria.

I passaporti

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Le ricerche di Tabaranu hanno registrato un dato molto importante. Cioè che il numero di residenti della regione che hanno richiesto documenti moldavi – lo possono fare perché Chisinau la considera parte integrante del proprio territorio – sono saliti del 50 per cento rispetto allo stesso mese lo scorso anno.

Una prova che, in vista di una possibile avanzata russa, c’è chi preferirebbe rimanere dall’altra parte della nuova cortina di ferro. «Ormai quasi tutto il commercio va verso l’Europa, e le nuove generazioni sono proiettate verso ovest», dice la ricercatrice.

«Alla Russia li lega solo il gas, che ricevono gratuitamente, la leadership politica e tanta propaganda». Se coi russi dovesse esserci contiguità territoriale, tuttavia, i giochi sarebbero fatti. «Il futuro della Transnistria dipende dalla resistenza degli ucraini», dice, «e anche quello della Moldavia».

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