La sorpresa degli hearings, questa volta è venuta alla fine dell’udienza, quando la voce calma e serena di Liz Cheney, la repubblicana del comitato che indaga sul “6 Gennaio” ha ritenuto di dover fornire una notizia: «Un(a) testimone di questa commissione d’inchiesta, ma non ancora ascoltata, ha ricevuto una telefonata direttamente dall’ex presidente Trump. La persona non ha accettato di parlare con l’ex presidente, ma ha avvertito il suo avvocato, il quale ha avvertito noi. E noi abbiamo passato la notizia al “ministro di giustizia” perché valuti il possibile reato. Il (la) testimone ha confermato la sua audizione. Noi consideriamo molto seriamente i pericoli di manipolazione e di intimidazione dei testimoni e ci teniamo a farlo sapere».

Era quel tanto di suspence che prepara i prossimi giorni. Chi è la persona di cui Trump teme la testimonianza, al punto di esporsi personalmente a commettere un grave crimine? Quando è avvenuta l’intervento sul testimone? È legato alla “bomba” sganciata dalle parole  della signorina Cassidy Hutchinson, che ha descritto nei dettagli le sue azioni nella giornata del 6 gennaio?

Tutti pensano di sì, anche perché anche la signorina Cassidy era passata attraverso la stessa trafila: minacce, intimidazioni che hanno reso necessaria la sua testimonianza prima del previsto; ma altre cose strane stanno succedendo: per esempio, il fidato e nazistoide consigliere Steve Bannon che ha accettato improvvisamente di testimoniare, perché lo ha fatto? Per non andare in galera, o ha in mente un complotto? Il ministro di giustizia ha un altro tassello da aggiungere per arrivare ad incriminare Donald Trump? Non si sa, ma tutto lascia pensare che i tempi si siano accelerati.

La conferma

Per quanto riguarda l’udienza, la star è stata Pat Cipollone, il consigliere legale del presidente, chiamato direttamente in causa come “persona informata dei fatti” dalla signorina Cassidy. Dopo una lunga trattativa, l’avvocato ha accettato di testimoniare, a porte chiuse ed ha parlato per otto ore. È quindi apparso oggi, per una decina di minuti, sul maxischermo dell’aula del Senato: un bell’uomo di mezza età, dai capelli grigi e gli occhiali, serio e posato come deve essere un avvocato.

Non solo non ha smentito Cassidy, ma ha aggiunto una ricostruzione puntuale, e abbastanza shoccante, della notte in cui si tentò il colpo di stato. Dice Cipollone che lui e tutti gli altri consiglieri avevano detto apertamente che dopo la riunione dell’electoral college del 15 dicembre che aveva stabilito Joe Biden president elect, il presidente non aveva altra scelta che accettare la decisione, essendo tutte – ma proprio tutte  - le 61 azioni legali promosse dalla Casa Bianca, finite nel nulla. Per dirla semplicemente: non esisteva una sola prova per sostenere che le «elezioni erano state rubate».

A Trump, in quei giorni, lo dicono tutti: il capogruppo repubblicano del Senato Mitch Mac Connell, il vice Mike Pence, sua figlia Ivanka, tutto lo staff della Casa Bianca, il suo mentore nei media Rupert Murdoch, ma lui non molla e il 18 dicembre convoca una riunione “clandestina”, direttamente nello studio ovale.

Ed è lì, secondo la ricostruzione di Pat Cipollone che viene presa materialmente la decisione del colpo di stato. Partecipano: Donald Trump, l’avvocata Sidney Powell (confesso che, vedendola e sentendola parlare, tanto era grottesca, la mia prima reazione è stata un po’ incivile: «Ma questa dove l’hanno raccattata?»); il famoso Rudolph Giuliani, sempre più all’altezza della sua maschera, e il generale  a quattro stelle in pensione Michael Flynn, che Trump volle come suo consigliere della sicurezza.

Un esperto di spionaggio, direttamente uscito da un film di Kubrik, beccato fin dal 2016 a trescare con Putin, il suo ministro degli esteri Lavrov e con Erdogan. E cosa stanno discutendo questi gentiluomini e gentildonne? La prima proposta è il sequestro delle “macchine elettorali” che l’avvocata Powell sostiene essere sotto il controllo di Venezuela, Iran, Cina e addirittura dell’Italia, tramite la cara vecchia Finmeccanica.

Come si fa? Ordine di sequestro, affidato alle forze armate, propone Flynn. Viene stilata una prima bozza del decreto, quando fanno irruzione – fisicamente -  i “buoni”, capeggiati dall’avvocato Pat Cipollone. Segue uno scontro “molto animato”, in cui Cipollone chiede all’avvocata Powell di lasciare la stanza; Trump invece le dà il permesso di restare. 

Volano parole grosse, ma pare non si venga alle mani. La riunione si scioglie all’una di notte del 19 dicembre. Il progetto di mandare i militari a sequestrare le macchine elettorali non ha seguito. E quindi sembra che non esista più nessuna strategia, e invece no. E infatti, alle 1.49 il presidente Trump posta su Twitter il “segnale”: tutti a Washington DC, il 6 gennaio! per riprenderci quello che ci hanno rubato. Venite in massa, «it will be wild».

Come si sa, all’epoca il presidente era il maggior cliente di Twitter, con circa 80 milioni di follower e il frutto del suo messaggio venne monitorato immediatamente, con migliaia di adesioni e un’intensa attività sui siti delle organizzazioni estremiste, i Proud Boys e gli Oath Keepers che saranno poi i protagonisti armati del 6 gennaio. Twitter (è la testimonianza, con voce contraffatta di un whistleblower) venne avvertita della pericolosità del messaggio trasmesso, ma non fece nulla per bloccarlo, e autorizzò di fatto l’organizzazione online di un colpo di stato.

La responsabilità

Secondo il comitato, questa ricostruzione chiarisce la cronologia degli avvenimenti e le responsabilità di Trump. La prossima udienza , è stato annunciato, racconterà minuto per minuto quello che avvenne il 6 gennaio, dal punto di vista dell’organizzazione militare.

E a questo punto le curiosità aumentano: ci furono contatti diretti tra la Casa bianca e i Proud Boys, vennero portate dentro il Campidoglio le armi e, se sì, perché non vennero usate? Come funzionò la carena di comando nel «giorno della corda» (l’espressione, circolante molto online in quei giorni, fa riferimento ad un testo neonazista che immagina un attacco al Campidoglio con l’impiccagione di migliaia di nemici del popolo bianco)?

Alla prossima puntata, con nervosismo nell’aria; incominciano ad essere troppi i repubblicani che voltano la schiena a Trump, e i sondaggi prontamente registrano: è ormai evidente che la presa di Trump sul partito repubblicano, costruita fondamentalmente sulla paura, si stia riducendo; un ultimo sondaggio tra gli elettori repubblicani lo vede solo al 49 per cento come miglior candidato presidente per il 2024; secondo in posizione e in ascesa, il governatore della Florida Ron De Sanctis (laurea a Yale, una trisavola emigrata dalla provincia di Avellino), su posizioni politiche di estrema destra: è uno che vieta i libri che parlano della schiavitù in America, ma con il vantaggio di essere un fresco quarantenne, distanziati tutti gli altri.

Un’eventuale incriminazione di Trump gli vieterebbe la candidatura alle presidenziali e darebbe il colpo di grazia a quello che resta del suo impero economico finanziario, che si ripercuote sul suo partito. Sembra un animale ferito, ma l’ostinata pazzia dell’uomo continua a stupire.

Una cosa, dunque, sembra profilarsi. Nel 2024 non ci sarà un altro round Biden-Trump (un ottantenne contro un poco meno, due prodotti esausti del Novecento difficilmente proponibili negli anni Venti del Ventunesimo Secolo) e anche qui il sondaggio delle opinioni parla abbastanza chiaro.

La stragrande maggioranza degli elettori del partito democratico non vuole più Joe Biden candidato nel 2024. Simpatico certo, onesto, anche; amico delle cause giuste, ma troppo vecchio, troppo fragile, I democratici cercando sangue fresco, che riflettano un paese la cui democrazia, la demografia e la climatologia sono cambiate, insieme al lavoro, insieme alla distribuzione delle merci, insieme a un livello di violenza che non è più sostenibile. Ma fino ad ora, questo candidato – il nuovo Obama -  non c’è.

Gli hearings del Comitato continueranno ancora per un po’, ficcando ogni settimana un chiodo nella bara di Donald Trump, ma il cadavere continua ad agitarsi.

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