In Tunisia il 25 luglio si vota per il referendum sulla Costituzione. Tutti gli osservatori si concentrano sulla “verticalità” presidenziale del potere, come viene ridisegnata nella nuova Carta. Certamente è un problema dopo anni di parlamentarismo in cui la sovranità del paese era transitata dalla presidenza all’assemblea nazionale.

Era la reazione a troppi anni di semi-autoritarismo, soprattutto quello dell’epoca di Ben Ali, cacciato dalla Primavera dei Gelsomini, l’unica vera primavera araba riuscita con successo. Negli anni dopo il 2011, Tunisi era divenuta l’esempio di una democrazia araba, certo sui generis ma autentica.

Lo stesso partito islamista Ennahada -del tipo Fratelli Musulmani- si era acconciato alle regole di una democrazia parlamentare il che aveva significato creare delle coalizioni di governo e non detenere il potere da soli. Anche se ciò ha portato un certo disordine e una tenuta relativa dei governi, si è trattato dell’unico vero metodo per apprendere la democrazia, il procedimento del dialogo e l’abitudine al compromesso.

Il colpo di stato

Negli anni fino al colpo di mano del presidente Kais Saied, che ha de facto dissolto il parlamento nel 2021 congelandone le attività e arrogandosi i pieni poteri, la Tunisia aveva vissuto una frenetica ma reale primavera democratica con il protagonismo di numerose forze politiche e sociali che avevano prodotto la costituzione molto laica del 2014, accettata anche dagli islamisti.

Ora tutto questo viene rimesso in discussione e si torna indietro a quella vecchia Tunisia forse più ordinata ma autoritaria e poliziesca. Probabilmente ciò può apparire rassicurante per un’Europa preoccupata dalle migrazioni e dall’instabilità.

C’è di peggio: nei primi articoli del nuovo testo si torna a parlare di islam come religione dello Stato e base giuridica delle leggi. Sembra un fatto anodino ma non lo è. Anche se nel seguito del testo vengono elencati diritti ormai impossibili da cancellare, tutto rimane sottoposto alla possibilità di restringerli a causa della condizionalità religiosa.

E’ questo il sistema entrista dei salafiti, nemici dichiarati dei fratelli musulmani, che rappresentano l’altra ala dell’islam radicale e politico. I salafiti -la cui matrice ideologica si radica oggi nella penisola arabica - non sempre si mostrano alla luce del giorno: politicamente preferiscono influenzare da dietro senza troppo apparire.

Il mondo arabo è cambiato

E’ ciò che stanno facendo in Tunisia condizionando il testo costituzionale e la stessa presidenza Saied, così come fanno in Egitto con al Sisi. Nel mondo arabo contemporaneo tutto è cambiato radicalmente in questi ultimi anni: l’ascendente dei paesi del Golfo -in primis l’Arabia Saudita ma anche gli Emirati- è cresciuta in modo esponenziale mentre declinava quella egiziana o del vecchio fronte del rifiuto (Siria, Algeria ma anche Libia o Iraq).

La leadership araba ha cambiato indirizzo, come si vede dagli accordi di Abramo e dalle relazioni con Israele. L’Italia e la Francia, partner storiche della Tunisia, non hanno voluto giocare alcun ruolo, lasciando il paese alle prese coi suoi nuovi padroni. 

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