La morte dell’oppositore politico Aleksej Navalny aggiunge un nuovo nome alla lunga lista degli avversari di Vladimir Putin che hanno incontrato la loro fine con un proiettile o con il veleno, nelle carceri del paese o che sono stati allontanati con l’esilio e l’oblio politico. Anche se in molti casi il coinvolgimento del presidente russo resta difficile da provare, sono in pochi ad avere dubbi sul fatto che il regime abbia un modo sbrigativo e brutale di risolvere i conti con i suoi nemici interni.

Nemici ed ex amici

L’ultimo a incontrare una fine simile a quella di Navalny era, per molti versi, il suo opposto. Si tratta del leader del gruppo Wagner, Evgenij Prigožin, precipitato con il suo aereo lo scorso 23 agosto, dopo aver tentato di marciare su Mosca alla testa dei suoi mercenari.

Il primo membro della lista, in ordine di tempo, è invece un personaggio ormai dimenticato in occidente, il politico liberale Sergei Yushenkov, divenuto una celebrità nei mesi concitati della caduta dell’Unione sovietica e poi figura di spicco dell’opposizione nei primi anni Duemila. Yushenkov è stato assassinato nel 2003, nel suo appartamento di Mosca, il giorno dopo aver registrato il suo partito in vista delle elezioni parlamentari del 2003, tre anni dopo l’ingresso di Putin al Cremlino.

Tra i suoi principali sostenitori, Yushenkov poteva contare su Boris Berezovsky, uno dei sette potentissimi oligarchi usciti dal crollo dell’Unione sovietica. Lo stesso Berezovksy è stato trovato morto nel 2013 nel suo appartamento di Londra, dove si trovava in esilio da oltre un decennio, probabilmente dopo essersi tolto la vita. 

Dopo aver favorito l’ascesa di Putin per evitare un ritorno al potete del partito comunista, Berezovsky e agli altri oligarchi sono rapidamente caduti in disgrazia e chi tra loro non ha rinunciato alle ambizioni politiche è finito perseguitato. Il più famoso di loro, Mikhail Khodorkovsky, ha trascorso nove anni in prigione in Russia, prima di essere rilasciato e andare in esilio a Londra, da dove tutt’ora finanzia l’opposizione al Cremlino. Del gruppo degli oligarchi originali, soltanto Roman Abramovich è riuscito a conservare gran parte delle sue ricchezze pur rimanendo in Russia.

Gli avvelenamenti

Ma l’autoesilio spesso non è un modo sufficiente per sfuggire al Cremlino. Nel 2006, l’ex agente dei servizi di intelligence russi Alexander Litvinenko è stato ucciso a Londra, dopo essere stato avvelenato con del polonio 210, una sostanza radioattiva che ha lasciato pochi dubbi sui possibili responsabili. Dieci anni dopo, un altro agente segreto che aveva abbandonato il regime ha subito un tentativo di avvelenamento.

Sergey Skripal è riuscito a sopravvivere alla dose di novichok, un agente nervino che lo aveva colpito insieme alla figlia. Gli agenti ritenuti responsabili dell’attacco, identificati dal sito di investigazione Bellingcat, hanno successivamente ottenuto promozioni e medaglie dal governo russo. 

Giornalisti e attivisti

I nomi delle vittime del Cremlino che hanno risuonato di più in occidente e che vengono ancora oggi ricordati più spesso sono quelli dei giornalisti e degli oppositori provenienti dalla società civile, come Anna Politkovskaya, la giornalista d’inchiesta uccisa sulle scale del suo appartamento nel 2006. Gli autori materiali dell’omicidio, cinque cittadini russi di origine cecena, sono stati condannati, ma suoi mandati dell’assassinio non è mai stata fatta luce.

Le connessioni con la Cecenia ritornano spesso nelle morti sospette di giornalisti e oppositori. Tre anni dopo Politkovskaya, l’attivista della ong premio Nobel Memorial, Natalya Estemirova, è stata uccisa dopo essere stata rapita dalla sua casa nella capitale cecena, Grozny. 

I ceceni ritornano anche in quello che è stato uno degli omicidi di più alto profilo verificatisi in Russia dopo quello di Politkovskaya: l’assassinio di Boris Nemtsov, nel febbraio del 2015, che ha causato scandalo non solo perché avvenuto a poca distanza dalle mura del Cremlino, ma anche perché Nemtsov, governatore regionale ed ex vice primo ministro, apparteneva all’élite governativa russa. 

Con l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il regime russo ha avuto una svolta ancora più brutale, con arresti e condanne sempre più comuni anche per le infrazioni più lievi. Decine di figure vicine all’opposizione russa al momento si trovano all’estero, ma altre centinaia di persone si trovano nelle prigioni russe. Il più noto di loro, il giornalista e attivista Vladimir Kara-Murza, si trova in carcere dall’aprile 2022. La morte di Navalny ricorda che nessuno di loro è al sicuro.

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