La guerra in Ucraina ha come effetto la fine dell’isolamento turco. Dal 24 febbraio tutto è cambiato per Ankara e le polemiche turco-atlantiche sono per ora accantonate.

L’unità occidentale nei confronti della Russia offre alla Turchia l’occasione di mettere a disposizione il suo savoir-faire con il quale è riuscita in questi anni a costruire una relazione competitiva e cooperativa con Mosca, restando in bilico per quanto riguarda la Siria, la Libia o il conflitto azero-armeno.

Ankara ha potuto vendere i suoi ormai famosi droni armati Bayraktar TB2 a Kiev senza guastare i rapporti con Mosca. Viste le dure sanzioni in atto e il divieto per i russi di utilizzo dello spazio aereo europeo, la Turchia rimane uno dei pochi hub sia finanziari sia di transito ancora aperti verso occidente, per i russi che vogliano uscire o semplicemente sfuggire alla morsa che si va stringendo sul loro paese.

C’è da segnalare che molti russi non favorevoli alla guerra di Vladimir Putin stanno utilizzando Istanbul come prima tappa di autoesilio, considerando anche che tra i due paesi non c’è bisogno di visto.

Un famoso cantante russo ha addirittura organizzato un concerto per la pace nella città del Bosforo, attirando migliaia di suoi connazionali. Provando a facilitare il dialogo tra le due parti in guerra, la Turchia sta recuperando rilevanza a livello internazionale ed è stata finora l’unico paese che sia riuscito a portare allo stesso tavolo i ministri degli Esteri russo e ucraino dall’inizio del conflitto, anche se molti media internazionali anno scritto del fallimento di tale tentativo.

Lodi internazionali

Va tuttavia considerato che i negoziati avvengono nella confidenzialità e spesso i loro veri contenuti non corrispondono a ciò che viene detto in conferenza stampa. L’incontro tra Sergej Lavrov e il suo omologo ucraino Dmytro Kuleba, è stato lodato dal segretario generale delle Nazioni unite Antonio Guterres, che ha ringraziato la Turchia per i suoi sforzi.

Ankara sta mettendo in atto una shuttle diplomacy che potrebbe avere successo in queste settimane di “fight and talk”, come si dice in gergo diplomatico: si continua a combattere ma nel contempo si cerca la via del dialogo e la soluzione negoziale.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan si intrattiene regolarmente al telefono sia con Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky sia con il presidente americano Joe Biden. Anche quest’ultimo ha espresso il suo apprezzamento per gli sforzi della Turchia nella ricerca di una soluzione diplomatica del conflitto.

I rapporti con Israele

I turchi si stanno inoltre coordinando con gli israeliani, ulteriore tappa nella normalizzazione tra i due paesi dopo la rottura avvenuta all’epoca dell’attacco dei militari israeliani alla “freedom flottilla” verso Gaza nel maggio 2010, in particolare l’arrembaggio alla nave Mavi Marmara che ha fatto 8 vittime turche.

La visita del presidente Isaac Herzog ad Ankara e Istanbul ha suggellato tale rilancio delle relazioni. Anche nei confronti della Grecia si è avuta un’apertura significativa con l’incontro tra Erdoğan e il primo ministro greco Kyriakos Mītsotakīs.

Grazie al conflitto Ankara è divenuta una tappa obbligata: il presidente polacco Andrzej Duda segue la recente visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz, malgrado i Verdi della coalizione di governo tedesca siano ancora molto critici sulla politica del leader turco.

Il viaggio del cancelliere ha scatenato un forte dibattito sui media tedeschi con molti che prevedono che non ci si debba aspettare una distensione duratura tra Unione europea e Turchia, a meno di una drastica svolta in materia di diritti umani che nessuno prevede.

Secondo vari osservatori tedeschi la guerra in Ucraina riavvicina i membri della Nato ma lascia irrisolti molti problemi che vengono solo posposti. Nondimeno Ankara coglie l’occasione per cercare di ricostruire progressivamente le sue relazioni con i paesi occidentali, anche se Erdoğan ha deciso di non adottare le sanzioni imposte alla Russia nella fase attuale.

Le sanzioni alla Russia

L’economia turca è molto più dipendente da Mosca che quelle degli altri paesi europei, ad esempio in termini di fabbisogno energetico, importazioni di grano e mais nonché in tema di turismo.

Mantenendo il suo spazio aereo aperto ai voli russi, così come le rotte commerciali marittime nel Mar Nero, la Turchia in un certo senso indebolisce gli sforzi occidentali cercando di non alienarsi del tutto la Russia.

Allo stesso tempo tale postura offre a entrambi i contendenti una piattaforma di dialogo di cui prima o poi avranno comunque bisogno. Lavorare per la pace è anche nell’interesse nazionale turco: l’eventuale prolungamento della guerra in Ucraina potrebbe avere un impatto distruttivo sull’economia turca, già messa a dura prova, e minare contemporaneamente quell'autonomia strategica che Erdoğan si è faticosamente ritagliato in questi ultimi anni nei confronti dell’occidente.

Il margine di manovra del leader turco potrebbe gradualmente restringersi man mano che la guerra va avanti, costringendolo alla fine a dover scegliere tra occidente e Russia, cosa che il presidente turco cerca di evitare. Inoltre vi sono anche aspetti di politica interna.

Le prossime elezioni

In vista delle prossime elezioni del giugno 2023, l’opposizione in Turchia sta diventando sempre più audace e ascoltata, facendo leva sulle difficoltà economiche del paese, tra le quali spicca la svalutazione della lira turca.

La guerra in Ucraina offre al governo un’opportunità ma rappresenta anche un ulteriore gioco di pericolosi equilibrismi. Resta forte anche la polemica domestica sulla questione dei rifugiati. Oltre ai circa 4 milioni di siriani (dei quali 200.000 pare abbiano già ottenuto la cittadinanza turca), anche in Turchia stanno arrivando gli ucraini, per ora solo 20.000.

La questione dell’accoglienza e dell’integrazione dei profughi è al centro delle prossima campagna elettorale: a un’opposizione critica sull’apertura a nuovi arrivi, Erdoğan ha già fatto sapere pubblicamente che non bloccherà l’entrata a chi fugge dalla guerra.

La guerra europea non è l’unico scenario militare per Ankara. La Turchia rimane fortemente impegnata in Libia dove il fragile processo politico si è ultimamente avvitato in una spirale che potrebbe sfociare nella ripresa degli scontri armati.

Nonostante gli appelli delle Nazioni unite, Ankara non ha ritirato le sue forze militari e i suoi miliziani da Tripoli, che si oppongono alle forze filo Bengasi sostenute da Russia, Emirati ed Egitto. Come si vede la duplicità delle relazioni con Mosca si tocca con mano anche su tale delicato quadrante.

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