Nel Museo dell’infanzia in guerra c’è un’esposizione che colleziona migliaia di oggetti appartenuti a bambini che hanno vissuto conflitti. «Volevo colmare una lacuna nella memoria di quella guerra, perché c’erano tanti libri, film, mostre, ma non molto dal punto di vista dei bambini. Pensavo mancasse questa voce», spiega il fondatore Halilović
Sarajevo – «Poco prima dell’inizio della guerra, mio nonno mi costruì un'altalena per giocare nella nostra casetta di campagna. Mio nonno morì e poco dopo iniziò la guerra. La mia altalena è rimasta nel seminterrato ammuffito dove ho trascorso i primi anni della mia vita, invece di essere circondata dalla bellezza della natura». Naida è nata a Sarajevo nel 1989, aveva tre anni quando nel 1992 è scoppiata la guerra in Bosnia ed Erzegovina. «Eravamo sempre in tanti in quel piccolo seminterrato, a volte anche 30 persone. Mia madre non poteva sorvegliarmi sempre, quindi aveva legato un campanellino all'altalena per sapere se ero lì».
L’altalena di Naida è il primo oggetto che si incontra visitando il War Childhood Museum – Museo dell’infanzia in guerra – un’esposizione che colleziona migliaia di oggetti appartenuti a bambini che hanno vissuto conflitti.
L’esposizione ha aperto a Sarajevo nel 2017, da un’idea di Jasminko Halilović, che è nato nella stessa città nel 1988. Quando è scoppiata la guerra aveva quattro anni.
«Nel 2010 ho iniziato a lavorare a un libro. L’obiettivo era testimoniare l’esperienza della generazione cresciuta durante la guerra in Bosnia», racconta Halilović, che al petto porta la spilla con il fiore commemorativo bianco e verde per i trent’anni dal genocidio di Srebrenica. «Volevo anche colmare una lacuna nella memoria di quella guerra, perché c’erano tanti libri, film, mostre, ma non molto dal punto di vista dei bambini. Pensavo mancasse questa voce», aggiunge.
Testimonianze
Halilović ha iniziato aprendo un sito in cui poneva la domanda «cos’è stata per te un'infanzia in guerra?», alla quale gli utenti potevano rispondere in 160 caratteri. In pochissimo tempo sono arrivate centinaia di testimonianze. Visto lo spazio limitato, capitava che ricevesse lunghe email che spesso avevano delle immagini in allegato che ritraevano degli oggetti: un diario, delle lettere, un pallone, una stufa.
«Pensavo di sapere tutto, essendo io stesso un bambino che ha vissuto la guerra. E invece ho imparato moltissimo», dice Halilović, che in quel momento ha iniziato a pensare all’idea del museo, senza però metterla in pratica.
Dopo la pubblicazione, il libro è stato tradotto in diverse lingue. «Un giorno mi trovavo in Giappone per una presentazione. C’erano persone molto anziane, che erano state bambine durante la seconda guerra mondiale. Alcune avevano cerchiato delle parti del libro e mi avevano detto di riconoscersi nei miei ricordi della Bosnia degli anni ‘90. Mi ha fatto capire il potenziale universale di quest’esperienza», spiega Halilović. A quel punto ha cominciato a lavorare al museo.
Mentre il libro si limitava alla Bosnia e a Sarajevo, il progetto dell’esposizione ha avuto sin dall’inizio un respiro più ampio: «Ho pensato dovesse includere le storie di tutte le persone la cui infanzia fosse stata segnata dalla guerra».
Le guerre del mondo
Oggi la collezione conta circa 6mila oggetti, provenienti da 20 conflitti. La maggioranza riguarda la guerra in Bosnia. Come un piccolo cowboy di plastica giallo, uno dei primi giocattoli dell’infanzia di Semir, nato in Bosnia nel 1981: «L'immagine della nostra casa in fiamme a Mostar è rimasta impressa nella mia memoria. In quel momento, mi è sembrato che anche la mia infanzia fosse andata in fiamme».
O la tutina che Alen ad appena un anno indossava quando da Kalesija, nel cantone di Tuzla, è partito insieme alla madre per raggiungere il padre in Svizzera il giorno prima dell’inizio della guerra: «In seguito scoprimmo che la nostra casa era stata bruciata e con essa tutti i nostri ricordi e i nostri effetti personali. Questa tutina era l'unica cosa che ci restava della nostra vita in Bosnia prima della guerra».
Circa mille oggetti vengono dall’Ucraina. Tra questi, c’è un cane di peluche che Dmytro, nato nel 2002, aveva lavato e messo ad asciugare fuori in un pomeriggio d’estate. «Non appena ho capito che erano iniziati i combattimenti, sono corso in casa. Quando fuori è tornato il silenzio, sono tornato a prendere il mio cane di peluche dallo stendino. In quel momento, ho sentito improvvisamente il sibilo di un proiettile. Ha prima sfiorato il peluche, poi ha colpito il muro e infine è caduto a terra. Vedendo da dove proveniva, ho capito che il proiettile mi avrebbe colpito se non fosse stato per quel cane».
Altri oggetti sono testimonianze da Gaza, precedenti al 7 ottobre 2023. C’è il vestito per l’Eid al Fitr, giorno che segna la fine del Ramadan, che Reem, 6 anni, avrebbe dovuto indossare se poche ore dopo il suo risveglio non ci fosse stato un bombardamento. O il regalo che la sorella di Saja, 12 anni, le ha fatto prima di riuscire a partire per una borsa di studio in Grecia: «Ogni volta che mi manca, lo guardo e mi aggrappo alla speranza che un giorno potremo riunirci, anche se non sarà a Gaza».
Halilović spiega che, pur essendo una piccola organizzazione, ogni giorno ricevono nuovi oggetti da diverse parti del mondo: «Le persone ci conoscono con il passaparola, con i media, ci contattano e ci raccontano la loro testimonianza».
In futuro il museo punta a espandersi, sia in termini di collezione, che di mostre, con il progetto di aprirne una permanente a Kiev. «E siamo impegnati in molti programmi di formazione, non solo in Bosnia», dice Halilović. «Nel mondo di oggi abbiamo bisogno di empatia. Abbiamo bisogno di ascoltare, e penso che le esperienze dei bambini possano raggiungere anche chi è più difficile da avvicinare. Credo davvero nel potere di questa collezione di rompere il caos generale causato dalla grande quantità di informazioni che ci circonda».
Per molti anni Naida ha conservato la sua altalena, pensando che un giorno l’avrebbe data a sua figlia. Poi ha deciso di donarla al museo: «Non voglio più regalarle l'altalena con il campanellino. Le auguro un'infanzia spensierata, piena di giochi al parco».
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