Non si tratta dell’ennesimo incontro inconcludente, questo è il momentum, l’occasione della svolta. Oggi l’organizzazione mondiale del commercio, la Wto, dialoga di vaccini e farmaci anti Covid-19. Come mai discute ancora se liberare o meno i brevetti? Perché la Wto procede per consenso: bisogna che i tanti paesi del sud globale, che sostengono la proposta fatta sin da ottobre da India e Sudafrica, e i pochi ricchi d’occidente che finora si sono opposti, tra i quali Stati Uniti ed Europa, trovino una convergenza. Quindi non bisogna aspettarsi nulla neppure stavolta? Al contrario. È questo il momento in cui qualcosa cambia, in cui si potrà e si dovrà uscire dallo stallo. Perché? Per due congiunture: l’esasperarsi della crisi sanitaria in India e le spinte interne agli Stati Uniti. «Posso riferire con certezza che anche ai livelli più alti dell’amministrazione Biden ci sono divisioni sul tema, e quindi ci sono i presupposti perché si inneschi un cambiamento», dice Jan Schakowsky, democratica, progressista, veterana del Congresso: è congresswoman da un ventennio.

Le posizioni di partenza

India e Sudafrica chiedono di attivare, a causa della pandemia, le clausole di emergenza previste dall’accordo commerciale sulla proprietà intellettuale Trips. Si tratta di far valere per i vaccini, i farmaci, i dispositivi medici legati a Covid-19, l’articolo 9 dell’accordo della Wto: dice che in circostanze eccezionali alcuni obblighi possono essere sospesi. Allentare alcune tutele su copyright, progettazione industriale e segreti di produzione significa poter liberare i brevetti, introdurre licenze obbligatorie, trasferire tecnologie. La proposta è stata avanzata a ottobre, da allora una sessantina di paesi si sono fatti sponsor, formalmente, di questa ipotesi, e la cifra di quelli che sono favorevoli, o che come la Cina non si oppongono, è circa il doppio. «Il numero dei paesi che bloccano la proposta, invece, se si considera l’Ue come un tutt’uno, sta nelle dita di due mani», dice Jaume Vidal di Health Action International. Hai è tra le centinaia di ong di rilevanza globale che supportano la proposta dal lato della società civile. «A gennaio abbiamo incontrato la Commissione europea», racconta Vidal, che si riferisce a una interlocuzione avuta con lo staff della direzione generale Salute della Commissione, al cui vertice siede Sandra Gallina, caponegoziatrice dell’Ue per i vaccini. «Con noi Bruxelles è stata chiara: la liberazione dei brevetti non verrà mai accettata». Eppure un anno fa Ursula von der Leyen promise il «vaccino bene comune universale», e a gennaio, quando l’incontro è avvenuto, l’Ue già si confrontava coi ritardi nelle consegne, gli inceppi nella campagna vaccinale. Tanto che il presidente del Consiglio europeo Charles Michel arrivò ad annoverare la liberazione dei brevetti come «opzione nucleare»; la stessa von der Leyen lo ha detto. «Ma in realtà non c’è mai stata l’intenzione», dice Vidal: «Ci è stata motivata come scelta tecnica e non politica, ma a noi Bruxelles ha anticipato che non avrebbe mai cambiato posizione». Infatti l’Ue, assieme a Usa, Canada, Giappone, fino all’ultimo incontro alla Wto non ha dato segni di avvicinamento alla posizione espressa dal Sud globale. Tra i paesi in via di sviluppo, Ue e Usa sono accompagnati solo da Jair Bolsonaro, ma adesso pure il Senato brasiliano ha dato un segnale in direzione opposta.

India e Stati Uniti

Brajendra Navnit è l’ambasciatore indiano alla Wto. Dice che «all’inizio i paesi che si opponevano alla nostra proposta hanno chiesto dettagli, e noi li abbiamo forniti. Ma dopo mesi è palese che si tratta di tattiche dilatorie». L’occidente punta all’eterno rinvio, secondo l’India, che si trova in piena emergenza sanitaria e rivendica l’urgenza della proposta. «La filiera produttiva è in crisi, solo immunizzando a livello globale usciremo da questa fase», dice Navnit. «Vorrei chiarire che noi non disconosciamo il valore della proprietà intellettuale, non chiediamo di abbatterla, ma una sospensione mirata legata all’emergenza: quando in tutto il mondo abbiamo imposto i lockdown, non era certo perché volessimo negare i diritti, o perché ce l’avessimo con i ristoranti e con il turismo. Semplicemente c’era un’urgenza di salute pubblica». L’India e il Sudafrica arrivano all’incontro di oggi con una proposta che contiene adesso tutti i dettagli tecnici e legali, che è circostanziata. L’obiettivo è passare dal dialogo generico alla discussione puntuale di un documento su cui convergere. Dalla possibilità di venirsi incontro dipende anche la tenuta del sistema multilaterale della Wto: finora, i paesi occidentali che hanno bloccato la strada a India e Sudafrica, rendendo vano ogni tentativo di raggiungere il consenso, si sono mossi però per altre vie. O per la precisione, «la terza via», come l’ha battezzata la direttrice della Wto, Ngozi Okonjo-Iweala: «Preservare la proprietà intellettuale ma favorire accordi con le aziende per aumentare la produzione». In pratica, favorire partnership volontarie tra Big Pharma e manifatture. Canada, Australia, Nuova Zelanda, Norvegia, Turchia, Cile e Colombia, con l’influente sostegno informale degli Stati Uniti, hanno avanzato a Okonjo-Iweala la richiesta di avviare dialoghi diretti con Big Pharma per «facilitare e promuovere partnership»; cosa che la direttrice ha fatto, suscitando l’indignazione delle ong. India e Sudafrica hanno preso formalmente posizione contro questo modo di procedere «plurilaterale», che cioè accontenta alcuni paesi ma non ha il mandato del consesso globale. Chiedono una soluzione condivisa. Come sbloccare l’impasse? «Se gli Usa si muovono, anche il resto dei paesi che ne seguono la scia si sposterà di conseguenza», dice Ruth Dreifuss, ex presidente svizzera e oggi a capo della Commissione sulla proprietà intellettuale della World Health Organization.

Bruxelles per ora è inerte, nonostante le spinte provenienti dalle forze più progressiste dell’Europarlamento, ma Washington inizia a muoversi: la Casa Bianca è così sotto pressione che ora vuole promuovere il dialogo alla Wto. Non è tutto merito di sandersiani e progressisti, né mancano le pressioni lobbistiche di Big Pharma e i contrari d’eccellenza come Anthony Fauci. Determinante è la realpolitik: «È anche un fatto di economia», dice la deputata Schakowsky. «A cosa è servito spendere miliardi per sostenere l’industria dell’ospitalità o i trasporti, se poi non battiamo il virus a livello globale? Così si vanifica tutto: bisogna agire ora».

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