L’Idf dice di aver eliminato i vertici dei ribelli, compreso il premier Abdul Malik in un raid nella capitale Sana’a: «Zero tolleranza». Altri 51 gazawi uccisi in poche ore nella Striscia, mentre lo Shin Bet recupera il corpo di un ostaggio e i resti di un altro, La Casa Bianca revoca i visti dei palestinesi per l’Onu, compreso quello di Abu Mazen
La strategia è sempre la stessa. Decapitare i vertici delle organizzazioni dell’asse della resistenza filoiraniana. È successo con Hamas, poi con Hezbollah, poi con la leadership politica e militare iraniana nella Guerra dei 12 giorni a giugno, e ora con gli Houthi. Gli uomini di peso del gruppo ribelle che controlla parte dello Yemen erano finora rimasti immuni agli attacchi. Fino a venerdì, quando in un raid mirato e di altissima difficoltà d’intelligence, l’esercito israeliano ha ucciso il primo ministro Abdul Malik al Houthi.
Il momento, per Tel Aviv, era quello giusto. Il premier stava pronunciando un discorso alle alte cariche militari quando è avvenuto il raid. «Si è trattato di un attacco complesso basato su informazioni di intelligence relative all’incontro dei vertici politico-militari del gruppo», ha detto l’esercito dello stato ebraico. Successivamente il capo di stato maggiore, Eyal Zamir, ha spiegato che «non ci sarà tolleranza» nei confronti del gruppo.
Quello di venerdì, infatti, è stato il secondo bombardamento contro la capitale Sana’a in meno di cinque giorni.
Zona di guerra
Migliaia di civili sono in fuga «sotto un cielo oscurato dal fumo dei bombardamenti». Le corrispondenze dei giornalisti di Al Jazeera sono le poche notizie che giungono dalla Striscia nei giorni più intensi dei raid israeliani a Gaza City. «Non stiamo aspettando. Abbiamo iniziato le prime fasi dell’attacco», ha detto il portavoce dell’Idf, Avichay Adraee. «Operiamo con grande forza». Gaza City è zona di guerra, non ci saranno più pause umanitarie. «Non ci fermeremo finché tutti i nostri ostaggi non saranno restituiti, con ogni mezzo possibile», ha avvertito Zamir.
L’unico mezzo che valuta lo Stato ebraico è l’utilizzo della forza militare. Non c’è spazio per valutare la proposta di tregua e liberazione degli ostaggi già approvata da Hamas nelle scorse settimane. Non c’è mediazione che tenga. Morte e distruzione sono gli imperativi da seguire, gli ordini del gabinetto di guerra guidato da Benjamin Netanyahu e i suoi ministri. Israele «pagherà il prezzo con il bagno di sangue dei suoi soldati», ha minacciato Abu Obeida, portavoce delle brigate Qassam.
Gli ostaggi «corrono gli stessi rischi dei combattenti palestinesi», ha detto. «Se moriranno la responsabilità sarà del governo israeliano». E intanto l’Idf e lo Shin Bet hanno comunicato di aver recuperato il corpo dell’ostaggio Ilan Weiss e «i resti» di un secondo ostaggio di cui è in corso l’identificazione. Altri 51 palestinesi sono stati uccisi. Alcuni di loro si trovavano nella zona umanitaria designata da Israele ad al-Mawasi, nel sud di Gaza. Cinque di loro, invece, sono morti per carestia e malnutrizione.
La conta dei morti viaggia a una media di circa 50 uccisioni al giorno in questo mese di agosto. Numeri che crescono e hanno superato la quota di 63mila decessi. Si tratta però di numeri al ribasso, che non tengono conto delle persone scomparse e dei corpi intrappolati ancora sotto le macerie.
Prime contro misure
Le prime contromisure nei confronti di Israele sono arrivate dalla Turchia con l’annuncio del ministro degli Esteri, Hakan Fidan, in una seduta straordinaria del parlamento.
Fidan ha detto che lo Stato ebraico sta «commettendo un genocidio da due anni, ignorando i valori umanitari fondamentali davanti agli occhi del mondo intero» e per questa ragione il governo ha deciso di chiudere lo spazio aereo e interrompere i legami economici e commerciali con il paese. E mentre i leader mondiali condannano e chiedono a Israele di fermarsi ottenendo in cambio scarsi risultati, prosegue la politica di appeasement degli Stati Uniti.
Il segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato la revoca dei visti ai membri dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) e dell’Autorità palestinese (Anp) in vista dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nella lista rientrerebbe anche il presidente Anp, Mahmoud Abbas (Abu Mazen).
Secondo Washington sono «responsabili di aver premiato il terrorismo, l’incitamento e gli sforzi di usare la guerra legale contro Israele». E quindi «l’Autorità nazionale palestinese deve inoltre porre fine ai suoi tentativi di aggirare i negoziati attraverso campagne di lawfare internazionale, inclusi appelli alla Cpi e alla Corte Internazionale di Giustizia, e sforzi per ottenere il riconoscimento unilaterale di un ipotetico stato palestinese». Ancora una volta Israele applaude attraverso il suo ministro degli Esteri: «È un passo coraggioso».
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