Dove ci sono migliaia di morti, cercate la guerra. A volte non dichiarata, molto spesso sotterranea, sempre combattuta evitando di guardare i volti delle vittime. Nel Mediterraneo centrale lo scorso anno sono morte 1518 persone.

I naufragi avvengono soprattutto in una sorta di zona franca, un’area che si è trasformata nel più grande cimitero del Mediterraneo, a poche miglia da Lampedusa. È il fronte sud delle migrazioni, trasformato una sorta di area di nessuno: è zona Sar maltese, ma è a poche miglia dall’Italia.

È un pezzo di un mosaico di rettangoli, una mappa depositata all’Imo: a sud c’è la zona libica, dove spesso - come raccontato da Domani - il telefono rosso dei soccorsi squilla a vuoto.

A nord c’è l’area di competenza italiana, solcata dalle motovedette della Guardia costiera. Dietro i confini delle zone Sar c’è però una guerra diplomatica, giocata sulla vita di migliaia di migranti. Il bottino - fatto di risorse strategiche - è sotto il mare.

Le zone Sar e lo spazio aereo

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Partiamo dalle regole internazionali per poterci addentrare nel groviglio di interessi e curiosi accordi che hanno portato alla divisione del Mediterraneo centrale in quattro zone per le attività di salvataggio (oltre alle citate Italia, Malta e Libia, anche la Tunisia ha dichiarato la propria Sar).

Secondo la convenzione di Amburgo del 1979 tutti gli Stati costieri devono istituire servizi di ricerca e soccorso per garantire l’assistenza a chiunque si trovi in una situazione di pericolo in mare.

È una dichiarazione che comporta obblighi precisi: delimitare l’area marittima di competenza e istituire un Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc è la sigla usata internazionalmente). C’è un terzo punto. L’autorità nazionale ha la responsabilità di garantire il soccorso dal momento della ricezione di una richiesta di aiuto fino alla sbarco dei naufraghi in un “posto sicuro” (Pos, Place of safety). Nel caso dei migranti questo non può essere la Libia, come stabilito dagli accordi internazionali e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Ed è il paese responsabile della Sar a decidere il luogo di sbarco, come prevede l’emendamento del 2004 della convezione internazionale sui salvataggi in mare. Un documento che Malta non ha mai firmato.

La delimitazione delle Sar marittime, a livello internazionale, eredita, per convenzione, la zona di gestione degli spazi aerei, le “Flight Information Region” – Fir. La creazione di queste aree risale alla convenzione di Chicago del 1944 sull’aviazione civile internazionale, che - in addendum successivi - chiedeva agli stati di istituire servizi di soccorso sui territori di propria competenza. In caso di incidente aereo era necessario sapere immediatamente chi doveva intervenire, per evitare ritardi fatali.

Il nodo maltese

Malta ha ereditato dalla Gran Bretagna - che ha controllato l’isola fino al 1964 - un’area per la gestione dello spazio aereo gigantesca. Al momento della dichiarazione della propria zona di competenza per la operazioni di salvataggio in mare, La Valletta ha comunicato all’Imo le coordinate della Fir aeronautica.

Gestire una così ampia zona di salvataggio nel mediterraneo centrale voleva dire poter offrire un punto di sbarco per i migranti salvati dai naufragi. La Valletta non ha, però, sottoscritto gli emendamenti del 2004 alle Convenzioni Sar e Solas, che affidano allo stato responsabile della zona Sar l’individuazione del Place of safety, il luogo sicuro per lo sbarco dei naufraghi.

Malta, d’altra parte, è una piccola isola e gestire grandi arrivi di rifugiati potrebbe creare non pochi problemi. L’Italia, da parte sua, negli ultimi anni non sempre è stata disponibile ad intervenire nell’area Sar maltese, anche se la parte a nord è a poche miglia da Lampedusa. Uno scarica barile sulla pelle dei naufraghi.

Di migranti Malta in ogni caso non ne vuole proprio sapere. Fin dal 2009 ha stretto accordi con la Guardia costiera libica per “coordinarsi” nei salvataggi. Un secondo accordo segreto con Tripoli - il cui testo rimane ancora oggi chiuso nelle casseforti delle diplomazie - è stato siglato nel 2019.

L’ultimo memorandum di cui si ha notizia è del maggio del 2020. L’obiettivo è chiaro: affidare ai libici il recupero dei migranti che naufragano nella Sar zone maltese. Il loro destino è segnato: torneranno tutti nei centri detenzione in Libia, violando così i principi degli accordi internazionali sul Place of safety ed evitando il porto di La Valletta.

Una strategia che corre in parallelo con gli accordi italiani di supporto alla Guardia costiera libica; un sistema di “respingimento per procura” messo in piedi dai due paesi del Mediterraneo e denunciato nei giorni scorsi al Tribunale dell’Aia da un gruppo di giuristi.

Il comitato “Nuovo desaparecidos” insieme all’avvocato Arturo Salerni stanno poi provando dal 2020 a sollevare la questione della sostanziale inerzia dei maltesi nei salvataggi nella propria zona.

In un esposto consegnato nei giorni scorsi all’Imo, l’associazione ha elencato i naufragi avvenuti all’interno dell’area di competenza maltese, con decine di vittime. La Guardia costiera libica - come raccontato in diverse inchieste - oltre a violare il principio di non respingimento, non è in grado di soccorrere le migliaia di naufraghi nella propria zona e, ancor di meno, in quella maltese, dove spesso intervengono grazie agli accordi bilaterali.

Le royalties e il gas

In realtà gli interessi nel dichiarare una zona Sar così ampia - senza poi impegnarsi nei salvataggi - sono altri.

C’è un tornaconto immediato, ovvero le royalties per la gestione del traffico aereo nella zona Fir, la sua estensione per convenzione è parallela alla Sar. In gioco ci sono milioni di euro che ogni anno entrano nelle casse di la Valletta e restringere la competenza sul mare potrebbe mettere in gioco quella aerea, ereditata dagli inglesi.

Grazie all’ampia Sar zone, poi, Malta può “esercitare (un’influenza) su un’area particolarmente sensibile ed importante qual è quella dello Stretto di Sicilia; soprattutto mentre il Mar Mediterraneo si appresta a vedere man mano scomparire anche le ultime residue aree di mare libero (alto mare), a seguito della progressiva formalizzazione di Zone economiche esclusive (Zee) rivendicate anche unilateralmente da un crescente numero di Stati costieri”, scrive il contrammiraglio Sandro Gallinelli sul numero dello scorso settembre della rivista “Il diritto marittimo”.

L’attenzione è tutta per le preziose risorse naturali - soprattutto gas - delle piattaforme continentali del Mediterraneo. Non solo. Sui fondali marini passano i cavi delle comunicazioni internazionali e il controllo delle acque sovrastanti ha sempre di più un valore strategico

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