Le persone che hanno utilizzato l’anticipo pensionistico offerto da Quota 100 sono state la metà di quanto stimava la relazione prodotta all’epoca dell’approvazione della misura durante il governo di Lega e Movimento 5 stelle. Anche la spesa è stata inferiore alle aspettative: circa 11 miliardi di euro al 31 dicembre 2021, contro i 18 stimati tre anni fa.

Sono alcuni dei principali risultati che emergono dal monitoraggio di Quota 100 realizzato da Inps e Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), pubblicato oggi. Un studio che aveva lo scopo, è scritto nel documento, di «offrire evidenze utili alla valutazione dell’impatto finanziario delle eventuali future proposte di modifica delle regole di pensionamento in chiave di maggiore flessibilità».

Complessivamente, 380mila persone hanno fatto ricorso a Quota 100, un numero che potrebbe salire a 450mila entro il 2025. I maschi sono il 61 per cento, le femmine il 39 per cento. La metà sono dipendenti privati, un terzo circa dipendenti pubblici e il 20 per cento restante autonomi. In numeri assoluti, la maggior parte dei richiedenti proviene dal nord, ma se calcolato sulla base degli occupati è il sud l’area che ha sfruttato maggiormente Quota 100. L’assegno medio ottenuto è di poco superiore a 1.900 euro lordi.

La grande maggioranza delle richieste per accedere a Quota 100 è stata fatta nel primo momento utile, cioè appena maturati i requisiti. Insieme alla percentuale totale di aderenti alla misura, queste sono le principali differenze con le stime iniziali realizzate tre anni fa.

I dati più importanti

L’evidenza principale emersa dallo studio è il minore ricorso a Quota 100 rispetto alle aspettative. Secondo le stime del 2019, tra l’80 e il 90 per cento degli aventi diritto avrebbero fatto richiesta di Quota 100, ma al momento questa percentuale (chiamata in gergo “take-up”) è sotto al 50 per cento.

La percentuale potrebbe crescere nel 2025, quando di esaurirà definitivamente la possibilità di utilizzare la misura, avvertono Inps e Upb. Ma anche la stima più ampia, 450mila utilizzatori, rimane sotto le aspettative del 2019. Situazione simile per la spesa. Quella al 2025 è stimata in 23,2 miliardi, cioè 10,3 miliardi meno dei 33,5 stimati inizialmente.

In realtà le differenze di spesa sono minori di quanto appare, poiché a pochi mesi dalla pubblicazione della prima relazione tecnica su Quota 100, la stima di spesa era stata notevolmente abbassata nella successiva Nota di aggiornamento al Def (Nadef). Confrontando le stime attuali con quelle della Nadef, lo scarto si riduce a 5,8 miliardi.

Un’altra consistente differenza tra stime iniziale e la situazione reale è che molte più persone di quanto previsto inizialmente hanno sfruttato Quota 100 al primo momento utile, cioè non appena maturati i requisiti. Questo ha causato un aggravio delle spese per le casse dello stato, non sufficiente però a pareggiare il risparmio dovuto a un take-inferiore alle aspettative.

Altri dati

Quota 100 ha colpito in particolare le amministrazioni centrali dello stato, come i ministeri. Con Quota 100, infatti, è andato in pensione lo «0,4 per cento della relativa base occupazionale (con un picco dell’1,2 per cento per il settore “Trasporto e magazzinaggio”) e «l’1,3 per cento nel comparto pubblico», ma «con picco del 2,9 per cento per le “Funzioni centrali”». 

L’anticipo medio rispetto all’età ordinaria di pensione ottenuto con Quota 100 è di 2,3 anni e ha comportato una riduzione dell’assegno pari a circa il 4 per cento per ogni anno di anticipo (la riduzione non è frutto di un meccanismo di penalizzazione, ma della semplice riduzione degli anni di contribuzione).

Si ricorre più spesso a Quota 100 tanto più si è lontani dal maturare i requisiti ordinari. Ma anche il reddito influenza molto la scelta. I decili più bassi, cioè i più poveri, sfruttano meno o comunque più tardi Quota 100, probabilmente nell’attesa di maturare assegni maggiori. La curva sale nei decili centrali, ma precipita nuovamente negli ultimi, i più ricchi. Si tratta, spiegano Inps e Upb, di persone con lavori tendenzialmente più gratificanti e quindi maggiormente disposti ad attendere la maturazione dei requisiti ordinari.

La conclusione

La conclusione dello studio è che questi numeri possono rappresentare un’utile guida per lo studio di future misure per rendere più flessibile l’accesso alla pensione. Possono infatti essere considerati un «upper bound», cioè un limite massimo, anche se indicativo, di quante persone potrebbero ricorrere in futuro a strumenti simili che dovessero essere introdotti.

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