Siamo all’inizio del semestre bianco, i sei mesi che precedono il termine del mandato settennale del presidente della Repubblica. Da martedì 3 agosto, infatti, il capo dello stato Sergio Mattarella non avrà più il potere di sciogliere le camere e indire nuove elezioni.

L’articolo della Costituzione che limita i poteri del presidente della Repubblica negli ultimi sei mesi del suo mandato è il numero 88, che recita: «Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura».

La norma è stata introdotta dall’assemblea costituente per evitare che il presidente si avvalesse di questo potere per favorire, attraverso lo scioglimento delle camere e le elezioni, una compagine parlamentare più disposta a una sua rielezione.

La sospensione dei poteri del capo dello stato non significa però che la sua figura istituzionale sia svuotata di tutte le funzioni: al presidente della Repubblica rimangono i poteri di nomina, di firma, di rinvio delle leggi alle camere e di supervisione dell’attività di queste, di fare richiami ufficiali al parlamento, di inviare messaggi al paese.

Mancando però uno dei maggiori poteri del presidente della Repubblica, il rischio è che le forze politiche cambino gli equilibri o che le lacerazioni interne alla maggioranza si aggravino senza una via d’uscita. Ma, come fa notare in un’intervista a Radio radicale Stefano Ceccanti, deputato del Partito democratico e costituzionalista, anche in uno scenario di questo tipo Mattarella avrebbe sempre a disposizione l’arma delle dimissioni anticipate.

Legge costituzionale 1/1991

La disciplina è stata rivista con la legge costituzionale 1 del 1991, quando la conclusione del mandato del presidente della Repubblica Francesco Cossiga corrispondeva con lo scadere della legislatura. Ci si trovò in un “ingorgo istituzionale”, per l’impossibilità da parte del presidente di sciogliere le camere e l’impossibilità per le camere di eleggere il capo dello stato senza violare l’articolo 85 comma 3 della Costituzione, secondo cui «se le camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del presidente in carica».

La revisione del 1991 ha quindi introdotto la possibilità per il presidente della Repubblica di sciogliere le camere, anche negli ultimi sei mesi del suo mandato, se coincidono «in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura». 

Dibattito

Molti studiosi si sono chiesti negli anni se il semestre bianco abbia ancora senso o meno. Lo stesso Mattarella, citando l’ex presidente della Repubblica Antonio Segni, ha messo in dubbio l’istituto, considerandola una disposizione che «altera il difficile e delicato equilibrio tra poteri dello stato e può far scattare la sospensione del potere di scioglimento delle camere in un momento politico tale da determinare gravi effetti».

Il presidente Segni, nel 1963, con un messaggio alle camere spiegava l’opportunità di introdurre nella Costituzione «il principio della non immediata rieleggibilità del presidente della Repubblica», considerando sufficiente un mandato di sette anni per «garantire una continuità nell’azione dello stato», al fine di abrogare l’istituto previsto dall’articolo 88 e impedire, allo stesso tempo, che un presidente sciolga le camere per favorire una sua rielezione.

Durata

Secondo i dati elaborati da Openpolis, in media il semestre bianco dura meno di sei mesi: precisamente 167 giorni. Il periodo più lungo di semestre bianco è stato durante la presidenza di Giuseppe Saragat, di 183 giorni, mentre quello più breve (di 116 giorni) è stato quello di Francesco Cossiga.

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