L’incontro sulle pensioni e sulla manovra di bilancio tra i leader dei sindacati Cgil, Cisl e Uil e il presidente del Consiglio Mario Draghi è finito male. Dopo quasi due ore di colloquio in cui Draghi ha respinto tutte le richieste dei sindacati, il presidente del Consiglio interrotto l’incontro per «precedenti impegni». 

Nessun accordo è stato trovato sulla questione più scottante, l’organizzazione del sistema pensionistico dopo la fine di quota 100, che scadrà il 31 dicembre. Le posizioni restano lontanissime, con Draghi che propone piccoli aggiustamenti e i sindacati che chiedono una riforma complessiva che tenga anche conto delle future pensioni dei giovani.

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«Senza un altro confronto decideremo per una mobilitazione», ha annunciato il leader della Cgil Maurizio Landini in una conferenza stampa improvvisata sotto la pioggia, davanti a Palazzo Chigi. 

Ma per ora i sindacati non hanno trovato l’appoggio di nessun partito. Né da parte del loro tradizionale alleato, il Partito democratico, né da parte della Lega, da anni uno dei partiti che più si sono battuti contro le strette pensionistiche.

Le proposte in campo

Ci sono due questioni su cui si discute: una di breve termine e una invece di lungo respiro. La prima è cosa accadrà quando il 31 dicembre scadrà quota 100, la riforma sperimentale che negli ultimi tre anni ha permesso di andare in pensione a chi aveva accumulato 38 anni di contributi e aveva raggiunto un’età minima di 62 anni.

Quasi nessuno vuole tornare automaticamente alla legge Fornero, che impone a tutti la pensione a 67 anni, poiché si creerebbe un cosiddetto “scalone”, cioè una forte sperequazione tra chi compie gli anni entro il 31 dicembre 2021, e che quindi può andare in pensione con quota 100, e chi invece li compie a partire dal giorno successivo e che, a parità di altre condizioni, si troverà a dover attendere cinque anni prima di poter fare lo stesso.

La soluzione proposta dal governo è quella di introdurre una serie di “quote” crescenti e valide per un anno ciascuna per ammorbidire questo impatto (si parla di quota 102, 103 e 104, ma non c’è ancora una proposta ben definita).

Ieri, però, i sindacati hanno detto che nel colloquio Draghi non ha parlato delle quote, ma solo della possibilità di proroga di un anno dell’Ape sociale e di opzione donna, due “strade” alternative verso la pensione anticipata destinate a chi fa lavori usuranti e alle donne.

Per i sindacati queste offerte sono insufficienti e, durante l’incontro di ieri, hanno rilanciato chiedendo che il governo non si limiti a trovare una soluzione ponte per coprire la fine di quota 100, ma che metta mano a una riforma complessiva del sistema che garantisca una pensione dignitosa anche ai milioni di giovani che negli ultimi anni hanno avuto carriere discontinue e precarie e che tra 40 anni rischiano di andare in pensione con assegni inferiori al soglia di povertà.

Draghi però è stato netto su questo punto. «Dal contributivo non si torna indietro», avrebbe detto ai sindacati secondo quanto ha fatto trapelare il suo staff, intendendo con questo che non c'è possibilità nemmeno per chi ha avuto lavori precari di tornare a un sistema in cui ciò che si riceve è superiore a quanto versato (quel che sostanzialmente avviene con il sistema retributivo).

Le posizioni dei partiti

Da ieri, Draghi ha respinto le richieste dei sindacati e si prepara a presentare la sua proposta al Consiglio dei ministri di domani e i leader di Cgil, Cisl e Uil riflettono su come e quando lanciare una mobilitazione.

Nel frattempo, i partiti sembrano averli abbandonati e appaiono pronti ad accettare qualsiasi compromesso sarà messo sul tavolo da Draghi. 

Tanto il Pd quanto la Lega hanno posto una condizione chiara al governo nei giorni e nelle settimane precedenti: no ad un ritorno secco alla riforma Fornero. La proposta di quota 102, 103 e 104 e la proroga di strumenti come l’Ape sociale, sembrano quindi sufficiente per ottenere la loro approvazione.

Fino a questa mattina, nessuno degli esponenti dei due partiti ha preso posizioni dure sull’incontro di ieri. Massimiliano Fedriga, presidente del Friuli Venezia Giulia e astro nascente nella Lega, ha detto questa mattina che il suo partito non ha intenzione di «mettere in crisi il governo», né sulle pensioni né su altro.

In campo Pd, la sinistra del partito è sostanzialmente silenziosa sul tema, mentre la destra ha già dichiarato il suo appoggio per Draghi. «Sto con Draghi», ha detto questa mattina l’ex capogruppo renziano in Senato Andrea Marcucci.

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