L’impostazione futura della politica di bilancio è finora di fatto assente dalla campagna elettorale. Eppure la nuova legislatura sarà caratterizzata dalla necessità di far fronte ad esigenze di spesa crescenti (dalla sanità e l’istruzione alla transizione ecologica e la difesa) che vanno oltre le risorse del Pnrr e, allo stesso tempo, di mantenere un equilibrio di bilancio con il ritorno delle regole europee da qui a un anno.  

Due esigenze che sarà molto difficile tenere insieme senza intervenire sul sistema tributario. Come era facile prevedere, anche senza crisi di governo, il generoso tentativo di Draghi di attuare una riforma complessiva del sistema è naufragato insieme con la legge delega. Troppo distante la destra dai principi contenuti nel disegno di legge predisposto dal governo, che prevedevano l’uniformità del prelievo sui redditi diversi da quelli da lavoro con la conseguenza di dover cancellare la cosiddetta flat tax sugli autonomi e razionalizzare la tassazione degli immobili. Con, d’altro canto, una sinistra particolarmente timida su questi temi.

L’adesione allo schema Berlusconi

La questione è molto semplice: accomodare le pressioni sulla spesa senza scassare il bilancio preclude la possibilità di ridurre in misura significativa la pressione fiscale. Resta possibile (e auspicabile) redistribuire il carico fiscale, come da anni raccomanda la Commissione europea, dal lavoro verso consumi e rendite.

Questa impostazione, tuttavia, cozza con lo schema di matrice berlusconiana che ha dominato gli ultimi decenni: non mettere le mani in tasca agli italiani, intesi non nel loro complesso ma individualmente. In pratica: è vietato aumentare una qualsiasi imposta anche se ciò dovesse servire a diminuirne altre. Il Pd negli ultimi anni ha nei fatti (nel periodo renziano, anche nella teoria) aderito a questo schema. Chi tocca un’imposta perde voti. Nei due anni trascorsi si è realizzata la felice sintesi tra destra e sinistra nello slogan “non tassare e spendi”, esemplificato dalla stagione dei mille bonus, alcuni pittoreschi (terme e monopattini) altri seriamente pericolosi (110 per cento).

La discussione seria che non c’è

Nell’accordo raggiunto Pd e Azione si impegnano a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, non aumentare il carico fiscale (ovvero non si impegnano a ridurlo), improntare le politiche di bilancio alla responsabilità e promuovere la riforma delle regole di bilancio europee. Va bene ma forse sarebbe il caso di essere conseguenti e abbandonare la timidezza a discutere seriamente dei temi fiscali.

Da dove potrebbero arrivare le risorse per ridurre il cuneo sul lavoro? Si procederebbe alla riforma del catasto, allo scopo di redistribuire l’onere dai tartassati (i proprietari di immobili con rendite catastali vicine ai valori di mercato) ai fortunati (quelli che pagano su rendite molto inferiori ai valori di mercato)?

Si possono tassare i redditi da locazione con le stesse aliquote degli altri redditi da capitale? È immaginabile un accorpamento delle aliquote Iva che renda più difficile evadere l’imposta? Al contrario, si condivide l’idea della destra di mantenere e anzi estendere la flat tax per gli autonomi?

E quella della “pace fiscale”, ottenuta con l’ennesima rottamazione di cartelle esattoriali con effetti ovvi sulla propensione futura ad evadere?  In sintesi, si vuole perseguire l’equità orizzontale tra i contribuenti, facendo pagare la stessa imposta a chi ha lo stesso reddito. Tutte questioni presenti nella decantata agenda Draghi, visto che erano nel progetto di legge delega.

L’obiezione è che sono temi spinosi, che “fanno perdere voti”. Ma il silenzio timido e continuare a giocare di rimessa (come è accaduto nella vicenda della stessa delega) certamente non ne faranno guadagnare. I gruppi di interesse che sarebbero danneggiati voteranno comunque quelli che coerentemente li hanno sempre difesi. Gli altri elettori apprezzerebbero un approccio esplicito, su questi come su altri temi (dall’autonomia differenziata ai balneari).

© Riproduzione riservata