Con il voto di più di 60 modifiche ieri alla Camera la delega al governo per la riforma fiscale è pronta per essere approvata alla Camera: il voto finale previsto per domani pomeriggio. Le convulsioni politiche della maggioranza e la difesa da parte dei partiti di destra degli interessi delle rendite immobiliari e della tassazione differenziata dei redditi da capitale la rende una riforma mutilata, anche se la svolta sugli strumenti di lotta all’evasione, fenomeno di massa in Italia, è cruciale e significativa.

Sessanta emendamenti

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede tra i traguardi da centrare entro il 30 giugno per ottenere i fondi anche l’approvazione di una riforma per incoraggiare il rispetto degli obblighi fiscali e questo è il merito della delega approvata dall’esecutivo.

L’obiettivo di una riforma fiscale complessiva che possa rendere il sistema italiano adeguato ai tempi e al nuovo scenario economico al momento invece è stato annacquato dalle barricate dei partiti di centrodestra e dalle modifiche su cui si è trovato il compromesso in commissione finanze, dopo che la destra ha fatto mancare più volte i voti mettendo a rischio la tenuta dell’esecutivo.

Ieri in aula il testo votato è identico a quello uscito dalla commissione ad eccezione di due emendamenti che semplicemente accolgono il parere della commissione bilancio sull’invarianza finanziaria del provvedimento.

Dei dieci articoli della legge delega, due in particolare sono stati profondamente modificati da Forza Italia e Lega. All’articolo 2 è sparito il riferimento al sistema duale, cioè sostanzialmente all’idea che il sistema fiscale sia imperniato su una imposta progressiva per i redditi da lavoro e una imposta unica proporzionale per i redditi da capitale.

La scomparsa del riferimento al sistema duale significa la difesa, almeno per il momento, delle aliquote agevolate, a partire dalla cedolare secca sugli affitti, che permette a chi guadagna dalla proprietà immobiliare di pagare meno di quanto si paga sui guadagni da lavoro, e tra l’altro dell’aliquota al 12,5 per cento sui titoli di stato, un incentivo al debito pubblico.

Dopo un primo tentativo di introdurre un sistema duale nel 1997, eliminato dopo appena quattro anni dal secondo governo Berlusconi, il nostro paese non è mai riuscito ad avere una tassazione coerente sui redditi da capitale e probabilmente non ci riuscirà nemmeno questa volta. Anche oggi la rendita immobiliare ha la meglio: il nuovo testo precisa che si dovrà tenere conto della differenza tra redditi «da capitale mobiliare e immobiliare».

Il bonus per gli autonomi

Sempre in tema di eccezioni, la riforma che pure ha migliorato il sistema delle aliquote Irpef rispetto ai precedenti, non è riuscita a intaccare la cosiddetta “flat tax” del governo giallo-verde, in realtà un forfait senza razionalità economica che premia con una aliquota al 15 per cento gli autonomi con redditi lordi fino a 65 mila euro. Questo sistema disincentiva la crescita delle dimensioni di impresa, discrimina i percettori di altri redditi da lavoro, ma anche, all’interno della stessa categoria degli autonomi i professionisti che hanno costi di produzione più alti e, da ultimo, incentiva l’evasione.

Il solo correttivo introdotto è un sistema ponte di due anni in cui chi supera la soglia dei 65mila euro di reddito lordo, pagherà una aliquota non più del 15 per cento ma comunque inferiore alle normali aliquote Irpef. La contraddizione è che allo stesso tempo la legge delega introduce il principio di equità orizzontale tra i contribuenti, secondo il quale a parità di redditi percepiti i contribuenti dovrebbero pagare lo stesso livello di imposte allo stato.

Il catasto

L’articolo sui cui lo scontro è stato più acceso, come noto, è stato il sesto: la riforma del catasto. Rispetto alla versione iniziale della delega il nuovo testo invece non prevede di considerare i valori di mercato per gli immobili, ma invece prevede l’elaborazione di un nuovo sistema di rendite, che comunque non sarebbero utilizzate a sistemi fiscali.

Un’invenzione macchinosa che, a leggere i dati disponibili sulla differenza tra valori di mercato e valori catastali, cerca di difendere i privilegi di cui godono i proprietari di immobili nei centri delle città e nelle zone più attrattive del paese, a svantaggio degli altri.

La fissazione per gli immobili tra l’altro viene ribadita anche nel passaggio della legge in cui si prevede la riforma delle detrazioni e deduzioni fiscali, prevedendo attenzione per il «bene casa».

Lotta all’evasione

L’altro articolo modificato profondamente è il primo. Con un accordo questa volta non al ribasso ma al contrario molto positivo sulla lotta all’evasione e anche sui doveri della pubblica amministrazione nei confronti dei cittadini. Da una parte viene infatti finalmente accelerata l’integrazione delle banche dati per controlli incrociati anti evasione e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, dall’altra si amplia il ricorso alle procedure telematiche, la pubblica amministrazione non potrà richiedere al cittadino documenti già in suo possesso e le violazioni formali saranno sanzionate diversamente da quelle sostanziali. Resta fondamentale la razionalizzazione delle aliquote Iva prevista dall’articolo 4 e anche questa affidata ai decreti attuativi, che dovrebbe anche incentivare la sostenibilità ambientale rispetto agli acquisti.

La lotta all’evasione passa anche da qui, visto che l’Iva è l’imposta più evasa e la sua evasione è la base dell’evasione delle altre imposte.

Interessi di classe

Il governo ha ancora ampio margine di manovra tramite i decreti, ma la lezione politica che si può trarre da questa occasione mancata è la conferma che i partiti del centrodestra italiano sono bravissimi a fare gli interessi delle classi che rappresentano. Buona parte della sinistra non sembra fare altrettanto.

 

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