È necessario mettere alcuni punti fermi sulla questione del primo video pubblicato sui social dal ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, relativo alla partecipazione del giudice Iolanda Apostolico a una manifestazione contro le politiche dell’immigrazione praticate dal leader della Lega nel 2018 quando era ministro dell’Interno.

La pubblicazione

La ripresa di immagini in un luogo pubblico non è illecita, ma può essere illecita la divulgazione di tali immagini. È generalmente consentito divulgare foto o filmati di eventi o manifestazioni pubbliche con le riprese dei partecipanti. Lo si fa normalmente nei telegiornali o nella trasmissione di competizioni sportive, ad esempio.

Ma l’oggetto principale delle immagini non è e non deve essere lo specifico partecipante, bensì l’evento o la manifestazione e l’insieme dei presenti. La spiegazione si trova nel Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr).

Ai sensi di tale regolamento, le immagini che ritraggono persone non costituiscono di norma dati particolari (“sensibili”), bensì dati personali che godono della tutela ordinaria. Tuttavia, l’immagine di una persona può essere considerata dato particolare se sottoposta a tecniche automatiche di riconoscimento del volto; oppure quando, oltre a identificare la persona, permetta di evincere altre informazioni, come le sue convinzioni religiose, opinioni politiche, condizioni di salute e altro. Per i dati particolari sono previste tutele maggiori e un generale divieto di trattamento, salvo le eccezioni indicate dal Gdpr.

Chiarito tutto questo, possono formularsi alcune considerazioni sulla diffusione via social da parte di Salvini delle immagini in questione. Innanzitutto il ministro, pur pubblicando il video di una manifestazione, ha focalizzato l’attenzione sulla persona della giudice, attraverso allusioni.

In altre parole, Salvini ha agito in maniera equivalente a quella di chi divulghi il primo piano di una persona in una manifestazione pubblica, e ciò potrebbe configurare una violazione del diritto di riservatezza della persona ritratta. Violazione tanto più grave in quanto le immagini sono riferite a un contesto dal quale potrebbero evincersi opinioni politiche o similari della persona stessa, cioè dati particolari.

Non basta dire che, partecipando a un evento pubblico, la giudice avesse implicitamente prestato un consenso alla divulgazione delle proprie immagini. Il Gdpr richiede che il dato sia stato «reso manifestamente pubblico dall’interessato». Dunque, la pubblicazione del dato particolare relativo alla giudice sarebbe potuta avvenire solo previo consenso dell’interessata oppure in presenza di una delle altre cause di esclusione del divieto di trattamento previste dal Gdpr. Cause che nella vicenda in esame non ricorrono.

A ciò si aggiunga che Salvini è un ministro, non un giornalista (attualmente, date le sue funzioni pubbliche, non rileva che sia iscritto all’ordine). Per i giornalisti l’esigenza di fornire l’informazione, cioè la notizia, può prevalere rispetto alla tutela della riservatezza della persona interessata, in conformità al Codice di deontologia relativo alle attività giornalistiche, che prevede un bilanciamento tra i vari interessi. Un ministro, invece, è tenuto in ogni caso al rispetto dell’altrui privacy.

Un’ultima notazione. Anche se la divulgazione del video fosse consentita, per il Gdpr il dato personale dev’essere esatto, quindi, aggiornato. Pubblicare le immagini della partecipazione della magistrata a una manifestazione avvenuta cinque anni prima, e ricondurre a tale partecipazione precise opinioni politiche, non considera la necessità di aggiornamento di quel dato prima del suo trattamento attraverso la pubblicazione. È, infatti, un dato obsoleto, raccolto in un contesto e in un tempo differente, e pertanto necessiterebbe quanto meno di una conferma della sua attualità da parte dell’interessata. Lo stesso Gdpr sancisce il diritto all’oblio per dati non più attuali.

L’acquisizione

Il secondo profilo da esaminare attiene alle modalità in cui Salvini ha acquisito il video. Quest’ultimo non sarebbe stato allegato ad atti interni o a informative all’autorità giudiziaria, come già dichiarato dalla questura di Catania, ma – secondo quanto si è appreso nella serata del 6 ottobre scorso – sarebbe stato girato da un carabiniere con il suo cellulare personale. Il carabiniere lo avrebbe poi condiviso con una cerchia di persone e successivamente ne avrebbe informato i suoi superiori, che a propria volta ne hanno informato l’autorità giudiziaria.

Ammettendo che sia stato davvero un carabiniere a girare il video a fini personali, e che per fini altrettanto personali egli l’abbia custodito per cinque anni nel proprio cellulare, restano comunque dubbi in punto di diritto sull’utilizzo che del video è stato fatto. La condivisione del filmato con più persone – avvenuta dopo lo scoppio delle polemiche su Apostolico, quindi nella consapevolezza della natura “sensibile” di quanto risulta dalle immagini stesse, come spiegato – rischia di configurare un illecito trattamento di dati personali.

Lo stesso rischio sussiste per chi, a propria volta, abbia condiviso con ancora altre persone il video reso disponibile dal carabiniere, fino a farlo arrivare nelle mani del ministro Salvini, ultimo anello della catena, che poi lo ha reso oggetto di una divulgazione social, sulla quale vi sono i dubbi più forti, sopra esposti.

Qualcuno avanza perplessità sul fatto che il video sarebbe stato girato da un carabiniere. Infatti, in un secondo video divulgato da Lapresse si vede una persona che riprende le scene, ma ha il casco della polizia e una telecamera, non un cellulare.

Se a filmare fosse stato un esponente delle forze dell’ordine, come appare, per finalità connesse ad esempio alla sicurezza pubblica o all’eventuale accertamento di reati? In questo caso, i rischi di violazione della normativa sarebbero ancora più accentuati rispetto all’ipotesi che sia stato un carabiniere a fini personali.

Il decreto legislativo che regolamenta specificamente il trattamento di dati personali da parte sia dell’autorità giudiziaria sia delle forze di polizia, per motivi inerenti alla funzione svolta, prescrive – tra le altre cose – che i dati acquisiti siano conservati solo per il tempo necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; sottoposti a esame periodico per verificarne la perdurante necessità di conservazione; cancellati o anonimizzati decorso tale termine. Soprattutto, data la “sensibilità” di tali dati, è stringente la disciplina della loro conservazione ed eventuale trasmissione ad altre autorità.

Dunque, è escluso che foto o filmati acquisiti da forze dell’ordine possano essere usati per fini diversi da quelli per cui sono stati raccolti, custoditi per un tempo indeterminato e consegnati a soggetti vari ed eventuali.

Pertanto, nel caso in cui il video ove appare la giudice fosse stato girato dalla polizia e cinque anni dopo fosse in qualche modo arrivato a Salvini, ciò costituirebbe una violazione del decreto citato. E la violazione vi sarebbe anche se tale video, filmato da un esponente delle forze dell’ordine, poi non fosse stato ufficialmente acquisito agli atti (ad esempio, perché irrilevante), come dichiarato dalla questura di Catania. In questo caso, infatti, occorrerebbe spiegare a quale titolo, nonostante il mancato inserimento del video in un qualche fascicolo, le immagini continuassero a essere conservate, anziché essere cancellate.

Un’ultima considerazione. A chi applaude alla divulgazione del video bisognerebbe chiedere se sarebbe altrettanto felice nel sapere che immagini in cui è ritratto sono eventualmente conservate per un tempo indefinito da qualche autorità, senza controlli sulla legittimità di tale conservazione, per essere poi utilizzate alla bisogna. È davvero ciò che si vuole?

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