Quando questa settimana il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha definito per la prima volta Vladimir Putin un criminale di guerra, molti hanno considerata le sue parole soltanto come un’escalation nella guerra retorica che accompagna quella sul campo, un modo di sottolineare la brutalità dell’invasione russo e il prezzo terribile che ne stanno pagando i civili.

Ma c’è anche un lato più concreto in queste accuse. Un aspetto legale che potrebbe portare a indagini e processi. La procura della Corte di giustizia penale internazionale ha già annunciato di aver iniziato delle indagini sul conflitto. Vale quindi la pena di chiedersi se la Russia ha commesso crimini di guerra, se Putin può esserne ritenuto responsabile e se sarà possibile punire lui o i suoi generali.

Crimini di guerra 

Una mole crescente di filmati, fotografie e testimonianze indica che nel corso dell’invasione dell’Ucraina si sono verificati numerosi episodi che si possono qualificare come crimini di guerra. Entrambe le parti hanno compiuto azioni sospette, ma la maggior parte degli episodi vedono coinvolte le forze armate russe, l’esercito invasore e quello che dispone della maggiore potenza di fuoco.

Il crimine di cui ci sono le maggiori prove e quello di aver causato danni sproporzionati ai civili rispetto agli obiettivi militari che le forze armate russe si proponevano di raggiungere. Le leggi di guerra, infatti, contemplano la possibilità che i civili possano restare feriti o uccisi nei combattimenti, ma stabiliscono che i famigerati “danni collaterali” debbano essere proporzionati all’obiettivo militare che si vuole raggiungere.

Distruggere un condominio dal quale il nemico spara contro le proprie truppe non è un crimine di guerra, ma colpire lo stesso palazzo lontano dalla linea del fronte perché nei pressi sono state avvistate truppe nemiche, potenzialmente lo è.

In questa categoria, il sospetto crimine di guerra di cui i media internazionali si sono più occupati è il bombardamento del reparto maternità dell’ospedale numero due di Mariupol, distrutto con una bomba di grosse dimensioni due settimane fa. Prima di negare completamente l’attacco, la Russia aveva ammesso di aver compiuto il bombardamento, ma si era giustificata sostenendo che l’ospedale era stato occupato da militari ucraini.

Anche se così fosse e se anche i russi potessero dimostrare che in base alle informazioni in loro possesso (vere o meno), l’ospedale era occupato da soldati ucraini, l’azione costituirebbe comunque un crimine di guerra a causa dell’evidente sproporzione tra il beneficio di colpire un obiettivo militare – che in quel momento non minacciava direttamente i russi, ancora fermi alla periferia della città – e i danni subiti dai civili.

Questo problema di sproporzione e di scarsa attenzione per le vittime civili si può applicare anche a quello che da settimane accade alla periferia di Kiev, a Kharkiv, Sumy e Chernihiv, dove centinaia di missili e proiettili di artiglieria sparati da armi imprecise, o comunque in grado di colpire indiscriminatamente vaste aree di terreno, sono stati lanciati contro aree civili e residenziale, molto spesso a grande distanza dalla linea del fronte.

Il secondo tipo di crimine è ancora più efferato, ma molto più difficile da provare. Si tratta degli attacchi intenzionalmente diretti ai civili. Anche se gran parte dei giuristi esperti di leggi di guerra considera questa definizione troppo ristretta (si potrebbe infatti giustificare la distruzione di un’intera descrivendola come conseguenza “non intenzionale” di un attacco militare), lo statuto della Corte di giustizia penale internazionale stabilisce che per essere un crimine un crimine di guerra, un attacco contro i civili deve essere esplicitamente voluto.

Nonostante le difficoltà di identificare questo secondo tipo di crimine contro i civili, media e ricercatori hanno già identificato diversi episodi che fanno pensare ad attacchi intenzionali contro i civili da parte delle forze armate russe. Un filmato girato da un drone e verificato dal network tedesco Zdf, ad esempio, mostra l’uccisione di un uomo a bordo della sua auto poco lontano da Kiev e il sequestro della sua famiglia da parte dei soldati russi. 

Le responsabilità e i processi

Una volta accertato che una certa azione militare costituisce un crimine di guerra bisogna individuarne i responsabili. Si è trattato di un’azione decisa dai soldati e dagli ufficiali sul campo, oppure è il frutto di ordini arrivati dall’alto?

Nei primissimi giorni dell’invasione, quando i russi pensavano di essere accolti a braccia aperte dagli ucraini, sembra accertato che le regole di ingaggio per la truppa al fronte fossero molto severe. Ma nelle ultime due settimane la situazione è cambiata. I generali hanno ordinato vasti bombardamenti sulle città ucraine che, come minimo, non hanno tenuto conto delle possibile perdite tra i civile e, nel peggiore dei casi, sono stati esplicitamente indirizzati contro di loro.

Provare che il presidente russo Vladimir Putin è a sua volta responsabile sarà estremamente difficile, in assenza di ordini scritti o di testimonianza degli alti comandi dell’esercito. Accusarlo semplicemente di aver lanciato una guerra illegale, cioè non autorizzata dalle Nazioni Unite, rischia di essere un’arma a doppio taglio visto che diversi paesi occidentali hanno fatto lo stesso.

Ma c’è un problema più grosso. Per consuetudine, i tribunali che si occupano di crimini di guerra non fanno processi in contumacia. Se quindi Putin non sarà deposto, se la Russia non deciderà di consegnare i generali, gli ufficiali e i soldati accusati di crimini di guerra, non ci sarà alcun processo e i crimini commessi in Ucraina, come la gran parte di quelli commessi in tutte le guerre, resteranno senza colpevoli.

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