Con l’inizio della nuova offensiva russa nel Donbass, la guerra è entrata in una nuova fase e il governo ucraino è più che mai alla ricerca di nuove armi con cui respingere l’attacco. È una «corsa contro il tempo» per far arrivare i rifornimenti in tempo alle truppe al fronte, come l’ha definita l’esperto di armi Justin Crump intervistato dalla Bbc.

Ma oltre alla velocità, è sempre più importante anche la tipologia di armi. Il presidente ucrainoZelensky, i suoi diplomatici, gli analisti e i sostenitori dell’Ucraina chiedono dispositivi più sofisticati e costosi rispetto a quelle ricevute fino ad ora, come i famigerati missili anticarro Javelin.

Le più importanti di queste armi, ma anche le più difficile da procurare, sono i sistemi antiaerei a lungo raggio, che non solo possono impedire alla Russia di utilizzare la sua imponente aviazione, ma possono anche proteggere le città ucraine dagli attacchi intercettando i missili nemici.

Difese aeree

Fin dal primo giorno di conflitto, gli ucraini chiedono a Europa e Stati Uniti sistemi con cui contrastare la potente aviazione russa. Anche se per il momento i jet di Mosca si sono visti molto meno di quanto ci si aspettasse, la capacità russa di colpire dall’alto è uno dei pochi vantaggi che continuano a costare caro agli ucraini.

E lo sarà ancora di più nei prossimi giorni, visto che nell’est del paese, la capacità ucraina di difendersi dagli attacchi aerei è molto più ridotta rispetto a quella intorno alla capitale, avvertono gli esperti.

Kiev dispone di molti missili antiaerei portatili, i cosiddetti “Manpads”, come i famosi Stinger. Sono missili che possono essere lanciati anche da un singolo soldato, efficaci contro elicotteri e aerei che volano a bassa quota, ma troppo piccoli, lenti e con poca autonomia per minacciare jet da combattimento che volano a un’altezza media o alta.

Per negare l’utilizzo di vaste aree di cielo al nemico, gli ucraini avrebbero bisogno di lanciamissili a lunga gittata. Sono armi molto più complesse dei Manpads, devi veri e propri “sistemi”, formati da veicoli radar, veicoli comando e dai lanciatori, enormi veicoli che trasportano i missili veri e propri, mostri lunghi anche una decina di metri, pesanti tonnellate e capaci di viaggiare per centinaia di chilometri. 

Gli ucraini possiedono già uno di questi sistemi: il russo S-300, che la Nato chiama “Grumble”, e che è grossomodo equivalente al Patriot americano. Una batteria di S-300 comprende di solito due sistemi radar, un veicolo comando e fino a otto lanciatori. 

Non è chiaro quanti sistemi S-300 l’Ucraina abbia ancora operativi. All’inizio del conflitto, la stima era di circa cento batterie, per un totale di 300 lanciatori con un numero sconosciuto di missili. I russi sostengono di averne distrutte 40 e ci sono prove fotografiche della distruzione di almeno 23 lanciatori e di mezza dozzina di radar.

Una batteria di S-300 e di sistemi antiaerei a medio raggio durante un'esercitazione in Bielorussia (Sergei Gapon/Pool Photo via AP)

I rinforzi

Fino ad oggi, gli ucraini hanno utilizzato con relativo successo i loro S-300, contribuendo a limitare le capacità dell’aviazione russa e intercettando un numero relativamente elevato di missili nemici. Ma tra attacchi russi e l’utilizzo intensivo, le scorte di questi missili stanno terminando.

Ci sono tre problemi nel rifornire l’Ucraina di questi armi. Il primo è politico e deriva dal timore che fornire armi sempre più avanzate all’Ucraina possa condurre a un’escalation del conflitto. Questo punto però sembra ormai superato.

Il secondo è che questi sistemi sono tecnologicamente avanzati e difficili da usare. Fornire agli ucraini un sistema nuovo, come il Patriot americano richiederebbe di addestrare i soldati ucraini per mesi al suo utilizzo.

Il terzo è che sono pochi i paesi alleati che possiedono sistemi come l’S-300 che gli ucraini potrebbero utilizzare immediatamente.

Nell’Unione Europea, soltanto Grecia e Bulgaria possiedono ancora questo sistema. La Grecia è quella che ha la riserva più rilevante: quattro sistemi con otto lanciatori ciascuno per un totale di oltre 170 missili. La Bulgaria possiede una batteria con soltanto con quattro lanciatori. La Turchia possiede un sistema ancora più avanzato, l’S-400, acquistato dalla Russia nel 2017 per una cifra stimata in circa 2,5 miliardi di dollari, ma che non sembra affatto intenzionata a cedere.

Il lancio di un S-300 durante un'esercitazion ad Ashuluk, nella Russia meridionale (AP Photo)

Qualcosa si muove

Visto il costo di questi sistemi e la loro importanza per la difesa dei centri abitati e non solo, i governi sono restii a cederli. In cambio, chiedono la sostituzione del S-300 con nuovi missili di capacità equivalente.

La Slovacchia è stato il primo e al momento unico paese ad aver accettato lo scambio. Diversi paesi Nato, compresi gli Stati Uniti, hanno schierato sistemi Patriot sul suo territorio e così Bratislava ha inviato i suoi S-300 all’Ucraina. Il New York Times ha scritto che il convoglio ferroviario necessario a trasportare una sola batteria e 48 missili ha impiegato quasi mezz’ora ad attraversare il confine.

Questa prima batteria risulta già essere operativa in un luogo non precisato del paese. Oggi, il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba si trova in Bulgaria per cercare di persuadere il governo a cedere anche la sua batteria e rinforza ulteriormente le difese ucraine.

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