Nel  partito democratico presto Elly Schlein dovrà affrontate una questione tra le più spinose. Faccenda che potrebbe riservare finali pirotecnici in una regione, la Campania, trasformata in feudo dal presidente della regione del Pd, Vincenzo De Luca, arrivato al governo nel 2015 per la prima volta e riconfermato per altri cinque anni. De Luca vuole il terzo mandato, è disposto a imporlo.

Schlein è invece contraria, seppure ancora pubblicamente ha evitato messaggi diretti e clamorosi. Di certo però quando nel suo appello al rinnovamento del partito ha messo sotto accusa il sistema dei “cacicchi” e dei signori delle tessere, dei ras locali e dei loro portatori di voti e clientele, a tutti era chiaro il riferimento all’ex sindaco di Salerno, città che ha governato per 17 anni.

Ma De Luca spaventa, appena qualcuno in passato ha azzardato una presa di posizione, il presidente ha tuonato rispondendo con insulti e invettive. 

Sul metodo di gestione del potere di De Luca esistono, come rivelato da Domani nell’inchiesta a puntate, una miriade di indizi e fatti documentati che vanno dai rapporti con i suoi fedelissimi, sospettati di vicinanza ai clan o di aver preso voti da quegli ambienti criminali, ai favori riservati ai re delle cooperative beneficiari di appalti pubblici spesso affidati senza alcuna gara.

“Il sistema”

Il sistema De Luca si fonda, volendo seguire il percorso tracciato dai detective nelle informative nel 2018, su tre gambe: politica, impresa e camorra. Per questo però non esistono bollini giudiziari, ma solo atti investigativi, senza mai che questi si trasformassero in processi e quindi sentenze di colpevolezza. Il quadro emerso dagli atti ottenuti dal nostro giornale però delineano i tratti salienti del potere deluchiano, attraverso intercettazioni, incluse quelle di De Luca, verbali dei collaboratori di giustizia, conversazioni con dirigenti apicali del comune in cui ha regnato per quasi due decenni da sindaco.

Ruolo lasciato per il più prestigioso governatore della Campania, al quale è giunto senza problemi e rispetto al quale il Pd nazionale dell’epoca (2015) non ha obiettato alcunché nonostante i candidati chiacchierati e una condanna in primo grado a suo carico per abuso d’ufficio alla faccia della legge Severino (poi è stato assolto in appello). Nonostante fin dal 2009 i vertici del partito a Roma avessero ricevuto segnalazioni, lettere, denunce interne sulla gestione clientelare di De Luca a Salerno.

Il 2015 è l’anno delle primarie regionali, gli iscritti del Pd hanno scelto De Luca, preferito al suo concorrente Andrea Cozzolino (oggi nel mirino della magistratura belga nell’indagine sulle mazzette europee distribuite da Marocco e Qatar). Nei documenti degli investigatori c’è un chiaro riferimento alle primarie vinte dal presidente: in particolare della massa di denaro speso per trionfare e dei presunti legami con ambienti imprenditoriali opachi.

Cosentino e i suoi fratelli

Il fatto è che De Luca è De Luca, con o senza il Pd. La frase che meglio incarna il suo sistema di potere è quella che non lo vuole né di destra, né di sinistra, ma semplicemente De Luca. Se si dimentica questo è difficile capire il fenomeno deluchiano. Attraverso i suoi fedelissimi, consiglieri comunali e regionali, a partire dal 2006 per trovare equilibri necessari a farsi eleggere, De Luca non ha disdegnato appoggi esterni di figure legate al centro destra all’epoca in Campania nella mani di Nicola Cosentino, il sottosegretario del governo Berlusconi poi condannato per essere il referente politico del clan dei Casalesi, Gomorra. Il prezzo da pagare per governare senza problemi, per trasformarsi da sindaco in sovrano.

Ora però le cose potrebbero mutare rapidamente. Innanzitutto la nuova segreteria a trazione Schlein è convinta a non tollerare più certi personaggi, procacciatori di consenso, contigui alla camorra e inseriti a pieno titolo nel partito campano. Questi capibastone che fine faranno? L’obiettivo è arginare il loro raggio di azione alle prossime regionali. Ma sarà impossibile farlo con De Luca di nuovo ricandidato.

Qui si aprono scenari che per il Pd sono traumatici, perché senza De Luca la regione è data per persa. Una soluzione nell’immediato dolorosa, riflettono alcuni dirigenti democratici, ma che nel lungo periodo permetterebbe di valorizzare una nuova classe dirigente sui territori estranea alle logiche clientelari e del potere deluchiano.

Da quanto risulta il Pd e il Movimento Cinque stelle stanno già dialogando per definire un candidato comune. All’interno dei democratici la versione ufficiale è che ancora manca molto tempo alle elezioni regionali e la questione De Luca non è all’ordine del giorno. Tuttavia c’è molta attesa tra i militanti sulle mosse della segretaria, in particolare gli iscritti campani che hanno combattuto lo strapotere del sindaco e poi presidente si aspettano un rinnovamento nei metodi di gestione del partito sul territorio.

Una sfida notevole per Schlein, che avrà nella scelta del candidato a presidente della regione il momento più duro. Con il rischio che una rivoluzione interna possa provocare persino l’uscita dei deluchiani e del presidente stesso, convinto a ricandidarsi comunque.

In queste settimane il Pd e il M5s stanno dialogando per cercare di presentare candidati comuni alle prossime amministrative, si semina in vista delle regionali che potrebbero tramutarsi in una sconfitta certa. De Luca potrebbe correre da solo e i due partiti, già insieme nel secondo governo Conte, potrebbero scegliere un candidato comune, si parla di Roberto Fico, ex presidente della Camera, che chiuderebbe la stagione di De Luca, ma che potrebbe lasciare il governo della regione alle destre. Scenari che partono da un punto chiaro di partenza, il M5s non accetterà un terzo mandato del presidente uscente e, in quel territorio, il peso elettorale del partito di Conte è ancora rilevante.

Nel Pd bisogna fare i conti con i dati di realtà, i nuovi esponenti, da Marco Sarracino, deputato e coordinatore organizzativo della mozione Shlein, fino al giornalista, Sandro Ruotolo, portavoce della mozione in Campania, muovono idee, rappresentano una novità, ma tessere e consensi sono in mano ai deluchiani come hanno dimostrato irregolarità e polemiche durante le ultime primarie. Sogni di cambiamento hanno già sfiorato Napoli e la Campania, ma poi sono rimaste solo le parole di fronte alla macchina di voti e ricatto politico di De Luca. 

Anni di silenzio sul sistema

Chi ha militato nel Pd e ha documentato la sfacciataggine dei cacicchi deluchiani nell’ostentare voti e potere è rimasto deluso e amareggiato soprattutto per i silenzi nelle stanze romane del partito. Le lettere e le denunce inviate ai vertici non sono mancate. Non sono mancate neppure le segnalazioni sui metodi usati per votare alle primarie.

Il sospetto è che De Luca sia stata l’unica carta da giocare per prendersi la regione. Pur di raggiungere il risultato i vertici nazionali hanno chiuso un occhio sui portatori di voti e i capibastone locali al seguito di De Luca. Alcuni dei quali, come raccontato, finiti in scandali vari e altri accusati dai pentiti di vicinanza ai clan. Ce la farà Schlein ha cambiare la rotta in un territorio, che è un feudo a conduzione familiare? 

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