In questo drammatico 2020, la pandemia ha catalizzato su di sé ogni attenzione e, soprattutto in ambito sanitario, tutti sembrano essersi concentrati su un solo obiettivo: curare i malati di Covid-19 e prevenire il contagio. Ma che cosa è successo a chi era già malato o ha avuto bisogno di altre prestazioni sanitarie? In particolare, che attenzioni hanno ricevuto le donne, in ambiti specificatamente femminili come la gravidanza, il parto, l'aborto e la cura del cancro al seno?

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Nei coni d'ombra delle terapie intensive, mentre gli occhi di tutti erano puntati sulla “guerra al virus”, in Italia si è cominciato a chiudere reparti, rimandare visite e interventi, anche in caso di patologie gravi. Confusione, ritardi e risposte discordanti sono stati la norma. Si è parlato di posticipare gli interventi non indispensabili e in qualche caso questo ha riguardato anche l'interruzioni di gravidanza, nonostante sia un diritto garantito per legge. Hanno cominciato a squillare tutti insieme i telefoni delle asl, dei consultori e delle associazioni a tutela della salute delle donne e le domande erano sempre le stesse: «Dove posso abortire? Posso andare in ospedale anche se sono positiva al Covid?».

Il diritto all'interruzione di gravidanza, già così precario nel nostro paese a causa dell'elevato numero di medici obiettori di coscienza, si è trasformato in una via crucis: molti reparti in cui si praticavano aborti sono stati chiusi e in generale la diminuzione dei posti letto e degli anestesisti disponibili ha costretto le donne a penosi pellegrinaggi da un ospedale all'altro per trovare una struttura disponibile ad effettuare l'operazione. Chiuse in casa per il lockdown, le donne che volevano abortire hanno dovuto affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli fra disinformazione, paura del contagio e timore di non riuscire a trovare una soluzione entro i termini previsti dalla legge.

Alcune Regioni (come Piemonte e Umbria) sono inoltre restie ad adeguarsi alle nuove direttive che permettono l'aborto farmacologico in day hospital, soluzione che limiterebbe molto il rischio di contagio e libererebbe posti preziosi in ospedale; un ostruzionismo che ha contribuito alla diffusa sensazione che non ci sia un reale interesse a semplificare la procedura ma, al contrario, una colpevole trascuratezza quando si tratta di applicare la legge 194.

Anche sul fronte della prevenzione e della cura del tumore al seno, la prima causa di morte per cancro nelle donne, i dati che sono già in nostro possesso sono tutt’altro che incoraggianti. L’Istituto europeo di oncologia a ottobre ha lanciato l’allarme: nei primi cinque mesi del 2020 sono stati effettuati 400mila screening in meno rispetto all’anno precedente e si calcola che ci saranno di conseguenza almeno duemila donne che riceveranno la diagnosi in ritardo, mentre sappiamo che la tempestività è cruciale per affrontare al meglio la malattia.

Con questa inchiesta cercherò quindi di capire quanto le donne abbiano patito di dimenticanze, false informazioni, ritardi e vere e proprie violenze in ambito sanitario con la “scusa” della pandemia e quanto il loro diritto alla cura sia stato sacrificato sull'altare dell'emergenza Coronavirus. L'inchiesta sarà avvalorata da dati, ricerche sul campo, interviste a operatori sanitari, medici, ostetriche, volontarie di associazioni per i diritti delle donne e testimonianze di pazienti. Inoltre cercherò di verificare se le fasce più povere della popolazione siano state curate efficacemente o, come è probabile, siano state le più penalizzate dalla pandemia e dalle sue ricadute economiche visto che, tra l'altro, la sospensione del servizio o i ritardi nelle strutture pubbliche hanno costretto le pazienti con gravi patologie ad avvalersi di prestazioni private e a pagare esami e visite altrimenti gratuite, con un carico economico per loro spesso insostenibile.

Per finanziare l’inchiesta, potete cliccare qui.

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