No, non è un film di fantascienza e neanche un videogioco. È un torneo di calcio reale, ci sono squadre di tutto il mondo, ha cadenza annuale e lo giocano robot umanoidi sviluppati dalle migliori università del mondo. A rappresentare l’Italia c’è il Spqr team, la squadra del dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale della Sapienza di Roma, che all’ultima RoboCup - la competizione robotica più grande al mondo - ha conquistato il quarto posto.

Il team leader del progetto, l’ingegnere Vincenzo Suriani, ci racconta: «È una competizione vera e propria, ci sono partite molto sentite e non mancano le proteste».

Gioco ma anche ricerca

Ma perché un torneo tra robot che giocano a calcio? «La competizione favorisce la ricerca», spiega Suriani, «tutti vogliono vincere e questo ci stimola a migliorarci. Ma lo sviluppo dei robot resta al primo posto: al termine di ogni RoboCup c’è una conferenza in cui ogni squadra presenta ciò che ha sviluppato e migliorato, in modo che tutti possano lavorare durante l’anno su quanto scoperto».

E quanto viene sviluppato in campo può cambiare le nostre vite: «I modelli matematici che si usano per far camminare i robot sono gli stessi che vengono utilizzati per gli esoscheletri che servono a chi ha problemi riabilitativi». Non solo: «Il sistema che abbiamo installato nei nostri robot per tracciare la palla in campo è stato utilizzato a Venezia per tracciare le barche in tutti i canali».

E ancora: «La nostra ricerca è fondamentale anche per la computer vision, la tecnologia che permette ai nostri cellulari di riconoscere volti e oggetti».

Le origini

I robot umanoidi, insomma, si sfidano in campo per migliorare le nostre vite. Una sfida del presente che guarda al futuro e nasce nel passato. «Tutto ha inizio nel 1997, quando il computer Deep Blue IBM sfida e batte il campione del mondo di scacchi Kasparov. Quella è stata la prima volta in cui un’intelligenza artificiale ha battuto un campione mondiale umano. E ciò ha avuto particolare importanza per la comunità scientifica - spiega l’ingegnere Suriani -, perché ha permesso di ritenere come risolti dal punto di vista informatico i giochi a mosse, vale a dire quei giochi in cui, per poter fare una mossa, devi aspettare quella dell’avversario».

Da lì è nata subito una nuova sfida: «Ci si è immediatamente chiesti se fosse possibile programmare dei computer in grado di battere dei campioni umani in un gioco non a mosse, un gioco dove non serve aspettare l’avversario e dove non è neanche possibile prevedere tutte le mosse di questo. E così si è pensato al calcio».

Ed è stato fissato un obiettivo importante: «Nel 1997 si è deciso che nel 2050 ci sarà una partita di calcio tra la Nazionale campione del mondo della Fifa e una squadra di robot umanoidi, che è il grande obiettivo per cui stiamo lavorando. Il progetto in Italia è partito subito, nel 1998, grazie al professor Daniele Nardi, ordinario di intelligenza artificiale alla Sapienza».

L’obiettivo non è sostituirci

Sì, avete capito bene: tra 25 anni vedremo una partita di calcio tra esseri umani e robot. E no, di nuovo, non si tratta di fantascienza né di videogame. E allora di cosa? «Quella partita non diventerà la normalità, gli esseri umani continueranno a giocare tra loro e i robot tra robot. Ma quella sfida sarà importante per capire a che livello sarà arrivata la ricerca scientifica su questo argomento».

E anche chi teme che la competizione tra robot possa sostituire quella tra umani può stare tranquillo: «Non è quello l’obiettivo». Ma in futuro le due cose potranno coesistere: «Non c’è l’intenzione di cambiare lo sport che conosciamo, ma c’è la possibilità che le competizioni tra robot diventino sempre più avvincenti e seguite». In alcune parti del mondo è già così: «La scorsa estate, siamo stati al World humanoid robot games in Cina ed è stato un successo. Le partite si sono svolte nei palazzetti delle Olimpiadi di Pechino, stavamo nel villaggio olimpico e c’è stata anche una cerimonia di apertura nello stile dei Giochi, ma la cosa più importante è che tantissime persone sono venute a vederci. Hanno venduto circa 2 milioni di biglietti, al costo equivalente di 70 euro l’uno. Non c’era solo il calcio ma anche la boxe, la corsa e molte altre discipline. C’era il meglio che la robotica potesse offrire, i robot hanno gareggiato nelle discipline umane e la risposta del pubblico è stata straordinaria. Lo stesso evento ci sarà anche l’anno prossimo e prima o poi, speriamo, vedremo una cosa del genere anche in Europa».

Prevedere la risposta del pubblico è, ad oggi, impossibile. Allo stesso modo, è difficile sapere che sviluppi potrà avere lo sport tra robot: «Nessuno, due o tre anni fa, poteva immaginare l’utilizzo che facciamo oggi di ChatGpt e dell’Ia. Faccio un esempio: si pensava che l’Ia avrebbe sostituito l’essere umano nei lavori “classici” e invece oggi sostituisce molto più spesso un programmatore junior. È imprevedibile. Una cosa è certa: anche quando “prende il posto dell’umano”, l’Ia crea un nuovo lavoro. È un qualcosa che rientra nel processo chiamato “job shifting”. Nessuna paura: l’Ia non farà sparire l’umanità, così come la RoboCup non prenderà il posto dei Mondiali».

Ma un gol segnato nella RoboCup, forse, può essere più importante di uno segnato ai Mondiali.

© Riproduzione riservata