Due domande per cominciare: da dove vengono gli straordinari risultati delle ragazze e dei ragazzi che hanno issato l’atletica italiana in cima all’Europeo Under 20? Com’è stata costruita la strada della sequenza trionfale che nell’ultimo week end finlandese ci ha portato a chiudere in testa al medagliere con sei presenze d’oro, tre d’argento e cinque di bronzo?

Proviamo a rispondere partendo dai genitori di questo percorso. Come papà possiamo eleggere il periodo del Covid, quando l’atletica diventò una specie di rifugio per chi voleva continuare a praticare uno sport. Le discipline senza contatto e all’aria aperta rappresentarono un porto sicuro in mezzo ai divieti. Tanto per citarne una, la squadra di calcio di Matteo Togni, ostacolista lombardo oro a Tampere, chiuse i battenti e lui finì al Campo Coni di Bergamo a divertirsi sulle corsie.

La mamma, invece, è l’Olimpiade di Tokyo. «Questi ragazzi sono i figli di quel giorni, avevano undici o tredici anni quando gli azzurri trionfarono – è la dichiarazione del presidente federale Stefano Mei – All’indomani dei Giochi del 2021, avevo dichiarato che l’impresa delle cinque medaglie d’oro ci sarebbe servita a prepararci per l’edizione di Brisbane 2032 e in tanti si misero a ridere, ma in Italia abbiamo bisogno prima di ottenere i risultati e poi di fare proselitismo».

Già, Brisbane. L’Olimpiade in fondo più temuta perché è quella in cui l’Italia farà inevitabilmente i conti con il calo demografico e il restringersi della base di reclutamento. Eppure ora è difficile pensarci con gli occhi conquistati dalle volate di Kelly Doualla, la quindicenne che abita a Sant’Angelo Lodigiano e che sta mordendo il futuro con i suoi progressi pazzeschi. Dopo aver vinto la gara individuale, ha raddoppiato con la staffetta correndo in 10”30 in ultima frazione. Numeri da favola.

Tanto che bisogna affrettarsi a sottolineare che si tratta di una corsa lanciata e che questi “parziali” nella 4 x 100 sono sempre da prendere un po’ schiacciando il pedale del freno. Ora Kelly potrebbe arrivare persino ai Mondiali di Tokyo nella staffetta veloce azzurra (fuori discussione invece la prova individuale, non ha il minimo ed è lontana dalla qualificazione anche in base al ranking). Il dibattito è aperto.

il parere di Howe

Il fatto è che l’atletica ragazzina – ragazzina fino a un certo punto però, era un Europeo Under 20 – racconta una storia a parte. «Bisogna stare attenti – è il punto di vista di Andrew Howe, che di questo se ne intende, campione mondiale juniores dei 200 metri e del lungo a 19 anni nel 2004, poi un titolo europeo e un argento mondiale in pedana ma anche tanti infortuni e rimpianti nella sua storia – l’atletica vera è quella assoluta. Ma detto questo, la generazione azzurra che sta vincendo a livello giovanile ha qualcosa di speciale: dal punto di vista mentale sono cambiati, hanno meno paura, si buttano e poi tutti sono felici anche dei risultati degli altri. La squadra è coesa, ci si concentra giustamente su se stessi, ma poi si è capaci di fare gruppo. Diciamo la verità: non è stato sempre così».

Anche per Howe, i giorni di Tokyo sono stati determinanti. «I ragazzi hanno visto Jacobs e Tamberi e hanno detto “vogliamo fare come loro”. E questi esempi erano vicini. Anche io sognavo ma il mio sogno era più lontano, quando ero piccolo volevo essere Carl Lewis». Da allora, però, tutto è cambiato. «Tutto, davvero: il concetto di recupero, gli allenamenti, la fisioterapia, l’integrazione, l’avvento dell’intelligenza artificiale, le scarpe chiodate molto diverse dalle nostre. E i ragazzi oggi sono molto più consapevoli di queste possibilità. Poi c’è un’altra cosa: i tecnici italiani sono fra i più bravi al mondo. Più dei cinesi, più degli americani. Secondo me fra 7-8-10 anni cambieranno tante cose, avremo diversi italiani sotto i 10 secondi nei 100 e tornerà a essercene uno sotto i 20 nei 200».

Una terra promessa dove finora è arrivato soltanto Pietro Mennea. A proposito, il 12 settembre a Savona, Howe andrà ancora a caccia di record: ha compiuto da poco 40 anni, cercherà quelli Master sui 100 metri e nel suo salto in lungo.

A scuola

Eppure c’è qualcosa che non quadra del tutto. Se entri in una scuola di una grande città e fai un censimento delle discipline sportive più praticate fra gli studenti, l’atletica arranca. C’è il solito calcio, fra le ragazze le pallavolo, nel tennis ecco l’effetto Sinner, il nuoto fa sempre la sua figura, fra i più grandi nelle risposte ricorre un generico «faccio palestra» a scarsa, per non dire nulla intensità agonistica.

E allora? Il segreto del successo sta forse in una parola: decentramento. Nei primi anni del nuovo millennio, abbiamo sbattuto la testa sull’idea che la soluzione fosse una centralizzazione, il ritorno ai centri federali, la convinzione che per emergere si dovesse chiedere di lasciare casa e andarsene a Formia, come avevano fatto Mennea e la Simeoni, o da qualche altra parte. La gestione Mei, presidente dal gennaio 2021, ha sicuramente approfittato di una semina positiva negli sfortunati anni precedenti (anche se a livello giovanile i risultati sono stati spesso confortanti senza però arrivare al formidabile bilancio di oggi). Tonino Andreozzi, il vice c.t. per l’attività giovanile, è lì dal 2018 come d’altronde il c.t. Antonio La Torre, ma ha saputo fare una nuova sintesi, ricalibrando un efficace rapporto centro-periferia. Cambiando però il paradigma: non più la periferia che va al centro, ma il centro che va in periferia e prova a mettere a disposizione risorse, competenze, dialogo con i tecnici del territorio che molto difficilmente, anche per ragioni economiche, potrebbero frequentare raduni centralizzati. Il territorio viene monitorato, i modelli sono nuoto e pallavolo, con successo. Le quattordici medaglie vengono da tanti ambienti diversi e da tanti allenatori diversi. Certo c’è molto centro nord e poco sud, i piccoli centri suppliscono alle difficoltà delle grandi città.

Il nord e il sud

Prendiamo due esempi, in qualche modo estremi. Eleggiamo due capitali di questa campagna di Finlandia così riuscita. La prima è Solarino, provincia di Siracusa, ottomila abitanti e una pista sì ma di asfalto. Da qui sono arrivate due medaglie di bronzo della 4 x 400, quelle di Daniele Salemi e Simone Giliberto. «Visti i possibili danni ai tendini preferisco allenare sul campo di calcio in terra battuta all’interno. Solo una o due volte alla settimana li accompagno in pista a Siracusa», racconta Pasquale Aparo, il professore di educazione fisica-osteopata che è il tecnico simbolo di questo vivaio. «Ora i soldi per una pista vera ci sarebbero grazie al bando Sport e Periferie che prevede però un cofinanziamento da parte del comune che su questo non ha dato certezze. E sarebbe necessario intervenire anche sul campo di calcio, per evitare che il fango invada la pista in caso di pioggia».

Il gruppo di Solarino fino a un certa età (il confine fra le categorie cadetti e allievi) gareggia con la società locale, la Trinacria Sport, poi con Siracusatletica. Il cui presidente è Salvatore Dell’Aquila: «Siamo al trentatreesimo posto della classifica delle performance in Italia, ma i primi al sud. Però facciamo veramente sforzi enormi e grandi sacrifici, non c’è una progettualità per l’atletica nel meridione. Siamo isolani e isolati. Per fare atletica a un certo livello è necessario viaggiare: raduni e gare sono soprattutto al nord».

Già il nord. La Lombardia ha il primato delle medaglie di Tampere. E da Milano è partito quel Progetto Talento che non si ferma però a pista e pedane, ma guarda anche fuori. «L’obiettivo è quello di aiutare i ragazzi, i loro tecnici, le loro famiglie – spiega Michele Di Cesare che segue il programma della Fidal Lombardia  – Siamo partiti dalle borse di studio (750 o 1500 euro), ma oltre al beneficio economico nel pacchetto ci sono i test biomeccanici e una copertura assicurativa sanitaria. E nella nostra formazione aiutiamo i giovani a gestire la loro immagine, le loro relazioni, il rapporto con i social e con gli sponsor».

Sta per cominciare un’altra annata e il titolo è esplicito: “Ridurre il drop out”. Significa provare a combattere l’abbandono, tentazione a volte troppo grande per essere sconfitta di fronte a tante difficoltà logistiche, economiche, ambientali. «I corsi prevedono una formazione congiunta di atleti, tecnici, e quando possibile, di genitori e genitori».

Insomma, l’Italia minorenne che vince, somiglia a un mosaico fatto di pezzi anche molto diversi fra loro. È scontato che diventando grandi, le difficoltà si moltiplichino. Il raccolto record precedente dell’Italia risale al 2019, edizione di Boras, Svezia: le medaglie furono 11, gli ori cinque. A distanza di sei anni, non tutti i protagonisti di allora sono arrivati all’eccellenza, ma in quei giorni Lorenzo Patta, futuro campione olimpico della staffetta veloce a Tokyo, si scaldò con un argento nella stessa gara; un altro secondo posto, quello di Nadia Battocletti sui 5000, è diventato a Parigi un’estate fa addirittura olimpico sui 10000; quanto a Larissa Iapichino, allora d’oro, una vittoria negli Euroindoor di quest’inverno nel salto in lungo e tante speranze per il futuro, quel primo posto ha fatto strada. Una strada che i baby campioni di Tampere proveranno a ripercorrere.

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