«Il grande oceano dei podcast è in burrasca» chiosa Jonathan Zenti, audio designer di primo pelo, nell’ultimo episodio del suo Problemi: uno dei titoli di riferimento in Italia, un cult in cui l’autore e il suo doppio vivisezionano puntata dopo puntata il particolare e l’universale delle nostre vite.

Ed è vero che, dopo un 2022 generoso in termini di investimenti nel settore, persino Spotify (uno dei principali attori del mercato) avrebbe visto al ribasso le proprie mire espansionistiche – come sosteneva il Financial Times qualche settimana fa, parlando emblematicamente di “reality check” da parte dell’azienda. Così come nel comparto, dal punto di vista commerciale, le opportunità di monetizzazione paiono sempre più residuali.

L’invasione

Eppure, almeno in Italia i podcast sembrano materializzarsi quasi ovunque. Tanto che secondo i dati presentati dall’Osservatorio branded entertainment, gli ascoltatori nel nostro paese sarebbero circa 15 milioni, due in più di un anno fa, e che per l’Osservatorio digital content del Politecnico di Milano il 28 per cento degli utenti italiani li ascolterebbe con regolarità, arrivando a una media di circa 22 minuti al giorno.

Ovunque. Puoi cominciare a riconoscerli in tv, per esempio, dove l’estetica da scrivania e microfono professionale sta continuando a influenzare il set design di certi programmi – si vedano i nuovi format di interviste lanciati da Dazn, come Croquetas

Puoi trovarli nei piani strategici d’ogni tipo di editore, che si tratti dell’esperimento Terraverso di Libero, dei più contemporanei Will o Chora, di Sky o del branded content di una banca.

Puoi scontrartici nei teatri o nelle librerie, dove casi editoriali nati dal Post — come Indagini di Stefano Nazzi e Morning di Francesco Costa — riempiono sale e affollano ingressi di eventi dal vivo. O puoi notarli nei feed social delle stelle del digitale, a parlare di astrologia e gestione dell’ansia, di problemi relazionali e psicoterapia, come con Mille Pare di Alessia Lanza, di gran lunga la personalità dell’internet “Gen Z” più celebre del paese.

Sembrano dappertutto. Addirittura su TikTok, decine di adolescenti e presunti esperti di cose si scambiano commenti brandendo in mano microfoni giganti, all’interno di brevi estratti ricavati da podcast che probabilmente nessuno ha mai visto. O che forse, come racconta l’autore Pietro Minto adombrando una specie di teoria del complotto nella sua newsletter Link Molto Belli, in realtà magari non esistono davvero.

L’offerta

In sostanza, l’offerta in Italia non manca: è anche abbastanza varia e comincia a essere rilevante. Persino nel mondo del gossip, la presunta rottura all’interno di Muschio selvaggio tra Fedez e il co-conduttore e youTuber Luis Sal è riuscita a diventare notizia di cartello – tanto da attivare le grandi manovre di Fabrizio Corona, a sua volta mattatore in diversi altri podcast in cui ci regala aneddoti e segreti millenari per raggiungere fama e potere.

Mentre scrivo, per esempio, le classifiche ospitano tanto giallo attraverso le parole di Elisa True Crime, di Non aprite quella podcast di J Ax, di Demoni Urbani o dei racconti di Carlo Lucarelli.

Approfondimenti, con The Essential, Il mondo dell’Internazionale, Stories di Cecilia Sala o Il sottosopra di Selvaggia Lucarelli. Piccoli e geniali progetti di culto, come Camposanto di Giulia Depentor (dedicato a chi ama i cimiteri) o Doi - Denominazione d’origine inventata di Alberto Grandi e Daniele Soffiati (sulle bugie nelle storie dei prodotti tipici): un mondo di conoscenze verticali spinto sia dalla necessità di cercare strade diverse e argomenti nuovi, sia dai mille vantaggi dell’autoproduzione.

Interviste audio

Ma soprattutto interviste. Tantissime interviste, One More Time, Passa dal Bsmt, Brodo, Tintoria, un’interminabile parata di scambi di battute con ospiti spesso sorprendenti, ma in quantità talmente sproporzionata da rendere a volte il livello della ricerca e della scrittura persino troppo naïf, quando non addirittura sciatto — è il caso del noto podcaster che arriva a chiedere all’ospite se sia nato tramite parto cesareo o naturale.

O di quando, in un progetto a tema musica per un brand internazionale, uno dei conduttori ammette con orgoglio di non sapere che ogni primo maggio, in Italia, si tiene un grosso concerto.

Podcast per tutti, accessibili sia da fruitori sia da produttori. Il risultato è che nei circuiti creativo-editoriali dei grandi centri abitati, dove certe tendenze non rischiano di restare inascoltate, ha pian piano cominciato a farsi largo una certa convinzione: quella che se non parli in un podcast probabilmente non esisti.

La Fomo

Questa teoria, una specie di Fomo (la paura di perdersi qualcosa) artistico-culturale, ha tenuto a battesimo decine di velleitari esperimenti pieni di opinioni gratuite ed evidenti testate sui microfoni – li si può intercettare su Instagram e Twitter, per esempio – spinte dal modesto impegno economico richiesto per le registrazioni, e dall’idea che un pratico podcast possa rappresentare ciò che la più macchinosa pubblicazione di un libro ha simboleggiato per anni: l’accreditamento di uno status intellettuale.

Così nuovi progetti nascono e muoiono sui banconi dei bar storici o durante i brainstorming delle agenzie di comunicazione. Mentre nelle classifiche, in termini di ascolti e rilevanza, La Zanzara di Radio24 con Cruciani e Parenzo e le lezioni dello storico Alessandro Barbero continuano a scavare il solco e a confermarsi come i titoli più ascoltati. Senza che i loro autori abbiano mai davvero avuto l’ambizione di fare delle loro parole un podcast.

Multitasking

Vista dalla parte degli ascoltatori, comunque sia, il mezzo e la sua immensa offerta paiono in un certo senso capaci di aderire a un’esigenza iper-contemporanea: quella di permettere agli utenti di consumare un prodotto d'intrattenimento concedendogli la possibilità di poter fare contemporaneamente dell’altro, e di distrarsi senza eccessivi sensi di colpa – non a caso già da anni si parla della riduzione dell’attention span, e di finestre temporali di soli otto secondi in cui il fruitore finale sarebbe disposto a interessarsi davvero a quello che gli si sta dicendo prima di perdere la concentrazione.

Sempre secondo i dati dell’Osservatorio Branded Entertainment, infatti, il 77 per cento degli ascoltatori italiani contattati per la ricerca avrebbe ammesso di fare altro mentre li ascolta, che si tratti di faccende domestiche (49 per cento), viaggi (43 per cento) o sport (40 per cento). Che è forse il dato più rilevante da tenere a mente quando si ragiona sul lancio di un nuovo podcast, e probabilmente di un qualsiasi progetto che investa la comunicazione digitale.

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