Chi si ricorda di Parler? In seguito all’insurrezione di Capitol Hill del gennaio scorso, Amazon web services aveva deciso di non ospitare più il social network preferito dall’estrema destra sui suoi server, mentre Apple e Google l’avevano eliminato dai loro app store.

Parler impiegò più di un mese a riprendersi dal colpo e a tornare online: un tempo caratterizzato dalla causa intentata (e poi ritirata) contro Amazon – accusato di aver “cospirato” con Twitter per fare fuori un potenziale avversario –, dal licenziamento dell’ex Ceo John Matze e dalle trattative per trovare un nuovo provider (di cui non è stato divulgato il nome) disposto a ospitare questo pària dei social network sui suoi server.

Parler è poi tornato in superficie ed è da qualche mese nuovamente accettato dall’app store di Apple (non però da Google Play). Ma il fatto di essere stato cacciato da internet per la (comprensibile) contrarietà di pochi colossi, di aver corso il rischio di non tornare più online e di essersi visto pesantemente azzoppato proprio nel suo periodo di massima crescita è diventato un monito per tutte quelle realtà che, nascondendosi dietro la bandiera della libertà d’espressione, danno spesso e volentieri ospitalità a neonazisti, suprematisti bianchi, teorici del complotto, ecc.

Le disavventure di Parler sono state sicuramente seguite da vicino da parecchie altre piattaforme estremiste (come Rumble o MeWe), che si muovono ai margini della rete cercando di sottrarsi al controllo di big tech.

Da questo punto di vista, il caso scuola è però quello di Gab, che già nel luglio 2019 ha aggirato il rifiuto nei suoi confronti entrando a far parte della rete di Mastodon, una piattaforma decentralizzata e open source che ospita al suo interno migliaia di piccoli social network indipendenti ma collegati tra loro.

È un paradosso: Mastodon – la rete distribuita nata per offrire un rifugio dal “capitalismo della sorveglianza” di Facebook e Twitter – si trova oggi a ospitare uno dei più grandi luoghi di ritrovo digitali per neonazisti e cospirazionisti di tutto il mondo. Senza poterci fare nulla.

Costruire istanze

Lanciato nell’ottobre 2016 dal programmatore Eugen Rochko, Mastodon è un social network che a prima vista sembra una copia di Twitter. In verità, questa piattaforma senza pubblicità – e che lascia agli utenti la proprietà dei loro dati – si distingue nettamente dalle piattaforme tradizionali.

Nessuno infatti ha il controllo su Mastodon, dal momento che qualunque utente lo desideri può aprire una propria sezione indipendente (chiamate “istanze” e spesso, ma non necessariamente, dedicate a interessi precisi) e gestirla a piacimento.

Al momento ci sono circa 3.700 di queste istanze, ognuna delle quali ha completa libertà di varare le proprie linee guida per la moderazione e di decidere quali termini e condizioni implementare.

Tutte le istanze, però, possono comunicare tra loro, consentendo di seguire anche utenti che appartengono ad altre sezioni di Mastodon e di interagire con essi. Per esempio, gli utenti che fanno parte di una delle istanze più diffuse (la giapponese Pawoo.net, che può contare su quasi 700mila iscritti) possono seguire anche quelli di Mastodon.social, che conta invece poco meno di 600mila iscritti, o di tutte le altre.

Chi fermerà Gab?

Nel complesso, le varie istanze di Mastodon – che ha anche delle sezioni italiane – raggruppano circa 3 milioni di utenti e sono “federate” tra loro tramite l’utilizzo dello stesso protocollo di comunicazione. Il paragone più semplice è probabilmente quello con le email: il fatto di avere un account Gmail non impedisce di comunicare con chi invece ha un account Hotmail.

Allo stesso modo, chiunque utilizzi il protocollo open source di Mastodon ha la possibilità di entrare in contatto con tutte le altre istanze e i loro utenti, pur restando completamente indipendente.

Questa decentralizzazione ha però anche dei lati oscuri, come evidenziato proprio dal caso di Gab. Appena sbarcato sulla piattaforma, il social network dell’estrema destra è immediatamente diventata la più popolosa delle varie istanze di Mastodon, annoverando circa un milione di iscritti (di cui solo una piccola parte sarebbe però attiva): «Gab adesso è inarrestabile e non potrà più essere mandato offline nella sua interezza», aveva affermato al tempo un portavoce del social network parlando con Vice.

Puntare all’isolamento

In realtà, Gab potrebbe teoricamente essere comunque eliminato da internet se il provider che lo ospita sui suoi server decidesse di tirarsi indietro (come già avvenuto in passato). Che ciò avvenga è però molto difficile, visto che la piccola società in questione, Sybil System, sembra essere ideologicamente vicina al social network preferito dai suprematisti bianchi. Non solo: grazie a Mastodon, Gab ha aggirato l’ostracismo degli store di Apple e Google ed è raggiungibile tramite tutte le app dedicate a questa piattaforma decentralizzata.

I gestori di Mastodon, dal canto loro, hanno accusato Gab di essere una piattaforma che «con il pretesto della libertà d’opinione ospita contenuti razzisti e deumanizzanti», spiegando sul blog ufficiale di puntare a isolarla dal resto del network, convincendo tutte le istanze a impedire che Gab entri in comunicazione con loro e così escludendola dalla rete più ampia.

Il fediverso

FILE - This July 16, 2013 file photo shows a sign at Facebook headquarters in Menlo Park, Calif. Beginning Thursday, Aug. 13, 2020. A disinformation network with ties to China used hundreds of fake social media accounts — including one belonging to a fictitious Swiss biologist — to spread an unfounded claim that the U.S. pressured scientists to blame China for the coronavirus, Facebook said Wednesday, Dec. 1, 2021. (AP Photo/Ben Margot, File)

«Più di così non possiamo fare», ha spiegato Rochko a The Verge. «Poiché Mastodon è open source e decentralizzato, non ne ho il controllo. Chiunque può utilizzare il nostro codice per creare un’istanza: ciò offre un gran numero di vantaggi, ma anche qualche rovescio della medaglia». Rovesci che rischiano di diventare sempre più ingombranti, considerando che anche Truth Social, la piattaforma (ancora in fase beta) lanciata dal Trump Media & Technology Group (il braccio digitale dell’ex presidente degli Stati Uniti), non è altro che un’istanza di Mastodon.

Sono gli inevitabili punti deboli di un movimento che ha però il nobile obiettivo di creare un’internet alternativa a quella dominata dai colossi dei social media, che l’hanno recintata in una serie di “walled garden” tradendone l’originaria natura aperta. Mastodon è infatti a sua volta parte di un ecosistema ancora più ampio, chiamato in gergo “fediverso” (universo federato) e formato da una serie di piattaforme completamente diverse tra loro, ma tutte interoperabili.

Il protocollo

Alla base di queste piattaforme, c’è il protocollo comune ActivityPub: «È un linguaggio che ogni applicazione può implementare», ha scritto sul suo blog l’ingegnere software Jeremy Dormitzer. «Anche PeerTube, un clone di YouTube, utilizza per esempio ActivityPub. Dal momento che sfrutta lo stesso linguaggio, un utente di Mastodon può seguire uno di PeerTube e vedrà comparire i nuovi video postati direttamente sul suo feed di Mastodon, da dove potrà anche aggiungere commenti ai video. Ogni applicazione che implementa ActivityPub diventa parte di un enorme network, abbattendo i walled garden».

A utilizzare questo protocollo sono anche software come FunkWhale (streaming musicale), Nextcloud (archiviazione online di file), Plume (piattaforma di blog), Mobilizon (organizzazione eventi) e parecchi altri. Tutti assieme, questi servizi aperti e tra loro comunicanti fanno parte del “fediverso”: un universo federato di piattaforme online che hanno l’obiettivo di dare vita a una nuova versione di internet, capace di recuperare lo spirito delle origini e dalle enormi potenzialità (anche economiche, quando al suo interno verranno incorporate le criptovalute).

Avrà successo? Per il momento, tutti questi servizi sono utilizzati solo da una nicchia di appassionati che non supera i 5 milioni di utenti complessivi: il fediverso non sta certo creando grattacapi ai colossi della Silicon Valley. Inoltre, come abbiamo visto, la sua natura aperta può essere sfruttata proprio da chi è stato scacciato per valide ragioni dalla rete “istituzionale”. Il potenziale collettivo è però enorme: secondo i suoi sostenitori, questo universo di servizi online connessi tra di loro potrebbe un domani essere il fondamento della prossima incarnazione del web.

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