È entrata in Facebook nel 2008 con l’obiettivo di aiutare una società in fasce, e dalla strategia ancora poco chiara, a crescere e a individuare un modello di business vincente. Da questo punto di vista, la missione della 52enne Sheryl Sandberg, che ha da poco annunciato l’addio a Facebook (oggi Meta), è sicuramente compiuta: al suo arrivo, il social network fondato nel 2004 generava ricavi inferiori a 200 milioni di dollari l’anno; nel 2021 questa cifra ha raggiunto quota 117 miliardi di fatturato (e 46 miliardi di profitti).

I numeri non bastano però a spiegare l’enorme importantanza che per 14 anni Sheryl Sandberg ha avuto all’interno di Meta: braccio destro fidatissimo di Mark Zuckerberg, nel suo ruolo di “chief operating officer” non era solo responsabile operativa della fondamentale attività pubblicitaria (che genera pressoché tutti gli introiti della società), ma anche il punto di riferimento nei più gravi momenti di crisi e in ogni occasione in cui c’era da duellare – privatamente o pubblicamente – con la politica, gli inserzionisti e la stampa.

Dotata di un patrimonio stimato in 1,6 miliardi di dollari, Sheryl Sandberg è senza dubbio la più nota e rispettata delle (poche) donne ai vertici del mondo tecnologico, al punto che nel corso degli anni il suo nome è circolato come possibile ministro del Tesoro statunitense e addirittura come candidata presidenziale nel 2020. La politica, d’altra parte, è inevitabilmente entrata nella sua sfera da quando, nel 2013, ha scritto il manifesto aziendal-femminista Lean In, capace di vendere oltre 4 milioni di copie e dal quale è gemmata una no profit omonima di cui oggi fanno parte circa 50mila donne.

Al centro degli scandali

È proprio la sua attività filantropica – assieme alla famiglia – ciò di cui ha dichiarato di volersi occupare da oggi in avanti, respingendo le ipotesi di un suo ingresso in politica. Quel che è certo è che il vuoto da lei lasciato all’interno di Meta sarà molto difficile da colmare. E questo nonostante la sua stella negli ultimi anni avesse iniziato ad affievolirsi, sia all’interno sia all’esterno dell’azienda. Per certi versi, si potrebbe infatti sostenere che Sandberg, anche per il suo importante ruolo pubblico, fosse in parte diventata il capro espiatorio degli innumerevoli scandali che hanno travolto la piattaforma.

Da Cambridge Analytica alla disinformazione diffusa su Facebook durante le elezioni statunitensi del 2016 (o la Brexit); dall’utilizzo del social network per scatenare le violenze contro la minoranza dei rohingya in Myanmar, fino all’assalto al Campidoglio incitato tramite social network da Donald Trump: gli ultimi anni di Meta sono stati all’insegna delle continue polemiche e dello scrutinio sempre più attento da parte della politica (che attraverso l’antitrust sta da tempo valutando la possibilità di smembrare l’azienda).

Inevitabilmente, tutto ciò si è ripercosso su Sheryl Sandberg: secondo un articolo del 2018 del Wall Street Journal, lo stesso Mark Zuckerberg “ha incolpato lei e il suo team per le ricadute pubbliche legate allo scandalo Cambridge Analytica”, arrivando addirittura a farle temere che il suo posto potesse essere a rischio. Nel 2020, invece, sempre il WSJ aveva raccontato del “cambio negli equilibri di potere tra le due figure di vertice di Facebook, considerate per lungo tempo quasi paritarie”.

Zuckerberg e lei

L’immagine di Sandberg è stata però offuscata anche nella sua attività da femminista, danneggiata dal fatto che Facebook sia stato spesso accusato di essere uno strumento di diffusione della misoginia, del razzismo e della disinformazione: «Sheryl Sandberg può anche raccontare di essere una femminista, ma le sue decisioni all’interno di Meta hanno reso le piattaforme di social media meno sicure per le donne, le persone di colore e per il sistema elettorale statunitens»”, ha per esempio dichiarato Shaunna Thomas, leader del gruppo per i diritti delle donne UltraViolet.

Tutto ciò non significa che negli ultimi anni Sandberg non abbia giocato un ruolo di primissimo piano all’interno di Meta. A differenza del passato, però, è stato Mark Zuckerberg a farsi sempre più spesso carico degli aspetti pubblici. Una scelta per certi versi inevitabile, considerando quante volte il Congresso americano abbia chiesto direttamente a fondatori e Ceo delle principali aziende digitali statunitensi (e a nessuna più di Facebook) di comparire in innumerevoli audizioni.

Il fondatore e l’ex braccio destro, in ogni caso, si sono separati con parole di grande affetto (pubblicate ovviamente tramite post su Facebook): «Mi mancherà guidare questa società con Sheryl, ma sono contento che continuerà a far parte del cda, consentendoci di poter ancora beneficiare della sua saggezza ed esperienza», ha scritto per esempio Mark Zuckerberg; mentre Sandberg, da parte sua, ha sottolineato come «nei momenti più critici della mia vita non abbia mai dovuto cercare Mark, perché era già di fianco a me».

Nel momento peggiore

Resta il fatto che la ex Coo di Meta non poteva scegliere un momento peggiore per lasciare l’azienda in cui ha trascorso quasi un decennio e mezzo. Anche in seguito alle restrizioni imposte da Apple nei confronti delle app presenti su iPhone (che impediscono di tracciare l’utilizzo di altre applicazioni da parte degli utenti, limitando la capacità di dimostrare l’efficacia delle sue inserzioni), il fatturato della società è cresciuto soltanto del 7 per cento nell’ultimo trimestre (rispetto al 20 per cento di quello precedente) e si prevede che nel prossimo crescerà dell’1,5 per cento.

Non solo: negli ultimi sei mesi, il valore delle azioni è sceso di un impressionante 40 per cento, mentre la concorrenza di TikTok si è fatta sempre più forte e la scommessa del metaverso (il mondo digitale e immersivo in cui trascorrere una parte delle nostre esistenze, principalmente attraverso la realtà virtuale) su cui Zuckerberg ha deciso di puntare tutto non è soltanto di lunghissimo termine, ma anche carica di incognite.

Il successore

Javier Olivan con Mark Zuckerberg (AP Photo/Dario Lopez-Mills)

Buona parte di queste sfide saranno adesso responsabilità del neo-nominato COO: lo spagnolo Javier Olivan. 44 anni, è anche lui un dipendente di vecchia data di Facebook, a cui si è unito nel 2007 per supervisionarne la crescita internazionale. Nel tempo, è diventato il responsabile del potentissimo team di Facebook che si è occupato di aumentare il più possibile l’adozione del social network, facendolo passare dai 40 milioni di utenti del 2007 ai 2,9 miliardi di oggi (perseguendo a questo scopo anche strategie molto aggressive).

Prima della nomina a COO, il suo più recente titolo era di chief growth officer, con l’incarico di supervisionare la gestione e l’adozione di tutte le applicazioni della famiglia Meta: Facebook, Instagram, Messenger e WhatsApp (che nel complesso contano qualcosa come 3,6 miliardi di utenti). Il suo ruolo sarà però molto diverso da quello di Sheryl Sandberg: «Sarà un ruolo da chief operating officer più tradizionale, in cui Olivan si concentrerà su questioni interne e operative», ha spiegato proprio Zuckerberg, che ha ripreso sotto il suo diretto controllo alcune delle mansioni di cui invece rispondeva Sandberg.

Un cambiamento poco sorprendente – vista l’eccezionalità del rapporto tra Zuckerberg e la sua ex responsabile operativa – che è stato confermato dallo stesso Sullivan: «Con qualche eccezione, il mio ruolo non avrà lo stesso aspetto pubblico, visto che ci sono altri leader all’interno di Meta che si occupano già di questo tipo di lavoro».

Per Meta si apre una nuova fase, durante la quale dovrà affrontare la concorrenza di TikTok, il declino del marchio Facebook (e in parte anche Instagram), la sfida del metaverso e l’ostilità della politica senza poter contare sulla persona che, per quasi 15 anni, ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale. Adesso, ricade tutto sulle spalle di Mark Zuckerberg.

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