L’aggiornamento dei fondi del Pnrr destinati alle Cer hanno nascosto una riduzione drastica dei finanziamenti. Secondo il ministro era necessaria «per evitare di perderli» e ha promesso «ulteriori risorse». Rischiano di saltare le prospettive del settore, che denuncia: «Mancano misure strutturali»
Il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha annunciato, venerdì 21 novembre, di essere riuscito a mettere in sicurezza la dotazione finanziaria prevista dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per le Comunità energetiche rinnovabili (Cer), destinando 795,5 milioni di euro.
Gestori e attori della filiera hanno però denunciato che dietro all’aggiornamento si nasconde un drastico taglio: meno 64 per cento rispetto alla dotazione iniziale di 2,2 miliardi, secondo la società di consulenza Punto Cer. In una nota, il ministero ha successivamente ribadito che si impegnerà per garantire le risorse necessarie a tutti i progetti presentati, anche al di là del Pnrr.
Le comunità energetiche
Le Cer sono gruppi di cittadini, piccole e medie imprese o autorità pubbliche che decidono di unirsi e condividere l’elettricità rinnovabile prodotta dai membri della comunità. I consumatori diventano anche produttori e possono immettere energia nella rete, che a sua volta viene usata dagli altri membri. In Italia si è iniziato a parlarne diffusamente attorno al 2021, ma il decreto attuativo che ne regolamenta l’incentivazione ha visto la luce solo all’inizio del 2024.
Per il loro sviluppo il Pnrr aveva previsto una dotazione di 2,2 miliardi di euro con l’obiettivo di fornire sostegno inizialmente soprattutto ai comuni con meno di 5mila abitanti per consentire l’installazione di impianti rinnovabili per una capacità elettrica aggiuntiva di almeno 1.730 MW. Entro il 30 novembre i membri delle Cer possono presentare domanda per accedere a un finanziamento a fondo perduto che coprirà fino a un massimo del 40 per cento delle spese sostenute. Dovranno poi installare l’impianto entro la fine di giugno dell’anno prossimo.
Ma – secondo alcuni operatori – la comunicazione del ministero cambia le risorse disponibili in corsa e rischia di far saltare le prospettive del settore. «Per me è stata una doccia fredda», dice Giovanni Montagnani, presidente della Cer piemontese Vergante Rinnovabile. La sua Comunità raccoglie una cinquantina di produttori e reinveste tutto l’utile sociale in nuovi impianti per famiglie e realtà in difficoltà. Con il cambio dei fondi, «per un quarto degli impianti c’è il rischio di non essere finanziati».
Rimodulazione dei fondi
La comunicazione del ministero è arrivata a seguito della sesta e ultima revisione del Pnrr, portata a termine dal governo in modo da ottimizzare la spesa dei fondi europei. Se non spese entro il 2026, le risorse dovranno essere infatti restituite all’Ue.
Il ministero parla di «esiti positivi» e di «messa in sicurezza» delle misure relative agli investimenti in impianti di produzione di biometano, agri-voltaici e di comunità energetiche rinnovabili. Nel comunicato, si specifica che i progetti non ancora esaminati potranno ricevere i finanziamenti fino alla fine dei fondi. A risorse esaurite, gli ammessi entreranno in una graduatoria in caso di finanziamenti futuri.
Il problema è che le risorse sono verosimilmente già prossime a esaurirsi. Secondo il gestore dei servizi energetici (Gse), al 25 novembre 2025 erano arrivate richieste per oltre un miliardo per una potenza degli impianti pari a quasi 2.300 MW. Tanto che, pochi giorni prima, il presidente del Gse Paolo Arrigoni celebrava su Linkedin il raggiungimento dell’obiettivo di investimenti per oltre 1,7 GW di potenza installata.
Per rassicurare gli animi, il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha inviato martedì un messaggio alla quinta conferenza nazionale delle Comunità energetiche. «La rimodulazione dei fondi si è resa necessaria in una certa fase per evitare di perdere i finanziamenti», scrive Pichetto Fratin, «ma abbiamo mantenuto un plafond di 800 milioni e per il futuro intendiamo continuare a valorizzare le comunità energetiche quale strumento innovativo irrinunciabile […] anche con ulteriori risorse».
In una nota ufficiale, il ministero ha fatto poi sapere che la rimodulazione della dotazione è stata decisa per non perdere «un solo euro di fondi europei». Inoltre, specifica che la dotazione di 2,2 miliardi di euro era stata ipotizzata quando la misura prevedeva «un sostegno interamente erogato sotto forma di prestiti a tasso zero fino al 100 per cento dei costi ammissibili».
Modalità successivamente cambiata in sede europea in un contributo a fondo perduto fino al 40 per cento. «A parità di obiettivi sulle Cer, il fabbisogno reale di risorse Pnrr risultava quindi molto inferiore». La riduzione ha soprattutto consentito di «riassegnare risorse in eccesso ad altri interventi oggi più bisognosi». Infine, il ministero ha ribadito che «si farà parte attiva nel ricercare ulteriori risorse alle Cer, in caso di fabbisogno, sia attraverso l’eventuale rifinanziamento della misura, sia tramite il ricorso ad altri piani di investimento nazionali o europei».
Incertezze
Le incertezze negli operatori però permangono. «Quando nel 2024 è stato pubblicato il Decreto Cacer, centinaia di aziende in tutta Italia hanno pianificato il futuro basandosi su un quadro di incentivi che sembrava solido», dice a Antonio Meotto Pompilio, amministratore unico di Punto Cer, società benefit che offre consulenza sulla creazione di Comunità energetiche ed efficientamento.
Nonostante ammetta che le domande erano inizialmente partite con un ritmo abbastanza blando, Meotto Pompilio sostiene che negli ultimi giorni avessero aumentato l’andatura. «Siamo passati dal fare un megawatt al mese a farne addirittura 8», dice. «Ora le aziende si trovano di fronte a una scelta drammatica: mantenere i propri team sperando in “eventuali integrazioni finanziarie future”, ridimensionare l’organico o puntare verso altri settori, buttando via anni di specializzazione».
Montagnani è ancora meno diplomatico. «Io ho una pratica che è ferma dal 23 luglio, di cui non si sa assolutamente niente», dice, «ci mettevano mesi a valutare le pratiche quando c’erano mille al mese, e in questi giorni ce ne saranno mille al giorno».
Meotto Pompilio lamenta soprattutto la mancanza di misure strutturali. «Con le voci di corridoio non si programma un’azienda», conclude, «ogni volta che esce fuori una misura del governo, non si dà mai il tempo per strutturare l’organizzazione delle aziende».
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