Un report stima che ondate di calore, siccità, alluvioni siano costate 43 miliardi di euro, solo per i danni a breve termine. Nel 2024 ci eravamo “fermati” a 31 miliardi
È l’estate più costosa di sempre, quella del 2025. E non si parla delle nostre vacanze, dell’inflazione, del costo degli alberghi. Per l’Europa quella appena passata è stata l’estate più costosa di sempre in termini di impatti della crisi climatica. Sono le ondate di calore, la siccità, le alluvioni a costare tantissimo.
Lo racconta uno studio dell’Università di Mannheim intitolato Dry-roasted NUTS: early estimates of the regional impact of 2025 extreme weather e guidato da Sehrish Usman, ricercatrice della cattedra di Corporate Governance assieme a due economisti della Banca Centrale Europea: non esattamente esponenti di Ong ambientaliste. Eppure i dati sono severi, eloquenti.
Danni visibili e invisibili
Secondo questo studio, fra giugno e agosto il riscaldamento globale ci è costato 43 miliardi di euro in termini di impatto a breve termine, mentre nel 2024 ci eravamo “fermati” a 31 miliardi e si stima che nel 2029 le perdite ammonteranno a 126 miliardi, lo 0,74 del valore aggiunto lordo (Gvs) dell’Ue.
Nonostante i numeri siano già enormi, i ricercatori avvertono che si tratta di stime al ribasso. Mancano all’appello gli impatti cosiddetti “composti” – come siccità e ondate di calore che si manifestano insieme, amplificandosi a vicenda – ma anche fenomeni altrettanto devastanti come gli incendi estivi di luglio e agosto, le grandinate violente e i venti estremi.
Soprattutto, parliamo di 43 miliardi di danni immediati, ossia il costo degli edifici danneggiati, delle strade dissestate, degli argini rotti, dei raccolti persi. Questi dati vengono spesso etichettati come “perdite economiche totali” e sono quelle conteggiate dalle grandi compagnie di assicurazioni, ma è una definizione fuorviante.
Poi ci sono i danni “invisibili”, le ricadute a lungo termine sull’economia, e quelli si calcoleranno col tempo. Cosa rimane fuori dai conteggi? Tutto il resto.
La produttività persa nei cantieri fermi per il caldo, le fabbriche chiuse, le merci che non arrivano, i costi sanitari, l’inflazione climatica e i soldi pubblici da spendere per adattarsi. Anche il crollo dell’ospitalità turistica nei giorni di allerta rossa (e infatti quest’estate hanno tutti prenotato vacanze in montagna, al mare faceva troppo caldo). E poi le conseguenze indirette che attraversano il commercio europeo, le catene del valore, l’equilibrio stesso delle economie locali.
Non ci sorprenderà scoprire che i paesi più colpiti sono quelli che si affacciano sul Mediterraneo, in particolare Spagna, Francia meridionale e Italia, ognuna con 30 miliardi di euro di perdite di medio termine da affrontare. Se pensiamo che l’intera spesa sanitaria in un anno in Italia è di circa 130 miliardi ci facciamo un’idea di quanto potrebbero essere spesi meglio quei 30 miliardi.
Una tassa occulta
Questi numeri raccontano qualcosa di importante: il cambiamento climatico non è solo una crisi ambientale. È una tassa occulta sull’economia reale, pesa sulle tasche dei cittadini e soprattutto su bilancio dello stato. Sono risorse che togliamo al welfare pubblico, e che allo stesso tempo colpiscono duramente la vita e il lavoro di chi ne subisce in prima persona i danni. Sono piccole aziende agricole che chiudono perché non ce la fanno a riprendersi dopo l’ennesima alluvione, giornate di lavoro perse o lavoratori costretti a lavorare a temperature troppo alte e pericolose per la salute.
Secondo lo studio, nell’estate del 2025 sono state ben 96 le regioni europee che hanno subito ondate di calore, 195 hanno dovuto affrontare la siccità, 53 sono state colpite da inondazioni. Non si tratta solo di fenomeni meteorologici, ma di fattori strutturali che minano la capacità produttiva dei territori.
I danni sono diversi, ma concatenati. La siccità colpisce l’agricoltura con raccolti tagliati, suoli impoveriti, e interi distretti rurali messi in crisi. Le alluvioni spazzano via infrastrutture, bloccano trasporti, interrompono filiere. Tutti questi eventi non si esauriscono in un giorno o in una stagione. Restano, si incrostano nei bilanci pubblici e privati, aumentano le disuguaglianze territoriali. La mappa del rischio climatico è anche una mappa della fragilità economica futura.
Come osservato da Sehrish Usman, «avere stime tempestive dell'impatto aiuta i policymaker a indirizzare il sostegno e le strategie di adattamento mentre gli effetti degli eventi estremi si stanno ancora manifestando».
Prevenire e attutire danni futuri con piani di adattamento è costoso, ma molto più costoso sarebbe non farlo: se il costo dell’estate 2025 ci sembra alto, nel giro di qualche anno potrebbe quasi triplicare. E intanto, il più rapidamente possibile, c’è da ridurre le emissioni perché tutto quello che non spendiamo oggi in transizione lo pagheremo domani e anzi: lo stiamo già pagando.
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