Lo sfruttamento industriale dei fondali oceanici è già iniziato, seppur in forma sperimentale, e i primi dati mostrano impatti immediati: dopo il passaggio di un veicolo per l’estrazione mineraria nella Clarion-Clipperton Zone tra Hawaii e Messico, l’abbondanza di animali che vivono nei sedimenti dei fondali è diminuita del 37% e la ricchezza di specie del 32%. Ma la politica continua a seguire solo le logiche di interesse industriale
Lo sfruttamento industriale dei fondali oceanici sta entrando in una fase decisiva, ma le prime evidenze scientifiche mostrano che l’estrazione mineraria negli abissi (deep sea mining) ha impatti significativi e immediati sugli ecosistemi. Uno studio appena pubblicato su Nature Ecology & Evolution ha documentato per la prima volta gli effetti di un test di prelievo di minerali su larga scala sulla biodiversità dei fondali nella zona Clarion-Clipperton, nell’Oceano Pacifico.
L’area, situata tra Hawaii e Messico, è una delle regioni più ricche al mondo di noduli polimetallici: concrezioni minerali delle dimensioni di una patata, formatesi nel corso di milioni di anni e contenenti metalli considerati strategici per la transizione energetica e digitale, oltre che per applicazioni militari.
I noduli non sono solo una risorsa mineraria, ma costituiscono anche un habitat fondamentale: numerose specie – spugne, coralli molli, crostacei e microrganismi – vivono attaccate alla loro superficie o dipendono dalla loro presenza. La rimozione o la frammentazione dei noduli potrebbe quindi mettere seriamente a rischio la biodiversità degli ecosistemi abissali.
Un impatto strutturale
Lo studio ha cercato di quantificare proprio questi effetti, valutando l’impatto di un test industriale condotto nell’ottobre 2022 a circa 4.300 metri di profondità. Un veicolo per le estrazioni ha rimosso oltre 3.000 tonnellate di noduli lungo circa 80 chilometri di fondale, una frazione minima rispetto agli 1,5 milioni di tonnellate che la società canadese Metals Company prevede di estrarre nel solo primo anno di attività commerciale nell’area.
I ricercatori hanno confrontato i dati raccolti nei due anni precedenti al test con quelli dei due mesi successivi all’estrazione, distinguendo gli effetti diretti dell’attività mineraria dalla variabilità naturale degli ecosistemi abissali. I risultati mostrano un impatto netto nelle aree attraversate dal veicolo: la densità della fauna sedimentaria – vermi, piccoli crostacei e molluschi che vivono nei primi centimetri del fondale – è diminuita del 37 per cento, mentre la ricchezza di specie si è ridotta del 32 per cento.
Lo studio ha inoltre rilevato che circa il 74 per cento degli organismi vive nei primi due centimetri di sedimento, la porzione direttamente rimossa o rimaneggiata durante l’estrazione. L’impatto è dunque strutturale: la rimozione dei noduli distrugge fisicamente l’habitat e altera in modo significativo la composizione delle comunità biologiche.
Nelle aree non direttamente interessate dall’attività estrattiva, ma impattate solo dalla deposizione dei sedimenti sollevati – a circa 400 metri dalle operazioni – non è stato osservato un calo significativo dell’abbondanza di specie, ma sono emerse alterazioni nei rapporti di dominanza: alcune specie diventano più comuni di altre. Un cambiamento che suggerisce effetti più sottili, ma potenzialmente duraturi.
Tra precauzione e realpolitik
La ricerca è stata finanziata dalla stessa Metals Company, che ha investito circa 250 milioni di dollari negli studi necessari alle future valutazioni di impatto ambientale, garantendo a ricercatori e ricercatrici l’indipendenza nell’analisi e nella pubblicazione dei risultati. «L’azienda può vedere e utilizzare i risultati, ma non ha alcuna voce in capitolo su ciò che pubblichiamo», ha dichiarato Adrian Glover, biologo marino del Natural History Museum di Londra e primo autore dello studio.
Inoltre, secondo gli autori, la valutazione degli impatti delle estrazioni sulla perdita di biodiversità è complicata dal fatto che almeno il 90 per cento delle specie identificate nella zona è ancora formalmente sconosciuto e molte potrebbero scomparire prima ancora di essere descritte. I dati indicano anche che la variabilità naturale degli ecosistemi abissali è elevata e influenzata da fattori climatici, come le oscillazioni di El Niño, rendendo indispensabili serie temporali lunghe per distinguere con affidabilità gli impatti antropici.
I risultati dello studio rafforzano dunque la necessità di un approccio basato sul principio di precauzione, ma l’industria spinge per passare rapidamente dalla fase sperimentale a quella commerciale e la politica tende ad assecondarne gli interessi. Negli Stati Uniti, il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per accelerare il rilascio di permessi minerari anche in acque internazionali.
In Norvegia, dopo l’approvazione parlamentare dell’avvio del deep sea mining nell’Artico, il governo ha annunciato la sospensione delle licenze per il 2025, ma il premier Jonas Gahr Støre ha già chiarito che si tratta solo di un rinvio.
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