Francesco Rende, direttore tecnico della mappatura high-tech più ambiziosa dell’istituto, spiega perché capire lo stato degli habitat marini, e in particolare della pianta endemica del Mediterraneo che ospita il 20% della biodiversità del mare nostrum, sia fondamentale per prepararci agli impatti dei cambiamenti climatici: «La sua funzione di serbatoio di CO2 è essenziale per il futuro delle prossime generazioni. Ma la sua erosione è tale che in alcune aree è come guardare un formaggio pieno di buchi»
Il passato remoto della Terra e la tecnologia più futuristica s’incontrano oggi sullo schermo del computer di Francesco Rende, esperto di scienze ambientali marine dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). Rende è uno dei massimi specialisti italiani di Posidonia oceanica, una pianta endemica del Mediterraneo le cui praterie ospitano circa il 20% della biodiversità del mare nostrum, proteggono le coste dall’erosione e assorbono anidride carbonica su una scala paragonabile a quella delle foreste terrestri.
«Guarda: qui puoi vedere in diretta un aereo che sorvola la Liguria e una nave in Sicilia. Utilizzano sensori di diverso tipo che, insieme ad altri strumenti, permetteranno di ottenere l’immagine più accurata possibile della costa fino a 50 metri di profondità», spiega Rende indicando la mappa dell’Italia sul monitor, dove diversi veicoli si muovono mentre parliamo.
Serbatoio di CO2
Tecnologie potentissime, impiegate per comprendere meglio lo stato di salute di una pianta – non un’alga – che esisteva già all’epoca dei dinosauri, 120-110 milioni di anni fa, e che oggi è considerata uno degli organismi viventi più longevi del pianeta. Una pianta cruciale nella lotta ai cambiamenti climatici. «Ha talmente tante qualità che è difficile sottrarsi al suo fascino. Ma soprattutto la sua funzione di serbatoio di anidride carbonica è essenziale per il futuro delle prossime generazioni: per questo occorre lavorare per preservarla. E non si può proteggere ciò che non si conosce. Il nostro lavoro è così importante proprio per questo», sottolinea Rende.
Le immagini che Rende mostra fanno parte della prima mappatura nazionale ad alta risoluzione degli habitat marini costieri italiani, avviata da Ispra nel 2024. L’iniziativa rientra nel progetto PNRR Marine ecosystem restoration (MER), un piano ambizioso dedicato alla conoscenza e alla tutela del mare, finanziato con 400 milioni di euro dai fondi Next Generation Eu attraverso il ministero dell’Ambiente per il periodo 2022-2026.
Il progetto contribuisce anche agli obiettivi del 30x30, l’impegno globale – sancito alla Cop15 sulla biodiversità nel 2022 – a proteggere il 30% delle aree costiere del pianeta entro il 2030. In Italia, secondo dati Ispra 2023, le aree marine protette formalmente tutelate coprono circa l’11,62% delle acque territoriali.
Gli obiettivi della mappatura
All’interno del MER, quasi 40 milioni di euro sono destinati specificamente alla mappatura degli habitat costieri italiani, tra cui la Posidonia oceanica, che rappresenta l’ecosistema di riferimento, e di cui Rende è direttore tecnico del progetto. Attraverso sensori satellitari ad altissima risoluzione, una flotta di navi e aerei con tecnologia LiDAR topografica e batimetrica, sistemi Multibeam basati sulla propagazione acustica per la ricostruzione 3D dei fondali e robot sottomarini autonomi dotati di videocamere ad altissima definizione, i 7.900 km di costa italiana saranno trasformati in una mappa tridimensionale di dettaglio mai raggiunto a livello nazionale (finora realizzata solo in Florida).
Otto istituti di ricerca, tra cui l’università La Sapienza e l’università di Genova, collaborano con Ispra per validare i dati, che non riguardano soltanto la posidonia. «È un intervento di conoscenza della fascia costiera mai realizzato prima. Avere un’ecografia precisa della morfologia costiera consente di comprendere meglio i rischi per infrastrutture e popolazioni legati all’innalzamento del livello del mare, che sta procedendo a un ritmo molto più rapido rispetto alle previsioni di qualche anno fa. Sono informazioni fondamentali per diversi ambiti scientifici e istituzionali, per prepararsi agli impatti dei cambiamenti climatici e per una corretta gestione delle nostre aree costiere».
Però capire lo stato di salute della posidonia è essenziale perché, tra le altre cose, protegge le coste dall’erosione. Per questo è al centro del progetto che, secondo Rende, «fornirà per la prima volta un’immagine completa, aggiornata e scientificamente precisa dell’habitat della posidonia, indispensabile per orientare politiche di tutela e programmi di restauro nei prossimi anni».
Perché la posidonia è in declino
Nonostante sia un habitat protetto dalla direttiva europea 92/43/CEE, la posidonia subisce continue agressioni. Il suo declino in tutto il Mediterraneo è ben documentato, oggi dovuto soprattutto all’aumento degli ancoraggi abusivi delle imbarcazioni da diporto – cresciuti parallelamente al turismo – oltre che ad altre pressioni antropiche come l’inquinamento o la pesca a strascico, vietata ma ancora praticata.
A giugno, un rapporto del Wwf ha denunciato che nel solo 2024 si sarebbero persi almeno 50.000 ettari di praterie di posidonia nel Mediterraneo a causa degli ancoraggi, soprattutto delle barche oltre i 24 metri, per le quali in Italia mancano zone di interdizione. In Francia, ad esempio, non possono avvicinarsi a meno di 300 metri dalle coste. L’Italia risulta il paese con la maggiore perdita stimata nello studio del Wwf. È anche quello dove mancano piú leggi specifiche per proteggerla rispetto alla Spagna o la Francia.
Ispra non ha ancora reso pubblici i dati acquisiti, poiché la mappatura sarà in corso fino a giugno - ma Rende conferma che in aree come Sardegna e Sicilia le “ferite” lasciate dagli ancoraggi nelle zone più trafficate sono perfettamente visibili: «È come guardare un formaggio Gruyère, pieno di buchi». E recuperarla è impegnativo: cresce di appena un 1 cm l’anno, per questo proteggerla é urgente.
Quest’intervista è parte di un progetto d’investigazione piú ampio sull’impatto del turismo nella posidonia fatto con il sostegno del JournalismFund Europe e al quale hanno partecipato anche Alban Leduc e Ana Lopez.
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