La spaventosa eruzione del vulcano Hunga Tonga-Hunga Ha’apai avvenuta lo scorso gennaio a Tonga, nell’oceano Pacifico meridionale, si può paragonare ad un evento simile al passaggio di un asteroide di grandi dimensioni che ha sfiorato la Terra. 

L’eruzione infatti, è stata la più imponente da quando il monte Pinatubo, nelle Filippine, esplose nel 1991 ed è la più grande esplosione mai registrata da strumenti, ancora più violenta rispetto alle più violente bombe atomiche.

Il disastro di Tonga

This satellite image taken by Himawari-8, a Japanese weather satellite, and released by the agency, shows an undersea volcano eruption at the Pacific nation of Tonga Saturday, Jan. 15, 2022. An undersea volcano erupted in spectacular fashion near the Pacific nation of Tonga on Saturday, sending large waves crashing across the shore and people rushing to higher ground. (Japan Meteorology Agency via AP)

La cenere è caduta a distanza di centinaia di chilometri, ha colpito, distruggendole, centinaia di infrastrutture, ha messo in ginocchio grandi aree agricole e ha alterato gli equilibri marini attorno al vulcano. I danni che ha causato l’eruzione sono stati paragonati al 18,5 per cento del prodotto interno lordo di Tonga. Le colate e le frane sottomarine hanno tagliato i cavi sottomarini, interrompendo per diversi giorni le comunicazioni di Tonga con il mondo esterno. L’esplosione ha creato un’onda d’urto e uno tsunami che si sono percepiti in quasi tutto il mondo, dalle coste giapponesi fino a quelle nord e sudamericane. 

Per fortuna, l’eruzione è durata solo una dozzina di ore. Se fosse durata più a lungo, rilasciando una maggiore quantità di ceneri e gas o si fosse verificato in aree più densamente popolate del sud-est asiatico, o vicino ad un’alta concentrazione di rotte marittime vitali, reti elettriche o altre infrastrutture globali cruciali, avrebbe avuto ripercussioni forse anche pesanti sulle catene di approvvigionamento e sulle risorse alimentari del pianeta e non ultimo sul clima. Per non parlare poi delle ricadute sui trasporti, cibo, acqua, commercio, energia, finanza e comunicazioni.

Non siamo pronti

(AP Photo/Marco Di Marco)

Purtroppo siamo tristemente impreparati ad affrontare la problematica nel caso si verificasse un evento del genere. L’eruzione del Tonga dovrebbe essere un campanello d’allarme. Dati recenti provenienti da carote di ghiaccio, spiega la rivista Nature, suggeriscono che le probabilità che in questo secolo avvenga un’eruzione di magnitudo 7 (10 o 100 volte maggiore di Tonga) o ancora più violenta è di 1 su 6. 

Se si guarda alla sola storia dell’uomo, si scopre che eruzioni di queste dimensioni hanno causato bruschi cambiamenti climatici e il collasso delle civiltà e in alcuni casi sono state associate all’insorgere di pandemie. Eppure, nel nostro mondo super tecnologizzato sono stati fatti pochi investimenti per limitare i danni che un’eruzione di questa portata potrebbe causare. 

E ciò nonostante il fatto che sia molto più probabile che si verifichino eruzioni vulcaniche catastrofiche che impatti di asteroidi e comete di grandi dimensioni. Le conseguenze di questi eventi, soprattutto sul clima, sono paragonabili, ma la “lotta” contro di essi è molto diversa. La Difesa planetaria, l’organismo che si occupa di vigilare sull’arrivo di eventuali asteroidi pericolosi, riceve centinaia di milioni di dollari di finanziamenti ogni anno e ha diverse agenzie globali dedicate ad essa. Al contrario, non esiste un’azione coordinata, né investimenti su larga scala, per mitigare gli effetti globali delle eruzioni di grande entità. 

I dati

LaPresse

Forse è giunto il momento in cui le cose debbano cambiare. Lo dicono i vulcanologi. Sebbene i ricercatori sappiano da tempo quel che potrebbe accadere in seguito a imponenti eruzioni vulcaniche su larga scala, in realtà le probabilità di un tale evento sono state determinate solo di recente. Un elemento su cui si sono concentrati i ricercatori riguarda le emissioni di solfati (composti di ossigeno e zolfo) che sono particolarmente abbondanti negli strati della Terra in concomitanza con grandi eruzioni.

Nel 2021, i ricercatori hanno esaminato le carote di ghiaccio recuperate da entrambi i poli e hanno identificato 1.113 firme di eruzioni che sono rimaste nel ghiaccio della Groenlandia e 737 in Antartide. Tali eruzioni si verificarono tra 60mila e 9.000 anni fa. Novantasette di tali eventi ebbero molto probabilmente un impatto climatico equivalente a quello di un’eruzione di magnitudo 7 o superiore. Statisticamente si è così arrivati a concludere che gli eventi di magnitudo 7 si verificano circa una volta ogni 625 anni e gli eventi di magnitudo 8 (chiamati anche super eruzioni) circa una volta ogni 14.300 anni. 

Sono dati sorprendenti, in quanto tali eruzioni risultano più frequenti di quanto suggerito da precedenti valutazioni, che avevano utilizzato altre tecniche statistiche e che davano intervalli di ricorrenza di 1.200 anni per magnitudo sette e 17mila anni per magnitudo 8.5.

L’ultimo evento di magnitudo 7 si è verificato a Tambora, in Indonesia, nel 1815. Stando ai dati storici si è stimato che circa 100mila persone dell’arcipelago siano morte a causa dell’eruzione vera e propria, dagli tsunami che ne sono conseguiti, dalla deposizione di cenere su raccolti ed edifici e per gli effetti successivi. A livello globale, le temperature sono scese in media di circa 1°C, causando quello che è passato alla storia come “l’anno senza estate”. 

Gli Stati Uniti orientali e gran parte dell’Europa subirono raccolti infruttuosi e le carestie che ne derivarono portarono a violente rivolte ed epidemie. Non c’è dubbio che la situazione attuale sia molto diversa rispetto a due secoli fa. Si può dire infatti, che siamo più resilienti: da un lato i vulcani sono monitorati meglio, dall’altro c’è una migliore educazione e consapevolezza e i sistemi sanitari e alimentari sono migliorati. 

C’è un elemento da sottolineare però, ossia che il pianeta è cambiato anche dal punto di vista ambientale: vi sono importanti variazioni nella circolazione oceanica e atmosferica causati dai cambiamenti climatici e, stando ai modelli, un’eruzione di grande magnitudo ai tropici potrebbe causare un brusco raffreddamento che si prolungherebbe fino al prossimo secolo. 

Lo scioglimento dei ghiacci

(AP Photo/Marco Di Marco)

Le grandi eruzioni potrebbero innescarsi anche a causa della fusione dei ghiacci oggi in atto. Il minore peso infatti, sulla crosta  terrestre potrebbe far risalire più velocemente il magma dalle camere magmatiche. Sebbene gli effetti di raffreddamento degli aerosol dei solfati che verrebbero lanciati nella stratosfera potrebbero contrastare il riscaldamento dei gas serra in atto (il mondo è già di circa 1,1°C più caldo rispetto all’era preindustriale), l’impatto di una grande eruzione vulcanica sull’atmosfera terrestre sarebbe brusco e gigantesco, con irregolarità immediate sulle precipitazioni e sulla temperatura.

Non ci sarebbe tempo per prepararsi ad un evento del genere. Oggi la popolazione mondiale è otto volte più numerosa rispetto all’Ottocento e da allora il commercio su cui fa affidamento è cresciuto di oltre 1.000 volte. Come hanno dimostrato la pandemia di Covid 19 e la guerra in Ucraina, il mondo moderno è fortemente dipendente dal commercio globale per il cibo, il carburante e le risorse in genere.

Come prevenire

(AP Photo/New Zealand's Ministry of Foreign Affairs and Trade)

Le conseguenze di una gigantesca eruzione sarebbero incalcolabili: si è stimato che le perdite finanziarie sarebbero dell'ordine di miliardi di miliardi di euro, più o meno paragonabili a quelle della pandemia. È per questo che investire nella preparazione e nella mitigazione di una crisi di questo genere è molto più economico che reagire ad un disastro. Ma come potrebbero essere realizzati tali lavori?

Delle 97 eruzioni vulcaniche di grande magnitudo rilevate nelle carote di ghiaccio, si è riusciti ad individuare pochi vulcani da cui è partita l’eruzione. Per gli altri casi i siti rimangono un mistero, compresi alcuni avvenuti relativamente in tempi recente, come ad esempio le eruzioni che hanno causato la “piccola era glaciale tardo antica” a metà del VI secolo. Le stime mostrano che fino all’80 per cento delle eruzioni di magnitudo 6 prima dell'1 d.C. mancano della documentazione geologica, con dati particolarmente scarsi per le isole oceaniche come le Curili, così come l’Indonesia e le Filippine, paesi con alta densità di vulcani.

Sempre partendo dai dati delle carote dei grandi ghiacciai si sa che negli ultimi 10mila anni circa 1.300 vulcani sono eruttati, il che significa che sono considerati attivi. Ma probabilmente ce ne sono molti altri, le cui recenti eruzioni potrebbero non essere note perché la loro posizione non è stata studiata, oppure potrebbero essere rimasti inattivi per molto tempo ma essere comunque capaci di un grande evento esplosivo. Un lavoro di individuazione di questi vulcani dunque, sarebbe un primo importante passo. Dovrebbero anche essere identificate le regioni di maggiore vulnerabilità. 

Ciò richiederà una ricerca interdisciplinare per individuare i maggiori rischi globali per il commercio, l’energia, le infrastrutture critiche, la sicurezza alimentare, idrica e finanziaria. È già noto ad esempio, che ci sono punti critici dove grandi eruzioni vulcaniche potrebbero colpire fitte reti commerciali, come ad esempio lo Stretto di Malacca - tra la Malesia peninsulare e Sumatra in Indonesia - e il mar Mediterraneo. Purtroppo anche per tempi molto vicini non sempre si hanno dati precisi di quel che è effettivamente successo  in queste aree durante grandi eruzioni. Dopo l’attività del Tonga, ad esempio, sono trascorse 12 ore prima che le prime immagini radar, del satellite Sentinel-1A dell’Agenzia Spaziale Europea, mostrassero quel che avvenne in prossimità del vulcano. 

Spesso, i vulcanologi devono anche fare affidamento sulla generosità delle società satellitari private per ottenere immagini ad alta risoluzione in tempo reale, come è avvenuto quando Capella Space, con sede a San Francisco, in California, ha fornito fotografie un giorno dopo l’eruzione esplosiva di La Soufrière, a Saint Vincent e Grenadine, nell'aprile 2021. Da più di venti anni i vulcanologi hanno chiesto il lancio di un satellite dedicato unicamente all'osservazione dei vulcani. Molti progressi sono stati compiuti condividendo i satelliti, ma con uno dedicato al problema si potrebbe fare passi in avanti nella sorveglianza dei vulcani, un satellite che, tra l’altro, osservi nell'infrarosso per rilevare variazioni di temperatura vicino al suolo. 

Una maggiore importanza all’educazione e alla sensibilizzazione incentrate sulla comunità potrebbe aiutare a preparare le persone che vivono in regioni vulnerabili. In Italia, ad esempio, nelle scuole non si fa nulla per prendere coscienza sulla pericolosità dei vulcani di casa. Il progetto Volcano Ready Communities a Saint Vincent e Grenadine, gestito dal Centro di ricerca sismica dell’università delle Indie occidentali, è una recente storia di successo da cui prendere esempio. Ha contribuito all'effettiva evacuazione di 20mila persone prima delle eruzioni esplosive del 2021, senza perdite di vite umane. 

Insomma di strada da fare ce n’è tanta e sarebbe buona cosa intraprenderla al più presto.

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